NIKOLAJEWKA |
Maggio 1999 |
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Per ricordare degnamente il 46° anniversario della sanguinosa e gloriosa
battaglia di Nikolajewka, le penne nere della sezione si sono ritrovate, come
ogni anno, nella chiesa parrocchiale di Solighetto ad assistere alla S. Messa
celebrata dal generale Mons. Agostino Balliana, e rivolgere una prece a Dio per
tutti i Caduti Alpini, Arti-glieri e Genieri Alpini, e successivamente - dopo
la benedizione impartita dal parroco don Francesco - rendere Loro omaggio con la
deposizione di una corona di alloro al monumento che Li ricorda. A conclusione
della cerimonia, sono intervenuti, a rievocare il tragico evento, il
capogruppo Giovanni Mazzero, il presidente della sezione comm. Paolo Gai ed il
commissario prefettizio dr. Aldo Luciano.
Il capogruppo Mazzero si è così espresso: "Cinquantasei anni so-no
passati da quella tragedia militare ed umana, che viene denominata "La
ritirata di Russia". Pochi sono i Reduci e poca è la loro voglia di
ricordare e racconta-re quegli eventi. Grande è sempre stato il no-stro
desiderio di onorarLi e di conser-vare nella memoria il Loro sacrificio, ciò in
virtù del fatto che come in Loro fu fortissimo il senso del dovere,
al-trettanto continua ad esserlo in noi oggi. Per noi Alpini, prima viene il
dovere e dopo il piacere, tanto nella famiglia, quanto nella società e du-rante
il servizio militare, e tutto questo, così come l'abbiamo imparato dai nostri
padri, altrettanto lo dobbiamo trasmettere ai nostri figli, educandoli al
rispetto e alla disciplina, anche in questa cerimonia. La vogliamo conservare
con forza, perché di fronte ad un mondo e ad una società che cambia
vorticosamente, qualcosa dobbiamo conservare anche e soprattutto il sacrificio
di coloro i cui ideali furono distrutti dalla guerra. Ringrazio a nome del
gruppo tutti i presenti e rendo riverente e commosso omaggio ai Reduci. Viva
L'Italia, viva gli Alpini".
Mentre il presidente Gai ha pronunciato il seguente discorso
commemorativo:
"Autorità civili e militari, Associazioni Combattentistiche e d'Arma,
Reduci di Russia, Signor Parroco, Signore, Signori, Alpini... Ancora una volta
siamo qui tutti assieme per ricordare un avvenimento di molti anni fa. Sono
passati già 56 anni da quando dieci divisioni dell'esercito italiano, tra cui
tre divisioni alpine, la Cuneense, la Julia e la Tridentina, si sono distinte
eroicamente in battaglia. Non siamo qui. Però, per ricordare la guerra che è
sempre l'ultima iniziativa da intraprendere e che quasi mai risolve i problemi
in maniera giusta e definitiva, Siamo qui per commemorare la memoria di coloro
che dalla campagna di Russia non sono più tornati e sono stati tanti. Il
sacrificio di coloro che sono caduti e dei dispersi non è stato vano, perché,
forti del loro esempio, quelli che sono tornati hanno impegnato le loro energie
per ricostruire le Patria, per questa nostra Italia che da Cenerentola delle
Nazioni, è diventata una delle più grandi. Se oggi stiamo tra i grandi della
terra con pari dignità, è merito di tante e tante persone che hanno profuso le
loro energie senza risparmio, perché i loro figli non soffrissero privazioni e
stenti. Oggi siamo una nazione ricca, noi del Nord-Est in modo particolare,
ricca di soldi, di belle case e macchine lussuose, ma forse quello che abbiamo
un po' trascurato sono proprio quei valori che animavano i nostri alpini sulle
rive del Don. Anche in questi giorni, certi fatti di cronaca mi lasciano
sgomento e disgustato. Mi chiedo se questo è frutto del troppo benessere, del
tutto facile, del tutto subito. Non vi nascondo che qualche volta rimpiango i
tempi in cui era difficile mettere insieme il necessario per il pranzo e anche
per la cena. Ma noi non possiamo arrenderci, dobbiamo continuare a lottare con
le armi pacifiche del dialogo, della solidarietà, della collaborazione. Se ci
è possibile, dobbiamo dare una mano a tutti quelli che ci chiedono aiuto,
anche se sono distanti, anche se non la pensano come noi. Dobbiamo cercare di
dare nuovo slancio alla nostra Associazione che in questo momento sta
attraversando un periodo non tanto felice, coinvolgendo i giovani che sono la
parte determinante della nostra vita futura e, quando possibile, le realtà
associative ed economiche che ci circondano per cercare di tenere unita questa
nostra società sempre più disgregata, mantenere la nostra identità culturale
e risvegliare le tradizioni perdute con il nostro spirito alpino che ci rende
tutti una grande famiglia. Grazie a Voi tutti per essere intervenuti...
