PROTEZIONE CIVILE |
Settembre 1999 |
1999.
In quattro da Conegliano siam partiti, ad Ancona imbarcati, Kukes destinati. Toni
Speranza, Bruno Danieli, Gianni Della Santa al quale un alpino di Ponte Nelle
Alpi dopo appena poche ore di navigazione lo soprannominerà "AFRICA”
dove è emigrante e il sottoscritto, a Durazzo si aggregherà Ferdinando
Sovran già consigliere nazionale
Precettati
dal Dipartimento della Protezione Civile del Ministero degli Interni 222
alpini della P.C. dell'A.N.A. in maggioranza veneti e friulani, egregiamente
coordinati dal Gen. Maurizio Gorza per costruire una tendopoli per i profughi
del Kosovo.
Gli
alpini che portano l'aquila nel cappello sono tornati nel paese delle
"aquile” dopo 50 anni; in Albania, terra nella quale altre generazioni
di alpini furono inviate a combattere controvoglia una assurda guerra. Ci sono
volute 17 ore per percorrere le 300 miglia che separano Ancona da Durazzo,
nelle quali il Gen. Gorza impartì le direttive della missione.
Desolante il porto di Durazzo, un ammasso di ruggine e ferraglie, carrette del mare
ancorate, altre semiaffondate, i depositi di carburante senza l'isolamento di
cemento, sporcizia da tutte le parti. Faceva bella mostra di sé la nave San
Giorgio della Marina Militare Italiana all'ancora nel porto.
Si accorgerà quando scende di quello che troverà" mi disse il comandante
del traghetto; aveva ragione, immondizia da tutte le parti, carcasse di auto
abbandonate, abitazioni fatiscenti simili alle favelas brasiliane però con
l'antenna satellitare, strade impraticabili dove anche i migliori mezzi
fuoristrada erano in difficoltà.
Dodici ore per raggiungere Kukes e sono solo 240 Km., fortificazioni in cemento
ovunque fatti costruire nel periodo della dittatura comunista per l'ossessiva
paura che l'Albania venisse invasa da altri paesi, isolandosi dal resto del
mondo civile privilegiando la lontana Cina. Troppi tanti anni di dittatura
hanno portato la nazione allo sfascio, tutti ora possono vedere i disastri
della dittatura.
I 52 mezzi che compongono la colonna salgono a passo d'uomo verso la meta su
strade impossibili senza segnaletica stradale con strapiombi che sovente non
si vedeva il fondo senza parapetti, siamo passati su di un ponte fatiscente
con il ferro ruggine che usciva dai pilastri, Cesare Poncato disse: “ i ne a
fat ricolaudar el pont”.
Dai finestrini del Bremach della Regione Veneto era impossibile non vedere le
fabbriche abbandonate, distese di serre distrutte, pochi i terreni adibiti ad
agricoltura.
Nel senso opposto di marcia mezzi di ogni genere scendevano a valle carichi di
profughi in fuga, auto senza targa strappata dai serbi al confine di Morini,
"scafisti di terra" albanesi che con ogni mezzo utile portavano a
pagamento i profughi a valle, guidavano come pazzi per poter fare più viaggi
possibili.
Kukes città di confine con quasi 25.000 abitanti, che in quel periodo ne ospitava
circa 70-80 mila disgraziati, nel primo turno i volontari A.N.A., costruirono
una tendopoli che però poteva ospitare solo una piccola parte della marea
umana di profughi presenti nella città.
Nella struttura operavano solo Italiani, qualche funzionario del Dipartimento,
alcuni Carabinieri, sei o sette vigili del fuoco con quattro cisterne per
l’acqua potabile, la C.R.I. Militare con un piccolo ospedale da campo.
Poliziotti albanesi armati di kalashnikov con il colpo in cappa impedivano che
altri profughi entrassero nel campo al limite del collasso.
