PENNE MOZZE 1 |
Dicembre 1999 |
Il 30 ottobre al Bosco delle Penne
Mozze di Cison è stata celebrata da don Venanzio Buosi una S. Messa in memoria
dell’artefice del memoriale Mario Altarui, nel decennale della Sua scomparsa,
e di coloro che abbracciarono l’ambizioso progetto e che sono "andati
avanti": Giulio Salvadoretti (scomparso sedici anni fa) e Marino Dal Moro
(deceduto sei anni fa).
Alla presenza di alcuni rappresentanti
delle sezioni alpine della provincia di Treviso, Mario Altarui così è stato
ricordato da un amico e commilitone:
"Sono grato al Presidente
dell’Associazione Penne Mozze del Bosco Claudio Trampetti e al Consiglio
Direttivo per l’incarico assegnatomi di commemorare il prof. Comm. MARIO
ALTARUI, nel decennale della Sua scomparsa.
Lo ritengo un onore, un privilegio,
e spero che le poche, sentite parole, uscite dal cuore, esprimano il concetto
della figura straordinaria dell’Uomo saggio, dell’Alpino convinto e
dell’Amico sincero, qual’era Mario.
La Sua "idea matta", come
l’aveva Egli definita, si è concretizzata con la realizzazione del più
grandioso monumento dedicato alle Penne Mozze.
Perenne dev’essere la riconoscenza
degli Alpini d’Italia e in particolare degli Alpini della Marca Trevigiana.
Dopo quanto è stato scritto e detto
su Mario Altarui, c’è il rischio di ripetersi e cadere nella retorica.
Quindi non sono andato alla ricerca
nelle carte e nemmeno nei numerosi articoli apparsi sulla stampa in occasione
della sua scomparsa, ma ho cercato unicamente nella mia memoria, nei ricordi che
mi restano della mia profonda amicizia con Mario. Tale legame, nato quando poco
più che ventenni eravamo reclute nella caserma di Monigo, si era consolidato
nel tempo una volta divenuti colleghi di lavoro e si era poi fortemente temprato
nel periodo della malattia.
Lontano dalla banalità informativa,
la mia intende essere una breve testimonianza sull’uomo, sul suo impegno nelle
penne nere, anche se mi sarà impossibile parlare dell’uomo e dell’alpino
senza parlare dell’amico.
Voglio quindi approfondire i motivi
veri per cui Mario Altarui è stato un uomo ed un alpino speciale.
Fedeltà ai principi, tanto semplici
quanto irrinunciabili, di fiducia in Dio e nell’Uomo, rispetto profondo dei
valori antichi e mai superati della nostra cultura, della nostra terra, della
nostra gente: era questa la sua religione.
Mario possedeva un’esatta
cognizione della vita, che apprezzava enormemente, ed aveva una profonda
concezione del valore della pace. Ma era altresì convinto che il bene prezioso
della pace su cui si può costruire la ricchezza del presente, godere del bene
del lavoro e godere e capire la bellezza della nostra terra, aveva avuto un
costo.
E questo costo era rappresentato dal
sacrificio di chi per la pace di questa nostra terra aveva combattuto e dato la
vita.
Ai Caduti, al loro ricordo, alla
paziente e diligente ricerca storica delle vicende delle truppe alpine e delle
loro "Penne Mozze", Mario dedicò la sua vicenda terrena, fino a
concepire e realizzare, assieme ad latri amici alpini, la meravigliosa ed
originale opera, che è il memoriale in cui ci troviamo.
Un memoriale dove si potessero
onorare con la fede del cuore gli alpini trevigiani che avevano immolato la loro
esistenza per dover ed amor di patria; un bosco per custodire la memoria del
sacrificio, nella consapevolezza che nessuna civiltà è mai sopravvissuta
all’indifferenza per ciò che è stato, e che mai devono spezzarsi quei fili
invisibili che legano le passate generazioni alla presente;
Un memoriale, questo bosco, dal cui
silenzio partisse un monito verso la valle e la pianura: il monito a non
intraprendere mai, mai più, la strada della guerra.
A questa idea Altarui lavorò con
tutta la sua passione, quella passione che gli alpini sanno mettere nelle opere
in cui credono, ed in questa impresa coinvolse altri meravigliosi alpini, che
abbracciarono con entusiasmo l’ambizioso progetto. Si tratta di figure
altrettanto straordinarie che fanno parte della storia delle Penne Nere di
questa nostra terra: Giulio Salvadoretti, Marino Dal Moro, solo per citarne
alcuni.
