RICORDI DI NAJA 1 |
Maggio 1999 |
Recluta già in età per motivi universitari, borsa valigia e capelli rasati, parto per il C.A.R. di Teramo, Brigata Julia, Battaglione Alpini "L'AQUILA", nappina bianca. Il distretto è quello di Verona, ma il treno lo prendo a Conegliano, perché ora vivo qui, e ci vivrò per sempre, alle pendici di una collina verde con un Castello famoso, d'estate illuminato. Sono i primi giorni di un caldo settembre, e, vestita la mimetica, entro nella squadra affidata ad un caporale istruttore di Francavilla a mare, un ragazzo alto con occhi grandi e scuri, che sorride poco. Caporale Istruttore Domenico Catena. Con lui allo spaccio o in libera uscita si parla di tutto, ti offre una cicca, è generoso, gentile, ti spiega come girare per Teramo, ma sorride sempre poco. Con lui, durante l'addestramento, non si parla, ci dice che a parlare in addestramento sarà solo lui. Così passano i giorni che solo l'amicizia fra reclute rende più leggeri, giorni di percorsi di guerra, balzi e rotolamenti, ordini da eseguire, Garand e Fal da lucidare, marce, poligono, corvée cucina, il caporale Domenico Catena lavora con noi. E sorride poco. Arriva il 16 settembre, fa caldo, sul piazzale asfaltato della caserma "Grue" l'atmosfera è afosa, ci avviciniamo al mezzogiorno, Domenico catena ci guida, marciando, al centro del piazzale e ordina. "Squadra segnare ... il ... passo!". Ci fermiamo a battere i Vibram sull'asfalto e i minuti passano. Ogni tanto Catena grida: "Cadenza!". E gli scarponi, con dentro il dolore che comincia a farsi sentire, battono ancor più forte. "E' diventato matto..." Qualcuno pensa, ... sono già 10 minuti che siamo fermi, la tuta intrisa di sudore, i piedi fanno male sempre di più, respiriamo a bocca aperta. "Ma perché?". E' un perché che mi sono portato dietro per molti anni, dopo quei lunghissimo 20 minuti di "segnare il passo" sotto il sole, momenti di sofferenza cui non avevo dato giustificazione. Poi, dopo anni e anni di pace, all'improvviso le decapitazioni e i genocidi di Kuwait City da parte di Saddam Hussein, e ora un altro matto o canaglia dal nome slavo uccide popolazioni indifese e passa povera gente affamata per le armi. Lo stesso cliché, la follia della conquista e dell'orgoglio che beffa la pace e la diplomazia, l'odio etnico di una mente aberrante, che va fermata nei suoi propositi di morte. Mi accorgo che il mio antico "perché" su quel segnare il passo comincia ad avere una risposta: forse il caporale Domenico Catena, già allora, aveva capito una cosa importante. E in fondo, ripensandoci, ce lo diceva: "Dobbiamo essere pronti a impegnarci, addestrati a tener duro in qualsiasi momento, sapere che ce la dobbiamo fare perché ce la possiamo fare". Grazie caporale Domenico Catena, avevi già capito l'importanza ma anche la durezza delle difesa, senza la quale ogni nazione rischierebbe di finire in balìa del primo matto che attraversi la strada della nostra civiltà, che vuole crescere soltanto nella pace.
Renzo Frusi