Al memoriale delle Penne Mozze
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Settembre 1998 |
E' stata, senza
dubbio, una giornata memorabile, domenica 24 maggio 1998, una data da
ricordare, che ha posto fine ad alcune faziose polemiche: la collocazione
della “CAMPANA DELLA PACE”, in memoria di Coloro che caddero in difesa dei
propri ideali. >I rintocchi dell'AVE MARIA
risuoneranno in segno di concordia, di fratellanza nella Valle di San Daniele
di Cison, e in tutti i monti e valli, in una riconciliazione universale.
Una fede giusta? Una fede dubbia, oscura? Forse entrambe, ma certamente
degne di rispetto di fronte all’olocausto di tutti gli Alpini. I rintocchi
della CAMPANA, al crepuscolo vogliono significare ciò che i viventi con anima
e cuore intendono evocare, e rivolgere preghiere a Colui che da lassù ci
guarda benigno, comprende le nostre debolezze e sa toccare l'animo dell’uomo
anche del più irascibile, a capire il sacrificio di ogni Caduto.
Proponiamo un passo della
“Preghiera dei Caduti in guerra”, particolarmente significativo, per far
comprendere la correlazione degli intenti di coloro che hanno voluto l'opera
quale espressione simbolicamente morale e spirituale.
“Fa - o Signore - che il ricordo di noi - che sotto insegne diverse ed avverse abbiamo
avuto dissolto il nostro corpo nelle acque, nei cieli e nella terra - rimanga
sempre vivo nelle genti i cui ideali di redenzione o intenti di conquista
hanno preteso la purificatrice donazione della nostra vita”
La commovente cerimonia al Memoriale ha avuto inizio con la deposizione di una
corona e gli onori ai Caduti resi da un picchetto armato del 7° Reggimento
Alpini della “Julia”, di stanza a Feltre.
Quindi é seguita la S. Messa concelebrata dai cappellani alpini don Carmelo Giacone
e don Sandro Capraro.
Durante l'omelia i celebranti hanno, tra l’altro, detto che i monumenti sono
iniziative fredde se non escono da profondi sentimenti di fede e di amore
verso qualcuno o qualche cosa. Dobbiamo credere nella vita degli altri, nel
rispetto anche della nostra.
Espressioni
di gratitudine sono state rivolte a tutti coloro che hanno voluto , che hanno
contribuito, nelle più diversificate maniere, ad erigere la “Campana
votiva”.
Prima
dello scoprimento della “Campana”, Maria Pia Altarui ha recitato la
seguente preghiera: “Signore benedici
coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo SIMBOLO DI PACE.
Pensiamo agli ideatori, ai fratelli che hanno donato la campana, agli alpini e
a tutte le persone che hanno donato la loro forza fisica per la posa.
Benedici, Signore, anche tutti i presenti, che si uniscono nelle celebrazioni
di questo momento di pace. Noi Ti preghiamo”
Successivamente
ha preso la parola il presidente dell'As.Pe.M. dott. Lorenzo Daniele, che ha
disegnato il significato dell’evento, così:
“Non posso iniziare questo intervento celebrativo del
20° anniversario di fondazione dell'Associazione “Penne Mozze” senza
prima rivolgere un caldo ringraziamento a tutti coloro che in modi diversi
hanno concorso alla costruzione di questo monumento che fra poco inaugureremo.
Grazie dunque al Consiglio direttivo nazionale dell'Associazione Penne
Mozze che mi ha espresso un favore incondizionato, ha sempre acconsentito alle
mie proposte circa la realizzazione di questa opera commemorativa del
ventesimo di fondazione della nostra Associazione.
Alla Sezione alpini di
Vittorio Veneto; per tutti al suo presidente cav. Donato Carnielli,
socio dell'As.Pe.M., che non ha esitato ad
appoggiare e rendere possibile la fattibilità di quest'opera; con lui
ringrazio il geometra Fioravante Piccin e tutti i suoi collaboratori.