Viva
l'Italia, viva gli Alpini!"
Infine il dr. Luciano ha reso omaggio ai Caduti e ricordato il
drammatico
fatto in terra di Russia, rammentando in quale veste egli fosse presente.
Quindi, sempre accompagnato dalla fanfara alpina, i partecipanti si sono recati
nella "baita" del gruppo per una gradita "bicchierata".
Renato Brunello
All'alba del 26 gennaio 1943 decine di
migliaia di sbandati italiani perdono ogni speranza di passare lo sbarramento
russo che ostacola la loro ritirata.
Non si dirà così per gli alpini: dopo
dieci ore di terribile lotta, sfonderanno e usciranno dalla "sacca",
generando non poca incredulità presso alcune postazioni sovietiche. In seguito
a questa feroce lotta, con il bollettino n 630 dell'8 febbraio 1943, il Comando
Supremo sovietico da Radio Mosca dichiarerà: "L'unico corpo che può
ritenersi imbattuto in terra sovietica è il Corpo d'Armata alpino
italiano".
Il paese di Nikolajewka (oggi Malenka
Aleksandovka), in quel lontano gennaio del '43, era l'ultimo brandello di terra
sovietica di rilevanza tattico-strategico per la ritirata delle nostre truppe.
Per oltrepassare questo paese tanti furono i gesti memorabili, soprattutto da
parte degli alpini. E tante furono le morti: persero la vita ben quaranta
ufficiali dopo appena dieci ore di combattimento. Tra questi c'era il valdese
Giulio Martinat (generale del C.A. alpino) che, prima di morire, incitando i
suoi soldati, lo sentirono gridare: "Con l'Edolo sono nato e con l'Edolo
voglio finire". Andrà avanti ai suoi alpini il povero uomo, correndo a
piedi e con il moschetto stretto fra le mani. Lo ritroveranno poco dopo, morto,
non si sa come, tra le rotaie della ferrovia di Nikolajewka, con una pallottola
conficcata in fronte. A guerra ultimata, riceverà la medaglia d'Oro alla
memoria. L'attacco decisivo a Nikolajewka venne reso operativo in un secondo
tempo dal generale Reverberi (detto "Gasousa" dagli alpini, per quel
suo carattere nervoso e scoppiettante). Con un gesto memorabile, noto a tutti, a
capo della Divisione "Tridentina" (come fare a non ricordare don Carlo
Gnocchi?), aprì la strada verso l'Italia a 14.000 Penne Nere, in una impresa
ritenuta disperata e impossibile. Per questa sua azione, durante un raduno
alpino a Brescia nel 1951, riceverà la medaglia d'Oro. Ma i gesti memorabili e
eroici, e sono stati tanti, non sono solo questi. Non sono solo quelli di coloro
che hanno ricevuto una medaglia o che, a guerra ultimata, hanno continuato a
prestare servizio nelle nostre FF.AA. Alcuni gesti, di cui raramente si parla,
sono stati anche quelli degli "alpini anonimi" che hanno lottato e che
hanno condiviso la tragedia con i propri fratelli d'arma; che hanno dimostrato
comprensione e compassione soprattutto per il nemico in quanto persona e uomo;
che hanno rispettato il contadino russo disperato il quale, assai di frequente,
in compenso diceva: "Taljanskij karasciò" ovvero, "italiano
bene". Sì perché gli alpini hanno anche e soprattutto fatto la guerra, ma
da gentiluomini. Questa carica di umanità associata alla loro instancabile e
vigorosa forza fisica li ha profondamente distinti, anche dagli alleati
tedeschi; nonostante la tragedia, che ormai non aveva più limiti nei cuori e
nello spirito dei soldati . Giulio Bedeschi, ufficiale medico dell'ARMIR, in
"Centomila gavette di ghiaccio" scrisse che in quella ritirata la
sofferenza raggiunse livelli tali da far pensare alla morte come all'ultima e
unica speranza di sollievo e pace. E per questo, la loro sofferenza deve essere
stata veramente tanta. Non tutti a Nikolajewka riuscirono a salvarsi dalla
"sacca" e a fare ritorno. Altre unità furono meno fortunate. La
"Julia", per esempio, non riuscì a rompere l'accerchiamento
sovietico. Una tragedia nella tragedia. Questa Divisione infatti, a testa alta,
dovette sacrificarsi per riparare la ritirata a ciò che restava delle altre
unità alpine in fuga. E la "Julia", con coraggio, si sacrificò.
