GIOVANNI LUGARESI |
Giugno 2001 |
Il 9 maggio 2001. nella sala di Palazzo Sarcinelli, Giovanni Lugaresi ha presentato il suo
ultimo libro Anarchico il pensier.
L’incontro è stato organizzato dal Gruppo Alpini Città, in collaborazione
con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Conegliano, su sollecitazione di
Lino Chies e Toni Battistella, da vecchia data amici di fede alpina
dell’autore.
Giovanni Lugaresi, romagnolo di nascita e veneto di adozione, collabora a
quotidiani e riviste ed è autore di numerose pubblicazione. È noto per essere
una delle “voci” delle Penne Nere, essendo frequenti i sui reportage
sull’”Alpino”. Dopo il saluto ed un breve intervento del sindaco Zambon,
Lugaresi è stato presentato ai convenuti da Chies. E’ stata, per il nostro ex
consigliere nazionale, l’occasione per tracciare un profilo della nostra
Associazione. «Non è facile per nessuno-
ha esordito- capire cosa sono gli
Alpini, né agli stessi spiegarlo. Gli Alpini non possono essere definiti perché
troppo controcorrente, perché spesso il loro atteggiamento è incomprensibili e
paradossale. A volte, poi, le Penne Nere sembrano l’emblema della
contraddizione.»
Ha poi ribadito che di tali contraddizioni gli Alpini ne vanno fieri perché, a
volte, si tratta di “splendide” contraddizioni. Una di queste, infatti, è
senz’altro Giovanni Lugaresi, voce degli Alpini, grande e splendida voce degli
Alpini che però …non ha fatto la naja tra gli Alpini. Chies ha continuato
dicendo che mai avrebbe spifferato questa “malignità” se non l’avesse
l’autore stesso ampiamente confessata nel libro che si stava presentando. In
uno dei racconto dedicati agli Alpini si legge infatti: «
Spesso mi è capitato di incontrare persone le quali mi chiedevano se avessi svolto il
servizio militare nelle truppe alpine. E il perché si spiegava facilmente: la
mia partecipazione in veste di cronista alle annuali adunate nazionali delle
penne nere. Una partecipazione assidua e certamente appassionata, il che faceva
credere, appunto, che anch’io fossi dei loro.
Alla risposta negativa, e che la naja l’avevo fatta nel Genio, constatavo una
sorta di delusione nei miei interlocutori. Ai quali, peraltro, dovevo spiegare
il perché di questa mia “passione alpina».
Parlando della sua amicizia con Lugaresi, Chies ha ricordato che se il Nordest
ha saputo dell’”Operazione Sorriso” in Russia, questo lo si deve alle
puntuali cronache sul Gazzettino del giornalista romagnolo. E di questo lo ha
ringraziato. Un applauso è partito dai presenti quando poi ha comunicato,
leggendo anche la motivazione, che a Genova Lugaresi sarebbe stato premiato dal
presidente Parazzini quale “giornalista alpino dell’anno”.
«La
storia di Giovanni Lugaresi, - ha concluso Chies - voce degli Alpini e grande alpino che non è alpino non è poi così nuova. Si
ripete anche nei nostri Gruppi e nelle nostre Sezioni, popolati anche da alpini
stupendi che un giorno scopri che non hanno militato nelle truppe alpine. Alpini
che lavorano con straordinaria passione ed in silenzio e che magari con umiltà
ti dicono che non hanno il coraggio di esibirsi con il cappello e la
penna.Questo è forse il miracolo che salverà le Penne Nere. Non so quale sarà
o potrà essere la sorte della nostra Associazione. Ma “alpini” come
Giovanni Lugaresi, costituiscono la certezza che sapremo trovare la formula per
non morire. Una volta che sapremo scoprire che, oltre che diventare, alpini si
può anche nascere ».