Grazie a quegli uomini
sapienti, e cari amici, che mi hanno sempre spronato e incoraggiato, anche in
momenti non esaltanti: Roberto Prataviera, Amos Rossi, Gino Perin, Carlo
Giovannini.
Grazie alle altre Sezioni
A.N.A. della provincia di Treviso: Conegliano - Treviso Valdobbiadene;
particolare ringraziamento rivolgo al Comitato del Bosco, a Claudio Trampetti,
a Lino Chies, a Marino Casagrande, a Mario Parisotto e agli alpini, tutti, del
Gruppo di Cison di Valmarino, come al segretario Mario Vendramelli.
Grazie ad Antonio
Zecchella che ha donato la campana votiva e al fratello Giovanni per la sua
collaborazione. Essi hanno voluto
così onorare la memoria del Padre Vittorio, alpino, caduto in Russia.
Grazie a tutti coloro che
si sono succeduti per molti giorni, e in vari modi, al lavoro per la
costruzione di questa opera.
Grazie cordialmente alle
autorità civili e militari presenti oggi, alle gentili Signore Imelda
Reginato, Gabriella Dal Moro, Mariapia Altarui, Wanda Meneguzzo, alle
Crocerossine, al coro Col di Lana, a tutti gli alpini con i loro presidenti di
sezione, agli amici di Sangineto (Cosenza) che sono venuti da molto lontano,
alle Associazioni d’Arma, ai Sindaci, alle donne e agli uomini accorsi al
Bosco così numerosi.
Un particolare saluto e un
sentito ringraziamento consentitemi di rivolgere al Dott. Nardo Caprioli che
mi ha sempre onorato della sua amicizia. Da lui è partita la proposta che
oggi tramutiamo in realtà, da questo luogo preciso.
Due anni fa tu Nardo
rompesti quella specie di tabù che condizionava le nostre idee e i nostri
progetti. Dicesti che bisognava
abbandonare le riserve mentali che ci hanno impedito in questi anni del
dopoguerra di ricordare e onorare tutti i caduti, tutti coloro che 53 anni fa
morirono per la stessa Patria. Grazie
dunque, Nardo. Tu fra otto giorni porrai a terra lo zaino che ti sei portato
addosso per tanti anni. Ti dico
solo Grazie, vecchio Presidente, te lo dico con il cuore.
Grazie, infine,
all'amicissimo generale Franco Bettin che l'anno passato riprese l'idea di
Caprioli e la ripropose con grande fervore. Chiudo il capitolo ringraziamenti,
e chiedendo scusa a coloro che avessi dimenticato, arrivo al dunque, e lo
faccio con un ricordo personale. Durante l'adunata nazionale di Torino del
1977 mi accadde un episodio che non sono mai riuscito a cancellare dalla
mente. Era il sabato pomeriggio,
mi trovavo seduto a un bar assieme a qualche amico: Marino, Raimondo, Paolo,
oggi non ci sono più. A un
tratto un signore anziano, distinto, accompagnato da una signora anche lei
anziana e distinta, si fermò davanti a noi, ci salutò, ci sorrise, fece per
proseguire.
Improvvisamente si rivolse
a me e chiese di parlare. I due
signori si sedettero, poi lui cominciò a parlare, con voce calma, anche se un
po' stentorea: “Vede, signore, io sono vecchio, ho 92 anni, sono stato
Prefetto, prima del Regno, poi della Repubblica; mia moglie ha insegnato
matematica e fisica in un liceo torinese per quarant'anni. Siamo in pensione.
Non ho fatto il servizio militare per una serie di motivi, ma per voi alpini
ho una predilezione. E c'è un
perché: avevamo due figli, erano entrambi belli, alti, intelligenti.
Il nostro primo figlio, Sergio, era ufficiale in S.p.e. degli alpini,
era tornato dalla Russia ove era stato con la “Cuneense”; il secondo,
Ermanno, medico, era sottotenente degli alpini di complemento.