Tutto accadde a Waluiki. Qui venne preso prigioniero, con l'intero Stato
Maggiore della "Julia", l'alessandrino Umberto Ricagno, chiamato
"papà" dai suoi alpini. Papà Ricagno fu lo stesso generale che
condusse la "Julia" in terra russa, all'inizio delle ostilità, dopo
che il nostro Stato Maggiore ebbe il coraggio di ricomporla per la quinta o
sesta volta (dall'Albania e Grecia). La nostra "Julia" stava
combattendo a Sud di Nikolajewka, dove era accorsa con urgenza. Aveva il compito
di chiudere una falla, l'ennesima, che i sovietici avevano aperto per effetto
del cedimento delle Divisioni "Cosseria" e "Ravenna". I
sovietici, ormai, spuntavano da tutte le parti lungo il fronte e vincevano, come
pochi giorni prima a Stalingrado contro i tedeschi. Chiusa la falla, la
"Julia" si mosse con velocità verso Waluiki perché era da sola e
l'unica ad avere l'esercito sovietico alle spalle. Nessuno, da quel momento, le
dirà più nulla. A Waluiki ci arrivò, eccome, ma vi trovò i russi che la
aspettavano, pronti con i loro carri T34. La "Tridentina" di
Reverberi, più avanti e più fortunata, venne informata in tempo e poté così
evitare, in parte, l'infiltrazione nemica. Ma alla "Julia" e alla
"Cuneense" il contro ordine non arrivò mai e i sovietici così riuscirono a tagliare la
strada e a ultimare l'accerchiamento. A papà Ricagno i russi presero tutto, anche l'orologio e la
pistola scarica. Gli lasciarono soltanto gli abiti del momento, la sua penna stilografica e il suo
portafoglio, zeppo di santini e immagini sacre. Di lui si è sempre parlato come di un uomo generoso
e senza manie di protagonismo, proprio come i suoi alpini che erano abituati a operare, senza troppe
chiacchiere. Non volle mai parlare di se stesso, ma soltanto di tutti quei suoi figli con la penna e
senza nome. Finita la lunga prigionia a Mosca, nel 1950, dopo sette anni, l'amato generale ritornerà
a casa per rimanere ancora una volta, ma per poco, con la sua infelice e straordinaria compagna di
sempre, che dopo la guerra assunse la consistenza di una brigata e che portava il nome della sua
ultima terra, la "Giulia". Gli chiesero quali erano stati gli eroismi della sua Divisione che, ancor
oggi, soltanto a nominarla, fa tremare chiunque. Rispose, semplicemente, che gli eroismi della
"Julia" erano stati tanti ... e tanto sono costati a quei soldati e a quei figli leali, a
quell'immensa famiglia perduta... Proprio così. Fecero il loro dovere gli alpini, i nostri padri. Ma
lo fecero, con coraggio perché volevano dimostrare di essere delle persone meritevoli, anche se
disperati. E allora che ci serva questo ricordo. Che si ricordi pure Nikolajewka, ma che lo si
faccia, come è nello spirito di ogni alpino, con consapevolezza e conoscenza della storia e delle
sue inumane tragedie. Per tutto quello che hanno sofferto, questi sopravvissuti di Nikolajewka, oggi
ancora viventi, osserviamo che non meritano altro che pace e tranquillità. Sta anche a noi farli
sentire così. Con la nostra comprensione e con il nostro unanime saluto, che vuole essere anche un
augurio, vogliamo semplicemente dire e sperare che i loro riposi, in questi giorni di pace, possano
essere più tranquilli e sereni di quelli passato sulla steppa del gelido inverno russo. A quelli che
invece non hanno provato, o che non sanno, o che sono troppo giovani, anche a loro rivolgiamo un
saluto e un augurio di speranza affinché l'ombra nera della morte e della guerra non sfiori e tanto
meno si posi sugli animi, sulle carni e sulle coscienze dei figli di questa generazione e di quelle
che dovranno venire.
Daniele G. Dal Borgo
Caro Brunello,
Ho visto FIAMME VERDI n. 1-maggio 99 e mi complimento ancora con te e redazione per la
veste editoriale e di sostanza che mettete nel Vs. pregiato periodico.
