PARTE A SARAJEVO L'OPERAZIONE "SPERANZA" |
Dicembre 2000 |
La Bosnia e la sua tragedia. L'immane
tragedia che ha sconvolto la Bosnia ha portato questa regione all'attenzione
dell'opinione pubblica mondiale. Il dramma infinito di distruzione e morte, che
ha coinvolto soprattutto cittadini inermi è stato, in effetti, un dramma
annunciato alla cui esplosione e ai cui sviluppi l'Europa non è certo estranea.
Una sorte e una storia quelle bosniache contrassegnate dalla sventura. A
cominciare dalla collocazione geografica. Un paese dalla natura aspra e
difficile da dominare, quasi senza sbocchi al mare, tranne un brevissimo tratto
della costa adriatica, senza porti di un qualche rilievo, montagne selvagge e
impervie; poche le pianure, lungo il basso corso della Neretva e lungo la riva
meridionale della Sava; un oppressivo clima continentale, un terreno che, per il
suo carattere accidentato, è di fatto coltivato solo per un quarto; scarse e
scarsamente sfruttate le risorse naturali a causa delle pessime vie di
comunicazione.
Una storia tormentata. Una
storia quella della Bosnia non meno tormentata della sua geografia, sempre al
limite della catastrofe. Una storia che è, in gran parte, un susseguirsi di
occupazioni straniere da quando, agli inizi del VII secolo, le tribù slave
meridionali vi si stabilirono sostituendosi all'elemento romanizzato.
Assoggettata alla Bulgaria nel X secolo, la Bosnia fu teatro di durissime lotte
religiose alla fine delle quali, dopo alterne vicende, cadde sotto il dominio
magiaro. Al termine di una breve ma felice parentesi di parziale indipendenza
(il Regno di Bosnia, tra il XIV e il XV secolo) sopraggiunse la feroce
occupazione turca che mise fine ad ogni sviluppo economico e che, per quasi
mezzo millennio, pesò terribilmente sulla regione. Solo nel 1878 il Congresso
di Berlino stabilì che la Bosnia, rimanendo salvo il diritto di sovranità
turco sul territorio, fosse data in amministrazione all'Austria-Ungheria, che
nel 1908 procedette unilateralmente all'annessione. Da qui, poi, quelle
situazioni dense di tensioni che sfociarono nell'assassinio di Sarajevo (giugno
1914), miccia-pretesto per la prima guerra mondiale, l'ingresso a guerra finita
nel Regno di Jugoslavia e l'annessione al Regno di Croazia (1941-45) con la
conseguente occupazione delle truppe italo-tedesche e la reazione partigiana
soprattutto nelle zone montuose del paese, la partecipazione come Repubblica
popolare di Bosnia-Erzegovina alla Jugoslavia di Tito che, bene o male,
assicurò un periodo di pace, e infine il referendum del primo marzo 1992, data
della proclamazione dell'indipendenza e dell'inizio della guerra civile.
Il nostro intervento. Su questa
disgraziata regione sembra pesare una maledizione biblica, avendole la storia
conferito il ruolo di vittima innocente delle divisione delle grandi civiltà e
delle quattro confessioni che qui convivono da sempre -ortodossi, mussulmani
cattolici ed ebrei- ognuna esclusa e rigorosamente separata dalle altre. La
sequela di distruzione e morte che si è abbattuta sulla Bosnia è storia
recente e le immagini di Sarajevo distrutta sono ancora indelebilmente impresse
nella nostra memoria. La ricostruzione ha preso il via tra mille difficoltà, ma
sono numerose le associazioni internazionali attualmente in quella regione. Ora,
non si sa per quali vie, il vescovo ausiliare di Sarajevo, mons. Pero Sudar, è
arrivato alla nostra Associazione, a Milano. Incontrandosi con il presidente
Parazzini, ha rivolto alla grande Famiglia Alpina l'invito a collaborare nella
ricostruzione ed ampliamento di una grande scuola. Accolta con riserva la
richiesta del vescovo bosniaco, Parazzini ha inviato a Sarajevo una commissione
composta da Bortolo Busnardo, Luciano Cherobin, Lino Chies, Sebastiano Favero e
Cesare Poncato. Sentito il loro parere sulla situazione, il CDN, nella seduta
del 22 luglio scorso, ha approvato all'unanimità l'intervento, stanziando 900
milioni della somma raccolta con la petizione a favore delle popolazioni dei
Balcani. L'istituto scolastico si trova a Zenica, a 45 chilometri da Sarajevo.
