GLI ITALIANI IGNORANO IL CONCETTO DI PATRIA |
Dicembre 2002 |
di
Mons. Girolamo Grillo
Vescovo di Civitavecchia
e
Tarquinia
Anch’io
mi sono chiesto perché gli italiani, o parte di essi, evitino di cantare ad
alta voce l’inno di Mameli e di tenere la mano sul petto Quale potrebbe essere
la vera motivazione di questo atteggiamento? Credo che la risposta non sia
facile come può sembrare: invitiamoli a cantare, facciamo pubblicità, si
facciano intervenire anche le massime Autorità dello Stato… Canteranno tutti?
Forse, nella cultura della nostra
gente, per molteplici cause si è smarrito il concetto di Patria, alla quale si
dovrebbe inneggiare; oppure non c’è mai stata una vera convinzione di
sentirci tutti fratelli, legati alla terra dei padri.
Nessuno di noi potrà dimenticare che, subito dopo «l’unità»,
un noto politico che ne era stato fra i protagonisti, il conte Camillo Benso di
Cavour ebbe a dire: «L’Italia è fatta, ma adesso bisogna fare gli italiani».
Non si pensi che sia facile estirpare da noi le radici regionalistiche. Si
provi, per esempio, a intonare in un campo sportivo calabrese: Calabresella
mia; in Romagna, Romagna mia e; nella Lombardia, O mia bela
Madunina eccetera! Forse ci sarebbe un boato non un canto! E allora?
Non si dimentichi poi che nel secolo scorso, per interi decenni, siamo stati
inondati da nazionalismi e internazionalismi, nati già precedentemente nel
secolo XIX in Francia, Russia e altrove. Chi mai agli italiani, fatte le debite
eccezioni, ha parlato di Italia come terra dei propri padri? Hanno sentito forse
l’Italia come propria terra i contadini del centro-sud che poi durante la
prima guerra mondiale, sono stati mandati in prima linea a combattere, senza
neppure saper sparare un colpo?
Né possiamo dimenticare, nella valutazione di alcuni problemi antropo-logici e
culturali, la mancanza nella nostra lingua di una chiara espressione, che
definisca la «terra dei padri».
I tedeschi ce l’hanno nella parola «Vaterland» e gli inglesi nella parola «Home»,
che significa «Casa paterna». Sono convinto, quindi, che nella nostra mentalità
sia entrata più l'idea di «nazione» e di «stato», che quella molto più
importante di una realtà comune, che ci appartiene come oggetto di culto, di
amore e di devozione. Ecco il perché della mano sul petto.
Sì, proprio di devozione. Più di trent’anni addietro, andando per la prima
volta negli Stati Uniti d’America, mi impressionò moltissimo il fatto di
vedere in quasi tutti i salotti la bandiera americana al posto d’onore; come
mi impressionò quanto accadde il 4 luglio, festa nazionale della indipendenza,
quando trovandomi a celebrare l’eucaristia in una chiesa cattolica di
Mansfield nell’Ohio, al momento dell’Offertorio l’organo e il coro hanno
intonato l’inno americano, mentre il popolo scattava in piedi e con la mano al
petto cantava l’inno della nazione americana che, pur essendo multirazziale e
multiculturale, si sentiva una sola cosa.
In conclusione c’è da pensare che in Italia, più che i Cd regalati da
giornali e da autorità civili, sia necessario scavare più a fondo per creare
una «Patria». Al limite, si potrebbe ottenere pure il canto muovendo le
labbra. Ho i miei dubbi però, che molti connazionali siano disposti a impegnare
il loro animo. Poiché, infatti alle labbra si può comandare ma all’animo no.
Affinché le emozioni si muovano e agiscano, sono necessarie ben altre ragioni:
che si inculcano fin da bambini; e facciano presa gradatamente, tenendo conto
della personalità e della responsabilità di ciascun essere che ci sta davanti.