In merito a Russia e Nikolajewka
vorrei però puntualizzare qualcosa dopo quanto letto di Teofilo
Bonanni a pag. 38 e di Daniele Dal Borgo a pag. 23.
Bonanni, che conosco e saluto, rifà in breve e con estrema pacatezza interessanti considerazioni sul
fronte Russo: vi ha partecipato con la 14^ batteria del Gruppo
"Conegliano" 3° art. alp. JULIA e quanto scrive corrisponde in pieno
a quanto anch’io in merito potrei ricordare. Infatti senza saperlo fummo
insieme davanti a Nova Kalitva e vivemmo le stesse peripezie, poiché con il mio
plotone mortai 81 io stavo poco avanti ai pezzi da 75/13 del Gr.
"Conegliano", 13^ batteria (di Bedeschi e Giovanni Bortolotto Med. Oro
al V.M.).
Quanto invece scrive Daniele
Dal Borgo, pur lodevolmente e con diligenza, non corrisponde in qualche punto
alla realtà da noi vissuta e riferita.
1.- La citazione del fasullo "bollettino russo 630 – 8.2.43" ribatte lo
stesso errore più volte corretto invano anche su L’ALPINO da autorevoli
testimonianze (v. foglio). Non è pensabile infatti, né sostenibile che i russi
ci abbiano regalato tanto apprezzamento da dichiaraci "l’unico corpo
imbattuto in terra sovietica, ecc.".
Del resto non posso criticare Dal Borgo poiché è in buona compagnia, dopo che a
Rossosch, all’inaugurazione del ns. Asilo "Sorriso" il 19.9.93, lo
stesso rappresentante del Governo italiano Ministro Fabbri nel suo discorso,
preparato di certo da alti responsabili del Ministero della Difesa, cadde nello
stesso errore citando bellamente come vero il boll. 630 quale riconoscimento
russo al nostro valore...
2. – Scrive Dal Borgo: "Il Paese di Nikolajevka – oggi Malenka Aleksandrovka
–" mentre anche altri poco informati dicono o scrivono "... oggi
chiamata Livenka".
Nella carta topografica che ti invio in copia da originale tedesco dell’epoca, il
famoso paesone reca i nomi di Nikolajevka al rione nord lungo la
ferrovia, di Palamovka al rione sud presso la stazione e di Livenka
al rione ovest, oltre la ferrovia e il Valui.
Dunque Nikolajevka e Livenka si chiamava già allora a seconda del rione e Palamovka è
scritto anche oggi sulla stazione.
Di Malenka Alexandrovka non c’è traccia alcuna e probabilmente si tratta di
malinteso. Anche nella targa bronzea posta dai veterani russi nel 1988 sulla
Stazione appare Livenka.
3. – La divisione JULIA fu sì sacrificata, ma nel senso che prima, fra il 17 dic. 42
e il 17 gen. 43, fu impegnata a sud (non di Nikolajevka, ma rispetto al primo
schieramento) a tamponare la falla operata dai russi con l’offensiva
"Piccolo Saturno" contro le Divisioni COSSERIA e RAVENNA, dopo il
gomito che il Don fa a Nova Kalitva verso est. Iniziata la ritirata poi, la
JULIA assieme alla CUNEENSE, per le tappe Popovka-Nova Postojolovka-Nova
Karkovka, dovette sostenere quasi tutta la pressione che i russi operavano da
sud, in tal modo favorendo al massimo lo sganciamento e la più diretta ritirata
della TRIDENTINA.
La battaglia Kopanki-Nova Postojalovka durata invano 30 e più ore fra il 20 ed il
21 gennaio 1943 dice qualcosa, mentre più a nord, a Postojali, la TRIDENTINA
riusciva a sfondare un varco.
Per giunta JULIA e CUNEENSE, non avvertite del contr’ordine di puntare su
Nikolajevka anziché su Valuiki, andarono quasi al completo in bocca ai T.34 e
ai cosacchi a cavallo che a Valuiki aspettavano la preda.
Tralascio le inesattezze (... la JULIA stava combattendo a sud di Nikolajevka per chiudere
la falla... Chiusa la falla andò verso Valuiki, ecc.).
Per maggior chiarezza e comodità ti invio una mia nota riassuntiva in merito (da
L’ALPINO feb. 93).
Di quanto qui scrivo e delle pagine allegate de L’ALPINO feb. 93 potresti fornire
fotocopia al bravo giovane Dal Borgo, che saluto ed incoraggio a studiare e
scrivere ancora.
A te e redazione il mio migliore saluto e augurio di buon lavoro
Guido Vettorazzo