L'8 settembre '43 portò la tragedia nella nostra casa: Sergio fu
comandato a rientrare al suo reparto, disobbedì, si unì a uno dei primi
reparti partigiani, dalle parti di Boves.
Ermanno, simpatizzante del
fascismo, la pensò in maniera opposta e aderì alla R.s.i. I miei figli,
dunque, si trovarono a combattere su fronti avversi.
Come finì? Sergio cadde
sulle montagne intorno a Cuneo, dopo pochi mesi, Ermanno fu colpito a morte da
un cecchino partigiano in una località dell'Emilia. Caro signore, mia moglie
e io abbiamo dato due figli alla stessa Patria: combattevano con ideali
diversi su fronti avversi. La
nostra famiglia ne uscì distrutta. Il
ricordo dei nostri due ragazzi ci accompagna negli ultimi anni della nostra
vita, fra poco li rivedremo, belli, alti, forti, con il loro cappello alpino e
il loro sorriso, abbracciati l'uno con l'altro.
Ci strinsero la mano, si
allontanarono lentamente, scomparvero verso il ponte sul Po. Marino, Raimondo
e Paolo, commossi, volsero lo sguardo altrove; io seguii con gli occhi quei
signori e mi prese una specie di angoscia.
Qualche tempo dopo mi
rivolsi all’avvocato Scagno, presidente della Sezione A.N.A. di Torino: mi
disse che conosceva quei due signori, che erano morti da poco, a breve
distanza l'uno dall'altra. Oggi anche qui due ragazzi sono ricordati qui,
perché la morte unisce e abbraccia tutti nella cristiana pietà. E io ricordo
anche i loro genitori.
Potrebbe bastare questo
episodio a spiegare perché abbiamo voluto realizzare questo monumento, a
tracciarne una motivazione. Ma voglio ancora più approfondire.
Prima di scrivere queste
righe ho voluto rileggere le “Lettere di condannati a morte della resistenza
italiana”. Vi leggo una frase di una delle ultime lettere inviate alla
famiglia dal partigiano “Pedro”, alias Pietro Errera, genovese, ufficiale
in S.p.e., combattente della formazione “Giustizia e Libertà Italia
Libera”, operante sulle montagne del Piemonte, compagno di Duccio Galimberti.
Fu fucilato il 23 gennaio del 1944 al Martinetto di Torino, fu
decorato della M.O. al VM. Dice:
“Maggiore sarà la vostra possibilità di reazione al dolore se penserete
che vostro figlio è morto per la Patria, alla quale ha dedicato la sua vita,
è morto per l'onore, perché non ha mai tradito il suo giuramento; è morto
per la libertà e la giustizia che, pure, trionferanno un giorno, quando sarà
passata la bufera, e nelle campagne devastate e le città distrutte volerà la
colomba recante l'ulivo della pace e della ritrovata concordia. Miei cari,
muoio con un solo desiderio: un giorno cessino le lotte fratricide, si
conservi il ricordo, tacciano i rancori, prevalga la pace.”
Ma se vogliamo essere
obiettivi e onesti, e dobbiamo esserlo perché questa campana abbia un senso,
vi propongo anche la testimonianza di un alpino che militò dall'altra parte.
E', il suo scrivere, uno scorrere fluente di parole che sgorgano dal
cuore per il ricordo dei suoi compagni di scelta.
Era del Btg. “Cadore” inquadrato nell'esercito della R.s.i. Ha
scritto la sua storia personale, ha rievocato fatti e episodi della sua
esperienza e ha titolato il tutto come “Storia dentro”. Dice l'autore:
“Ricordiamo i nostri amici che non tornarono da quella avventura, e
rinnoviamo la nostra amicizia, ringraziando Dio che ci ha salvati dalla
bufera. Sono vicende e situazioni di quel periodo, che giovani della mia
generazione, con travaglio interiore, hanno vissuto in prima persona,
coinvolti, chi per generosa scelta ideale chi per necessità, altri per
costrizione, ma tutti assieme travolti dall'uragano della storia del nostro
Paese.”