Ospita oltre 500 ragazzi delle scuole medie e del ginnasio e ne ospiterà 800 a
opere concluse. La sua ricostruzione e ampliamento rientrano nel progetto
"Le scuole per l'Europa". All'ANA sono stati assegnati i lavori
riguardanti l'impianto elettrico e sanitario, l'impianto di riscaldamento, la
costruzione di finestre, porte, la posa dei pavimenti e l'imbiancatura, i lavori
in pietra e ceramica e di stagnatura. Le adesioni all'intervento (sono previsti
turni di lavoro settimanali) verranno inoltrate, attraverso le Sezioni,
direttamente alla Segreteria della Sede Nazionale.
Le motivazioni. Molteplici sono
le motivazioni che hanno convinto l'Associazione ad impegnarsi in questa corposa
iniziativa di solidarietà. C'è innanzitutto la convinzione che, se Sarajevo è
stato il simbolo della divisione (nei templi della città gli orologi battevano
un tempo quattro ore diverse) la capitale della Bosnia potrebbe diventare
città-simbolo di pace, convivenza e tolleranza (in tale spirito, gli alunni che
frequenteranno la scuola appartengono a varie etnie). E si sa che l'anelito di
un mondo di pace sta in cima a tutto l'operare alpino. L'intervento degli
Alpini, sempre attenti alle vicende di chi è colpito dalla sofferenza e dalla
sfortuna, vuole anche essere una denuncia contro l'indifferenza dell'Occidente,
chiuso spesso nel suo egoismo di benessere raggiunto. Vogliamo dire che non
siamo insensibili alle vicende di questo popolo sempre stravolto dalla guerra e
sempre in lotta per la sopravvivenza, capace di subire e soffrire con dignità a
tal punto da fare del suo atteggiamento verso la sofferenza il senso più
profondo della sua esistenza. Ricostruire con umiltà ed impegno là dove la
sciagura, la guerra o l'odio hanno devastato è forse l'arma più potente di cui
si sono sempre serviti gli Alpini per far sentire la loro voce. Forse però ha
pesato più di tutto nella decisione della Associazione la sorpresa di essere in
qualche modo conosciuti in un paese di cui, solo pochi anni fa, ignoravamo quasi
l'esistenza, in una regione che un tempo faceva parte di quel nulla che,
partendo da Trieste e Gorizia, si estendeva immenso e silenzioso fino alla
Manciuria.
I ponti di Bosnia. Avvicinandoci
a questo paese balcanico prima sconosciuto abbiamo scoperto che l'interprete
più lucido ed acuto di questa disgraziata terra è stato lo scrittore Ivo
Andric (1892-1975) insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1961. Tema
ricorrente della sua narrativa sono "i ponti" e non a caso "Il
ponte sulla Drina" è considerato il suo miglior romanzo. I ponti sono
determinanti nella formazione dei territori civili, simboli tangibili e momenti
fondamentali nella storia e nella vita, costruiti per avvicinare, collegare,
vincere la natura e le sue forze a volte nemiche e accompagnare il flusso della
storia verso un futuro diverso e migliore.
"Di tutto ciò -scriveva Andric- che l'uomo, spinto dal suo
istinto vitale, costruisce ed erige, nulla è più bello e più prezioso per me
dei ponti. I ponti sono più importanti della case, più sacri perché più
utili dei templi. Appartengono a tutti e sono uguali per tutti, sempre costruiti
sensatamente nel punto in cui si incrocia la maggior parte delle necessità
umane, più duraturi di tutte le altre costruzioni, mai asserviti al segreto o
al malvagio. Tutto ciò che questa nostra vita esprime -pensieri, sforzi,
sguardi, sorrisi, parole, sospiri- tutto tende verso l'altra sponda, come verso
una meta, e solo con questa acquista il suo vero senso. Tutto ci porta a
superare qualcosa, a oltrepassare il disordine, la morte o l'assurdo. Poiché
tutto è passaggio, è un ponte le cui estremità si perdono nell'infinito e al
cui confronto tutti i ponti di questa terra sono solo giocattoli, pallidi
simboli. Ma la nostra speranza è su quell'altra sponda."
La prima riunione della "Commissione Bosnia", invitata dal CDN ad
organizzare l'intervento pianificandone le varie fasi, si è tenuta martedì 25
luglio scorso nella sede della Sezione "Montegrappa" di Bassano, a
fianco dello storico ponte degli Alpini. Scorgendo dalla sala le nobili e
caratteristiche arcate sotto cui scorre impetuoso il Brenta, ci è venuto
naturale collegare questo magnifico manufatto, più volte distrutto e sempre
ricostruito, ai tanti ponti di Bosnia devastati dalla guerra. E ad altri ponti
tanto cari agli Alpini.
Lino Chies