In quest’opera riversò tutta la
sua competenza, la sua creatività. Furono anni di attività incessante. Lo fermò
solo la malattia che lo colpì in modo inatteso e violento.
Nel momento della prova lottò con
coraggio, affrontando con la sua naturale grinta morale anche l’ultima
battaglia. Non cambiò il suo modo di vivere, anche nei momenti più difficili
non rinunciò al suo stile.
Non frenò la sua attività, che
ebbe anzi una accelerazione, quasi non volesse lasciare nulla di incompiuto.
L’ultima volta lo vidi in
ospedale, mi mise al corrente dei suoi progetti, uno dei quali era il
completamento della sua opera di ricerca sugli Alpini della Marca Trevigiana
decorati al valore.
Ed invece quel suo ricovero era un
viaggio di sola andata, che doveva concludersi solo poche settimane dopo. E fu
proprio in quell’occasione a confidarmi che siccome non aveva avuto figli,
riteneva suoi figli tutti gli alpini caduti.
Da 10 anni Mario non è più tra
noi. E’ stato tolto alla cara Antonia, agli amici, a noi amici alpini. E’
andato avanti senza avere la gioia e la soddisfazione di vedere completamente
compiuta l’opera del bosco, per la quale tante energie aveva profuso.
Ma Egli vive nei segni indelebili
che ha lasciato in questo straordinario tempio. Ci parlano di lui ogni stele,
ogni albero e la grandiosa Madonna delle Penne Mozze, segno della sua generosità
e della sua sposa Antonietta, bel 25° anniversario di matrimonio.
E le qualità di uomo, prima ancora
di quelle di alpino, sono ancora vive nella nostra mente e nella mente di chi ha
avuto la fortuna di incontrarlo e di rimanere contagiato dalla sua alpinità.
"Alpino sognatore che ai
fratelli ha dedicato gran parte della sua giornata terrena e tutte le risorse
dell’intelletto e dello spirito": questo disse di lui Giulio Salvadoretti
il giorno dell’inaugurazione del bosco.
Sognatore ed anche poeta. Perché
Mario, con quegli altri due poeti che erano Giulio Salvadoretti ed Efrem
Casagrande, ci ha lasciato una semplice straordinaria poesia, che è anche
diventata la preghiera del bosco.
Penne Mozze del mio cuore,
ricordate su a Cison
con un albero e una stele,
erba, roccia e pochi fior.
Morti d’Africa e di Libia
E dell’Alpi e mari ancor
Grecia, Russia e dei Balcani
Ch’el Cristo ve varda
ch’el vento ve basa,
che i alberi canta
al sol e a la luna
canson vecie e nove
de requie e de gloria,
o pena spacada
t’à fato la storia
Penne Mozze per l’onor!
Si tratta di una delle
più belle poesie scritte dagli alpini, poesia in cui è narrata tutta la
tragedia delle Penne Nere, ed in cui si dice quanto siano vivi il dolore, la
pietà ed il legame tra gli alpini vivi e coloro che la guerra, il tempo si è
portato via. Preghiera semplice che recitata in questo tempio diventa cantico
altissimo e struggente.
Mentre la memoria indugia nel
ricordo, inevitabilmente il rimpianto per l’amico carissimo si stempera ora in
nostalgia ora in ferita dell’anima.
Ma nello stesso tempo proprio
ricordando Mario Altarui si rinnova in me l’orgoglio di appartenere
all’associazione alpini, una associazione unica anche per le sue splendide
contraddizioni, una associazione d’arma le cui molteplici attività hanno come
fine ultimo la pace. Uomini che vivono con impegno il presente ma che nella
confusione creata dalle suggestioni di fine millennio ed alle sollecitazioni
della società telematica che vorrebbe la cancellazione di ogni passato, è
attaccata ai propri reduci, rispetta le proprie tradizioni ed onora i propri
caduti.
Amici affratellati da un unico
spirito che riesce ad armonizzare il loro sentire, i loro ideali ed i lori
principi, accomunati nel loro stile e nella presenza da quello straordinario
distintivo di cui vanno fieri ed orgogliosi che è il cappello.
Una associazione, infine, che
annovera ed ha annoverato tra i suoi iscritti anche sognatori e poeti.
Come Mario Altarui.
VIVERE NEI CUORI CHE LASCIAMO DIETRO
DI NOI NON E’ MORIRE
Natore