Prendendo la parola Lugaresi ha spiegato che la sua passione per le Penne Nere
nasce dalla constatazione che nella sterminata letteratura cosiddetta di guerra,
la componente alpina rappresenta un elemento tutt’altro che trascurabile, dal
momento che alcune centinaia di testi si riferiscono, appunto, a vicende che
hanno come protagoniste le Penne Nere. Sono vicende che parlano di gente
montanara chiamata a combattere, prima (cioè nella Grande Guerra) nel proprio
habitat, quindi, nei conflitti che seguirono, un po’ dovunque: dalle sabbie
africane ai monti della Grecia e dell’Albania, fino alle sconfinate steppe
russe. Quella letteratura di guerra scarpona si confonde (o meglio, è specchio)
con la vita. Perché le Penne Nere le abbiamo poi viste all’opera in questi
anni di pace: intervenire volontariamente, generosamente, in ogni calamità
naturale. A portare aiuto alle popolazioni colpite: dalla tragedia del Vajont al
terremoto in Armenia, dalle alluvioni ad altri sismi, come quello del Friuli,
fino alla progettazione, al finanziamento ed alla costruzione con le loro mani
dell’asilo-scuola materna donato al comune di Rossosch, per ricordare il mezzo
secolo della battaglia di Nikolajewka: un gesto di pace, rispecchiante un ideale
di pace. «Ecco il perché della mia
passione per gli Alpini: esempio di una umiltà e di una generosità
straordinarie, di un valore e di una capacità di sofferenza rari». Citando
poi alcuni scrittori Lugaresi ha affermato che
la letteratura alpina è vita perché gli Alpini sentono quello che scrivono e
scrivono quello che vivono.
Nel suo libro Lugaresi parla anche dell’attaccamento delle Penne Nere nei
confronti dei muli, ricordando che anni fa alcuni alpini evitarono a quelli
della Cadore la fine ingloriosa del macello. Animali buoni, umili, mansueti,
utili ed intelligenti, questi quadrupedi sono stati silenziosi testimoni delle
pagine più tragiche scritte dagli alpini. Forse però il motivo vero del grande
affetto per i muli è un altro: si tratta di animali forti, resistenti, di poca
spesa ma, soprattutto, ostinati. Come gli Alpini.
In Anarchico il pensier un
racconto è dedicato a Don Gnocchi, l’eroico sacerdote che dopo la tragica
esperienza della campagna di Russia si dedicò interamente ai mutilatini della
seconda guerra mondiale, concludendo la sua vita con quell’ennesimo gesto di
amore di cui tutti sanno: il dono delle cornee. Lugaresi ha letto poi
testualmente ciò che il cappellano della Tridentina pensava e diceva degli
Alpini: «Questa gente il sacrificio ce
l’ha nel sangue... L’alpino è sempre originale, pittoresco, armonioso. Se
s’aggrappa, forma inconsciamente una composizione; se monta su di un carro, ne
nasce un quadretto di grazia campestre. Neppure l’uniforme militare riesce del
tutto a soffocarne l’individualità; perché un modo di portare il cappello,
una posa, un ornamento qualunque lo distingue e lo segna in modo
inconfondibile… La religione per questa gente non è mai un momento o un
episodio; è uno stato, una forma, un modo di vita; sangue vivo e succo vitale.
Una disposizione permanente e quasi istintiva verso l’eterno, che dà sapore e
colore a tutte le manifestazioni della loro vita e imbeve il loro linguaggio
concreto e incolore, levandolo a una dignità, e spesso a una maestà, di sapore
quasi biblico». Queste citazioni sono state musica per le orecchie degli
Alpini convenuti in palazzo Sarcinelli.
Da che storia è storia non si ha memoria di un consesso di alpini che si sia
concluso parlando solo di letteratura. Ragion per cui l’incontro è proseguito
nella taverna in via Beccaruzzi dove il Gruppo Città aveva allestito un
sontuoso rinfresco.
Dal Mas Gianfranco