Caro Gesù Bambino |
Dicembre 2004 |
di Leonardo Caprioli
E arrivammo al Natale 1942. Il cielo era opaco, immobile quella sera: un cielo di guerra acceso da
improvvisi scoppi di luce per il mio
primo Natale di guerra.
Era la notte di Natale ed io ero lì con i miei vent’anni e la mia sommessa malinconia nella bianca
solitudine di un mondo ostile e freddo, a pochi metri da un inferno di violenza e di fuoco... pure,
dentro di me, viva e vibrante sentivo la luce tenera dei Natali passati, la patetica, fragile poesia
dei Natali in famiglia, i doni sotto l’albero, gli auguri, gli abbracci, quel senso di calda,
inebriante sicurezza e protezione.
Il mio “io” di allora, le mie speranze, i miei affetti come li vedevo lontani in quel momento, quasi
appartenessero ad un’altra dimensione.
Salii lentamente all’aperto, nella morsa gelida dell’aria: ero di ispezione alle vedette quella
notte. Passando al di sopra delle buche scavate sotto la neve, ascoltai: là sotto cantavano, confuse
e nostalgiche nenie Natalizie; ed anche se non li vedevo, immaginavo esattamente quello che i miei
compagni stavano facendo: scrivevano, guardavano per l’ennesima volta foto di gruppi familiari,
certo sognavano anch’essi.
Camminando urtai contro qualcosa di pesante, fra la neve: erano scarponi militari, “gli scarponi in attesa, come tanti anni fa nella dolce quiete
del proprio paesello, dei doni di Gesù Bambino”. Feci scivolare dentro di essi, furtivamente,
qualche sigaretta e due o tre pezzetti di cioccolato: il nostalgico dono di un Natale che per molti
sarebbe stato forse l’ultimo.
E’ anche questo l’interrogativo che si agitava dentro di noi; ma ad esso rispondeva solo l’ideale
meraviglioso ed eroico al quale ci eravamo votati: forse domani saremmo andati incontro alla morte,
ma questa notte di Natale
avremmo voluto ignorare l’inferno che ci circondava e rifugiarci nella tenerezza dei ricordi e nel
sogno di un mondo di pace.
Iniziò la Messa di mezzanotte; dalla linea si alzò la scia di un razzo, ad annunciarla, e il cielo
si accende per un momento di rabbiosi scoppi nemici; poi il silenzio...
E là, dalla mia buca nella neve, mi scoprii a pregare il Gesù Bambino della mia infanzia, perché
questo inferno bianco aveva annullato ogni sensazione presente, per riportarmi ai sentimenti più
veri e vivi nell’animo.
“Gesù Bambino, abbiamo vent’anni e forse per molti di noi non finiranno mai; proteggili Tu, questi
trepidi vent’anni di eroismo, di forza, di illusioni e fa che, se la morte ci verrà incontro, sia
l’azzurro cielo di Cantore a perpetuare per essi e per sempre la magia del Natale.
Lassù, la mistica schiera dei luminosi eroi che ci hanno preceduto, sa che per alcuni di noi verrà
il giorno dell’estremo sacrificio; Tu, Bimbo, fa che in quel momento, se e quando verrà, noi abbiamo
la forza di continuare ad essere fedeli agli ideali che hanno sempre illuminato la via di tutti gli
alpini, sì che il posto che Cantore ci ha riservato, sia da noi degnamente occupato: Tu, Bimbo, fa
che il coro degli alpini del Cielo possa risuonare all’infinito anche delle nostre voci, in un
perpetuo dolcissimo canto di Natale”.
(tratto dal libro “Cantavamo Rosamunda” di Leonardo Caprioli)