E ancora, trascritta dal
suo libro, la copia della lettera scritta alla moglie dal suo capitano Lorenzo
Malingher prima di essere fucilato da un reparto partigiano in Val di Lanzo:
è una lettera di rara nobiltà.
“Marella, non serbare
alcun rancore per i partigiani che stanno per fucilarmi.
Pensa che essi durante 18 mesi hanno fatto una vita durissima
di sacrifici e di stenti sovrumani; che hanno dimostrato coraggio e carattere
per aver saputo tener duro; che hanno rischiato molte volte la vita per un più
alto ideale, per l'Italia, per la sua grandezza per la quale anch'io ho
combattuto. Non nutrire odio per
coloro che mi tolgono la vita. E' una misura di giustizia, e con lo
spargimento del sangue di noi pochi, si tolgono di mezzo, anche per
l'avvenire, ragioni di odio di parte. Così tutto avverrà in quella pace con
giustizia per la quale abbiamo combattuto tutti, pur con altre idee e con
opposti concetti.”
Signori, la mia mente mi
riconduce oggi a quell'inferno che fu il campo di sterminio di Mauthausen ove
entrai il 13 dicembre 1943 e ne uscii il 18 aprile 1944 per merito di un santo
frate. Don Umberto Lotti era il cappellano militare del campo, mai dal quale
avevo tentato di fuggire. Spesso ci riunivamo con lui nella baracca n. 8 e
parlavamo un po' di tutto. Don Umberto teneva banco, credo che i suoi discorsi
abbiano contribuito a riportare e rinsaldare la fede nel cuore di molti di
noi. Non odiate - diceva - è il
peccato peggiore, che conduce ad altri peccati.
Don Umberto e molti, molti altri miei compagni morirono sotto il
terribile bombardamento del 25 luglio '44. Sono sepolti a Mauthausen, e
qualcuno è andato a portargli un fiore.
Ma in quelle baracche fetide e gelide cominciò la nostra resistenza.
Resistemmo a promesse e minacce, a lusinghe e a violenze, a umiliazioni di
ogni genere, a fame e freddo, ma superammo lo sbandamento morale, restammo là:
fu la nostra resistenza. Quando tornammo lasciammo là, in quei cimiteri
lontani, 60.000 nostri compagni; altrettanti morirono per malattie negli anni
successivi. Non chiedemmo niente a nessuno, non cercammo rivendicazioni,
costruimmo da soli il nostro avvenire, non ci erigemmo ad eroi. ma non odiammo
mai. Con questo spirito io vengo
qui spesso, per ascoltare il silenzio e per vedere il vento fra lo stormire
delle fronde, per sentire la voce arcana dei miei compagni rimasti là, nella
fredda terra germanica. Ma non odiammo mai! Questa campana
suonerà anche per loro.
Signori che mi ascoltate
oggi l'As.Pe.M. Associazione Nazionale Penne Mozze fra le Famiglie dei Caduti
Alpini, compie 20 anni. Fu fondata il 24 maggio 1978 da Mario Altarui con
l'intento primario di dare al Bosco una sostanzialità economica e morale.
Divenne Ente Morale, si espanse in tutto il territorio nazionale, i suoi
iscritti risiedono in tutti i paesi d'Italia.
