RADUNI TRIVENETI |
CELEBRAZIONE DELLA MADONNA DEL DON
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Dicembre 1996 |
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Ci pensa la fanfara della
nostra Sezione a ravvivare l'atmosfera di una città ancora assonnata,
esibendosi magistralmente, davanti alla stazione ferroviaria, in brani del
repertorio alpino. Si forma una
vasta platea ed i più attenti sembrano i componenti di una comitiva del Sol
Levante, con gli occhi a mandorla che tradiscono il disagio di una levataccia
troppo brusca. Più che dalla
perfezione dell'esecuzione e dai timbri che arrivano dal possente impianto di
legni, tamburi ed ottoni, sembrano sorpresi da quel buffo cappello pennuto che
essi vedono per la prima volta.
Questa per Mestre è una
mattina diversa dalle altre, in perfetto stile alpino.
Il che significa, per esempio, che nei bar non vengono serviti caldi
cappuccini e molli brioche, ma corposi panini ammorbiditi da calici di
frizzante prosecco. Anche
nell'ultimo lembo di terraferma gli alpini non si smentiscono.
Impeccabile l'organizzazione,
curata dal gruppo ANA di Mestre, con alzabandiera, ammassamento, tenda di
pronto soccorso, pentoloni sul fuoco nella cucina da campo, da dove provengono
stuzzicanti profumi di salsicce alla brace che investono la sfilata in un'ora
inconsueta.
Particolarmente numerosi gli
alpini di Conegliano, guidati dal presidente Paolo Gai: sfilano preceduti
dalle note solenni e festose del Trentatré, inno lento e felice che fa
percorrere da un fremito anche chi non è alpino.
Grande entusiasmo al passaggio del corteo: sarà che quella penna incanta ancora giovani e vecchi, sarà che la sfilata altro non è che un momento magico in cui a tutti è consentito di sentirsi alpini “Maria, ghe xe anca i mui!”. Sono loro, gli amati quadrupedi reduci dell'artiglieria da montagna, i destinatari del maggior numero di applausi; e riescono a trasformare in improvvisa euforia la cupa indifferenza di un barbone che ha passato la notte chissà dove. Il crepitio inconsueto, provocato dagli zoccoli sull'asfalto, è musica per gli alpini di Cappella, che possono così rifarsi della delusione di non essere stati ammessi alla sfilata di Udine.
L'offerta dell'olio per la
lampada, che rimane perennemente accesa sull'altare della sacra icona, si
rinnova ormai dal 1966, da quando cioè Padre Crosara, cappellano in Russia,
la portò al convento dei cappuccini di Mestre.
Oggi la celebrazione della Madonna del Don coincide con il raduno
triveneto delle penne nere. Quest'anno
l'olio viene donato dagli alpini delle sezioni europee: Belgio, Francia,
Germania, Gran Bretagna, Lussemburgo, Svezia, Svizzera, Norvegia e Finlandia.
Memori del fatto che un popolo
senza memoria è un popolo senza futuro, gli alpini tengono in grande conto il
ricordo rispettoso degli eventi e delle sofferenze sopportate.
Celebrando la Madonna del Don, essi ricordano coloro che, mandati in
terra russa, male armati ed equipaggiati, dopo aver lottato contro il nemico,
la fame ed il gelo, rimasero lungo la pista ghiacciata senza una tomba,
scrivendo la pagina più tragica della storia delle penne nere.
Normale quindi che, durante la messa al campo, echeggino parole come
sacrificio, sangue, eroismo, con un filo d'enfasi, certo, ma all'insegna della
più schietta antiretorica (la retorica è un lusso che gli alpini non si
possono permettere avendo alle spalle, troppi morti, troppi sacrifici, troppi
eroismi veri).
E le tragiche cifre della
campagna ali Russia le snocciola l'ordinario militare mons.
Giuseppe Mani: 89000 furono le perdite italiane, di cui 63000 i
dispersi (11000 i caduti del Veneto). Il
presule ricorda poi che "essi ci parlano per maledire la guerra".
Gli fa eco il presidente degli alpini di Gran Bretagna: "la pace
non deve essere insidiata dalla stoltezza dei violenti".
E non è un discorso di
circostanza, poi, quello del presidente della sezione veneziana, Giorgio
Zanetti, il quale, dopo aver rivolto un particolare benvenuto alle penne nere
delle sezioni estere, ricorda come anni fa l'associazione alpini si fosse
fatta promotrice di una proposta di legge per il voto agli emigranti.
Ma le 215.000 firme raccolte a nulla sono servite, non avendo avuto né
la forza né il potere di convincere i nostri politici a non abbandonare del
tutto questi nostri fratelli, che in un passato, più o meno remoto, per
motivi di lavoro hanno dovuto lasciare la patria e che rimangono ancora
Italiani di serie B.
Rivolgendosi alle autorità presenti l'oratore ha inoltre ribadito la speranza degli alpini in un mondo migliore, per esprimere il loro anelito alla pace, alla concordia tra i popoli e le nazioni che essi si impegnano quotidianamente con la loro onestà, con il loro amore, inteso nel senso più puro, e con le loro testimonianze di solidarietà e fratellanza. Tornando su un tema di scottante attualità si è infine augurato che questa nostra, malgrado tutto, bella Italia ritrovi se stessa e si chiuda il capitolo delle tangenti, delle ruberie, delle corruzioni e della violenza e si apra quello della giustizia e della concordia.
Il corteo si è poi ricomposto
per raggiungere la chiesa dei Cappuccini che si è riempita immediatamente di
gagliardetti, alzati verso il cielo.
Qui le struggente note di
“Nikolajewka”, eseguita da un coro alpino, hanno accompagnato la
suggestiva cerimonia della donazione dell'olio per la lampada, in un contesto
di volti emozionati e occhi lucidi di coloro che hanno un congiunto da
ricordare tra le vittime della grande tragedia russa.
Poi, il “rompete le righe”, seguito dall'altra parte del rito, quello degli incontri conviviali, un rito non meno “sacro”" del precedente. Uomo semplice, portato a coniugare naturalmente il candore con l'allegria, l'alpino, infatti, fa dell'amicizia il sigillo di una filosofia antica come la sua gente.
Gianfranco Dal Mas