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Dicembre 2002

Ricordi di guerra di Evaristo Paladin

SULLE RANE DI GIANNINA

Nell’aprile 1941 durante l’avanzata verso Atene il Gruppo “Valle” della Divisione “Julia” arrivano al Lago di Giannina e vi sostano. Il lago era contornato da dolci colline verdi e boscose. I viveri scarseggiavano e così gli alpini si misero a pescare le abbondanti rane con le mani. Rane belle e grosse come una bigna di pane. Pelate con la baionetta, tenuta sempre ben affilata, venivano lessate nella gavetta su di un fuoco improvvisato, se non venivano mangiate addirittura crude, tanta era la fame e l’impazienza.
Purtroppo mancava il sale, cosicché venivano mangiate finché c’era molta fame e così quando, appena dopo l’armistizio, arrivarono i viveri, si abbandonò subito quella dieta.
“Dopo siamo tornati indietro fino a Skutari, in Albania, con una marcia a piedi di 500Km in circa 20 giorni”.

LA CONSEGNA DELLE ARMI

Al Passo della Cisa (tra Parma e La Spezia) appena dopo l’8 Settembre 43.
Scendevamo il passo per raggiungere il Comando del Reggimento (eravamo una Divisione completa). Verso mattina, alle 6,30, già chiaro, sostammo per prendere il caffè, già pronto nelle marmitte portate dai muli. Udiamo allora un grande rumore di motori che non si sapeva se veniva dal cielo o da terra: erano due colonne di autoblindi tedeschi,una che veniva su da La Spezia e l’altra giù dal Passo.
I tedeschi aprono allora un grande fuoco da panico (bombe a mano e colpi in aria) che blocca ogni: nostra iniziativa. Gli alpini, sbandati di qua e di là, vengono raccolti da piccole pattuglie tedesche organizzate con fischietti per segnali in codice.
Alcuni di noi furono raccolti sulle autoblinde fino  a riempirle.
I moschetti furono distrutti con un colpo per terra.
Altri scapparono nel bosco. Io salii su una autocarretta piena di viveri e benzina. Mi inoltrai in una mulattiera nel bosco ed incontrai il mio tenente che voleva tornar indietro con me per affrontare i tedeschi munito della sola pistola d’ordinanza. Riesco a convincerlo a salire e a procedere innanzi finché incontriamo una pattuglia tedesca.
I tedeschi si arrabbiarono col tenente perché non teneva la  pistola nella fondina e lo fecero prigioniero. Prelevarono anche il mio fucile e lo spaccarono per terra (fu duro veder trattare così l’inseparabile compagno di 6 anni di naia!). Poi, intuitivi come i bracchi indicarono la cassetta dove trovarono giberne e baionetta. Buttato via tutto, si dirigono verso i punti più nevralgici.
Mi allontano a piedi, ma dopo un po’ mi rincresce di aver perso l’autocarretta e ritorno indietro, ma trovo lì un’altra pattuglia tedesca. Con il poco tedesco imparato dai tedeschi alla Cisa, chiedo se posso prendere la macchina per tornare da mia mama.
Il Comandante della pattuglia mi risponde: “‘HAIDE MACHINE MAMA!” e mi  fa cenno di andare. E allora via, con la paura di un rimorso tedesco in forma di una grande fiammata di lanciafiamme, che non lascerebbe più niente. Per fortuna non fu così.
Raggiungo un paesetto, dove baratto l’autocarretta con dei vestiti civili e mi dirigo verso casa con un piccolo equipaggiamento per la notte.
Dopo circa 7 giorni sono a S. Polo, in famiglia, dove torno a lavorare i campi grazie, in primo tempo, al servizio di vedetta fatto dalle nostre donne, e poi dall’esonero della TODT per i lavori agricoli, sebbene ebbi dei problemi, una volta con le milizie della Repubblica Sociale, da cui mi disimpicciò l’intelligenza di mia madre.

SEI ANNI IN GRIGIOVERDE

...li ho passati abbastanza volentieri, con buona rassegnazione, senza astio verso le varie autorità. militari e politiche (con un adattabilità (ndr rassegnazione, ironia, che gli derivarono probabilmente dal buon senso e dalla humanitas tradizionale con cui fu educato).
Infine: su 6 anni di naja solo 3 mesi in caserma, il resto in tenda e mai lenzuola.

Silvestro Barro