Molte delle opere che ci circondano sono dono dell'As.Pe.M. al Bosco
delle penne Mozze, e oggi una diversa e più suggestiva opera si aggiunge:
questa campana votiva è stata voluta e realizzata dall'Associazione che mi
onoro di presiedere. Con quale scopo? Qual'è
il suo significato? Dopo 53 anni
dalla fine della seconda Guerra mondiale non c'è mai stata una vera
riconciliazione fra coloro che combatterono in campi avversi, pur con lo
stesso scopo di realizzare il bene del nostro Paese. Sono rimasti gli odi, i
risentimenti, le repulsioni; spesso radio, televisione, cinema, scrittori,
politici, giornalisti fanno a gara per rinfocolare i sentimenti peggiori di
divisione. Lo scopo dell'As.Pe.M. e dell'A.N.A. è proprio questo: Ricordare,
perché non farlo è tradire i nostri Caduti, tutti, ma riporre lo spirito di
vendetta e l'odio. Non si può
continuare a vivere odiando. E questa azione di riconciliazione dobbiamo
portarla avanti noi vecchi che vivemmo le stagioni dell'odio, quei momenti
tragici; noi che portiamo ancora addosso le ferite e le sofferenze che ci
furono inflitte, noi che lottammo l'uno contro l'altro in una guerra
fratricida. D'estate mi reco in
una località di mare, mi ritrovo sommerso da una marea di tedeschi: cosa
dovrei fare per vendicarmi dei miei aguzzini, per vendicare i miei compagni
caduti? Dovrei mettermi a correre per la spiaggia con un mitra spianato e
sparare all'impazzata? No!
Ho insegnato ai miei nipoti a non aver paura di nessuno, li ho visti
giocare con i bambini tedeschi, con ragazzi neri e bianchi, e gioire dei loro
giochi. Solo così impareremo a convivere col mondo intero.
Questo, dunque, è il significato di questa campana.
Con essa, noi reduci della tragedia che fummo in campi avversi,
trasmettiamo un messaggio di pace, di fratellanza, di tolleranza alle giovani
generazioni e a quelle che verranno."
Infine è intervenuto il dott. Leonardo Caprioli, il quale ha ricordato che nel 1984,
dopo la sua elezione a Presidente nazionale, fece visita alla Sezione di
Vittorio Veneto e, quindi, al Bosco delle Penne Mozze, e che finisce il suo
mandato al Bosco con 1’inaugurazione della “Campana Votiva”.
Si è dichiarato felice di presenziare ad una tale significativa opera, che
rappresenta onorevolmente il simbolo della pacificazione nazionale.
Caprioli
ha aggiunto che le lacrime delle mamme. sono amare, sono ugualmente segno di
dolore sia che i figli si trovino da una parte o l'altra del conflitto. Sono
lacrime sante di donne che la vita ha loro riservato tragicamente.
Quindi bando all’odio,
vincano l’amore, il perdono, la fratellanza, l'amicizia.
Presenti autorità civili e militari. Abbiamo
notato, tra l’altro, il sindaco di Sangineto (Cosenza) Bruno Midaglia,
quello di Treviso avv. Giancarlo Gentilini; i generali Italico Cauteruccio,
Franco Bettin e Carlo Gianini, i presidenti di varie sezioni.
La nostra sezione era ben rappresentata con il presidente Paolo Gai e numerosi
alpini con i gagliardetti.
Presenti pure i gonfaloni dei Comuni d Caerano S. Marco, Cison di Valmarino, Follina,
Maserada, Miane, Revine Lago, San Vendemiano, Tarzo, e Treviso. I
vessilli delle sezioni di Belluno, Bergamo, Cadore, Cividale, Conegliano,
Feltre, Pordenone, Treviso, Valdobbiadene, diverse bandiere di altre
associazioni benemerite e d'arma. Ottima
è stata l'esecuzione del Coro Alpino di Vittorio Veneto.
La manifestazione si é svolta nella più assoluta tranquillità ed affabilità,
e la sottile pioggia che ci ha accompagnato per quasi tutto lo svolgimento
della cerimonia, non ci ha disturbati più dì tanto. -
Suona Campana ! I tuoi rintocchi siano invocazione per Quelli di lassù, ed
invito a noi viventi ad essere precursori della pace e della giustizia. -
Renato Brunello