Fuori del campo la vecchia miniera di rame in disuso, ogni angolo, ogni spazio
disponibile era occupato. Sotto teli di nailon cercavano riparo dai frequenti
temporali che rendevano il terreno impraticabile, nel fango senza acqua
potabile senza servizi igienici al limite della sopravvivenza, per fortuna la
temperatura impediva il prodigarsi di infezioni, ma quando farà caldo cosa
accadrà?. Anziani, donne, bambini che dormivano mangiavano in mezzo
all’immondizia, neonati che portavano gli stessi pannolini di sei sette
giorni senza possibilità di ricambio “l'apocalisse del 2000”.
Venti alpini del nostro gruppo rimasero in quel campo per dare una mano alla C.R.I.
tutti gli altri a montare il nuovo campo di Kukes 2, distante dal primo un
kilometro, in un altopiano brullo e desolato dove i militari greci avevano già
montato un centinaio di tende bianche senza fondo e senza scavare le scoline
che impediscono l'entrata dell'acqua nelle tende, abbandonandolo.
A sud ovest del campo una postazione di artiglieria albanese con i pezzi puntati
verso il Kosovo.
Per poter posizionare le tende è stato necessario prima livellare il terreno,
squadre alle pale altri che montavano le tende per posizionarle poi nel
terreno livellato. Per impedire furti o atti vandalici sono stati creati i
turni di guardia, per nostra fortuna alcune sezioni avevano al seguito i
gruppi elettrogeni che si sono rilevati preziosi in quanto illuminavano a
giorno parte del campo. Poche le ore di sonno disturbate anche dai colpi della
contraerea serba che sparava agli aerei Nato in missione notturna.
Tutto tranquillo il secondo giorno a parte qualche colpo di mina in lontananza, sera
Don Bruno un piccolo barbuto prete della Caritas di Treviso, ma aggregato alla
sezione di Bassano, decise di celebrare la messa, venne bruscamente interrotto
dall'arrivo imprevisto di circa 2000 profughi.
I miliziani serbi li avevano tenuti per giorni bloccati al confine di Morini, li
vedemmo scendere per i sentieri di montagna a piedi, sono arrivati in
condizioni disperate, piedi piagati ferite di vario genere, affamati e
assetati. Drammatico l'arrivo di una giovane donna kosovara con in braccio il
suo bambino di 18 mesi morto da poche ore, aveva vagato per i monti per
cercare scampo alla pulizia etnica. Il piccolo corpo venne riposto in un
container del dipartimento.
Tutte le bianche tende greche vennero riempite di profughi distribuendo loro acqua e
viveri a secco, le corse all'infermeria a riempire di latte i biberon dei
lattanti, sarà difficile dimenticare quella notte.
Con il passare delle ore i profughi cominciavano a familiarizzare con gli alpini,
raccontando in un italiano stentato delle violenze subite, di villaggi dati
alle fiamme dai miliziani serbi.
Viavai per il campo di osservatori di altre nazioni che chiedevano informazioni sul
metodo di operare copiando l'esperienza e la professionalità degli alpini,
uomini in mimetica con evidenti stemmi dell'U.C.K, molti dei quali emigranti
in Europa e rientrati per arruolarsi per combattere per il Kosovo.
L'ultima sera finalmente Don Bruno poté celebrare la messa interrotta sere prima, a
fine cerimonia alpini friulani e dell'Alpago hanno cantato il signore delle
cime registrata da inviati di rete 4.
Alle 3 di notte del sabato sveglia per la partenza per Durazzo sotto un diluvio, è
stato necessario trainare fuori dal campo alcuni mezzi impantanati. per 4 ore
abbiamo atteso l'arrivo della polizia albanese per la scorta, partimmo da
soli, venimmo poi a sapere che la polizia non era arrivata perché era rimasta
senza benzina.
Qualcuno era preoccupato all'imbarco di domenica per lo stato del mare agitato (forza
6), tutto però andò per il meglio. Doveroso l'omaggio agli alpini del
Battaglione Gemona affondato dagli Inglesi nel 1942 con la nave Galilea, in
quella tragedia perirono più di 1200 alpini quasi tutti provenienti dalle
vallate friulane.
Ci attendeva ad Ancona il gran capo Antonio Sarti che strinse la mano a tutti i
volontari, gli ultimi saluti poi tutti a casa, stanchi ma ci rincuorati dal
fatto di aver contributo ad alleviare alle sofferenze dei profughi.
Andrea Danieli