ELOGIO DEL "TU" |
Maggio 2000 |
Da “L’Azione”
L’abolizione del “lei”
e dei titoli onorifici innumerevoli in Italia, la ritengo giusta e utile per
gli evidenti vantaggi umani e sociali che comporta.
Conviene tenere il passo con
il progresso civile del Duemila, anche nella semplificazione del linguaggio.
Siamo già in ritardo!
Il rispetto nasce dall’educazione dei sentimenti, non dal “lei” o altri orpelli
appiccicati alle persone.
Il “tu” ce lo insegna:
· la lingua latina: “Tu, Cesare Augusto…”;
· la stessa religione cristiana: “Padre nostro… sia
santificato il tuo nome, venga il tuo regno…”;
· lo confermano da sempre inglesi ed americani, portatori di
democrazia effettiva nel mondo: Tu, regina Elisabetta…. Tu, Bill Clinton.
I vari “lei”, “voi”, “cav. Comm. Conte”, “nobile”, “onorevole”, “eccellenza”… più
che segno di rispetto, come si vuole far credere, esprimono volontà di
separare, distinguere, allontanare i cosiddetti notabili ben pensanti dalla
gente comune, dal popolo che lavora con più fatica, e che obbedisce alle
leggi.
Perciò sono segni di perbenismo, di spirito di una casta diversa, privilegiata, di adulti arrivati
a padroncini, a buona società borghese.
Talvolta questa usanza diventa perfino ipocrisia di sottomissione, di timore verso l’altro,
riandando ai tempi dei servi della gleba. Si vuole in ogni caso rimarcare la
distanza, l’ineguaglianza fra uomini che invece restano indistintamente dei
poveri mortali.
Io rispetto e venero il Papa
con maggiore lealtà chiamandolo: Tu, padre santo”!
Tu, signor X, cittadino mio
collaboratore o mio legislatore.
Questa espressione non è affatto contraria alla “buona creanza” bensì
rivela un sentimento di fiducia, amichevole e fraterna, verso i galantuomini.
Tu, come riconoscimento
concreto della dignità di ogni persona, pari a tutte le altre nei “Diritti
universali dell’uomo”; senza alcun paravento che separa e opponga gli
individui fra loro.
Il contino D’Azeglio
chiedeva al padre Massimo: «Papà, siamo nobili?». Risposta: «Tu diventerai
nobile solo se sarai virtuoso».
E’ riaffermazione della
validità dell’essere e non dell’apparire, perché ciascuno di noi è
figlio soltanto delle proprie azioni.
Ho scoperto chiaramente
tutto questo nella sofferta nudità umana dei lager nazisti.
Giovanni Mariot