PENNE MOZZE |
Ottobre 2004 |
Oggi nessuna nuvola incombe sui faggi al limite del bosco ed è l’azzurro del cielo a segnare la volta di questo strano tempio all’aperto. Incontro Piero Minet, reduce di Russia, e penso che non sono uguali per tutti le motivazioni che oggi ci hanno portato in questo memoriale.
“A trovare i miei”
Per Piero ogni anno il rito è lo stesso: fermarsi ad ogni
stele a leggere nomi e date, come se fosse la prima volta e poi intrattenersi a lungo in un punto ben preciso del bosco.
«Sono andato a trovare i miei» mi dice. I “suoi” sono i 14 Alpini del Gruppo che con lui avevano intrapreso la ritirata
nella tormenta della steppa e si erano poi fermati per sempre lungo le piste gelate. Le sue visite nel bosco sono
frequenti. Lassù, nel muto colloquio con i suo amici Alpini, gli riesce più facile scaricare l’angoscia di non riuscire
a raccontare tutto, angoscia che accompagna l’esistenza di ogni reduce.
Ora è continuo l’andirivieni per i sentieri del bosco dove
ogni stele è un nome, ogni nome una storia di dolore e di morte e un monito perché gli uomini vivano in pace. Quassù,
vicino alla grande croce, regna una quiete irreale e non si avverte la concitazione degli Alpini che si stanno
predisponendo attorno all’altare per la cerimonia.
La campana
Due squilli di tromba ed è improvviso silenzio. Tantissimi
Alpini, i veci e i bocia trasformati nel volto dal cappello che li uniforma facendo sembrare i veci più giovani ed i
bocia più vissuti. Tanti gli amici, tante famiglie.
Ed è il ruscello che scende a valle a farsi sentire. Il
vorticoso scorrere dell’acqua diventa la colonna sonora della cerimonia sottolineandone il grande silenzio.
Questi sono giorni difficili per gli Alpini. La naia è stata definitivamente soppressa, la battaglia combattuta ad ogni livello
dall’associazione è persa, la fine dell’ANA è segnata, anche se gli Alpini cercheranno in tutti i modi di inventarsi un
futuro. E nell’incertezza del futuro è naturale che essi si rifugino nel loro passato, nella loro identità. Ecco perché
oggi sono più numerosi del solito: perché è qui nel Bosco la loro identità più genuina, perché qui ci sono gli Alpini di
oggi e quelli di ieri, che con il loro sacrificio hanno scritto la vera storia delle penne nere.
Si fa interprete di questi sentimenti Nicola Stefani. Il
suo intervento, appassionato come sempre, è nel ricordo delle vite spezzate, delle penne mozze, del “lutto degli
Alpini che va ‘la guera, la mejo soventù che va soto tera”. E ad accompagnare la tragedia degli Alpini c’è ogni
volta una triste campana che suona piano… e par di sentire la poesia struggente di una canta alpina.
Nelle sue parole c’è tristezza ma anche fiducia: «Sono convinto che a dispetto di tutti quei politici che quando sono a
Roma e si dimenticano di tutte le promesse fatte in periferia, noi quei valori li abbiamo coltivati sul serio,
annaffiati e coccolati con coraggio e onore, con la concretezza e la dignità di chi è consapevole del proprio passato e
anela a migliorare il proprio futuro. Così avviene che quella campana oggi suona per tutti, anche per riconciliare gli
uomini… E continueremo a combattere armati come siamo di fede e di amore perché così onoreremo i nostri veci del
bosco…».
Il capogruppo di Pieve di Soligo, COllodet, prima della cerimonia
Il Vessillo sezionale a Cison
Vessilli e Gonfaloni onorano i Caduti
“Che ‘l Signor fèrme la guera…”
E’ il canto che intona il “Col di Lana”, è anche quello
che sta scritto su ogni stele ed ogni cippo di questo memoriale, è anche l’urlo che parte dal silenzio di questo bosco.
Più voci si succedono al microfono dell’altare ma è unico il messaggio rivolto alle steli del bosco: “Si pensava che
l’ultima spaventosa guerra fosse l’ultima, cari amici, e che il vostro sacrificio non fosse inutile. Non è andata così:
altre guerre, altri massacri, altre aberrazioni, altri odi di uomini contro uomini, e non è finita. Ed anche oggi
conosciamo la disperazione di quel popolo buono che voi avete conosciuto e che ancora non vede la fine delle sue
tragedie. Così i vostri sacrifici, le vostre illusioni, le nostre speranze sono rimaste nella mente e nel cuore. Ma noi
uomini sani di mente e di sentimenti, che siamo la grande maggioranza, noi malgrado tutto speriamo ancora, in
particolare noi Alpini abbiamo fiducia in Dio, negli uomini, in questa nostra terra.”
L’Alpino fra Caudio
Una delle novità di quest’anno è che a celebrare la
funzione eucaristica è arrivato da Roma un frate con tanto di cappello alpino. Un cappello autentico, perché Padre
Claudio ha fatto la sua bella naia nella Cadore. Era un appassionato scout, Claudio Durighetto e, come ricorda
nell’omelia, con la sua squadra veniva a fare i campi proprio in questo bosco. Un giorno, durante un campo scout in
Umbria, venne a mancare il sale. Claudio bussò ad un portone, gli aprì un frate… Poi la naia, poi il ritorno in Umbria
ad indossare il saio, richiamato dalla voce che gli era partita dentro il giorno del sale.
Padre Claudio è quello che giunse un giorno a bussare alle
porte degli Alpini di Conegliano e Vittorio Veneto per portare aiuto alle clarisse di Assisi, buttate fuori dal loro
monastero dalla devastazione del terremoto. Era nata così l’operazione “San Quirico” seguita poi dall’operazione “San
Gerolamo” in Gubbio.
Padre Claudio è stato chiamato per questa celebrazione
dagli Alpini di San Quirico, e nell’omelia ripercorre le tappe di quella indimenticabile esperienza. Ricorda come venne
via via a consolidarsi quello strano binomio Alpini-Clarisse, riconoscendo come gli Alpini siano anch’essi, a loro modo,
“francescani”, interpretando in pieno, con il loro spirito di gratuità, il messaggio del poverello di Assisi.
Preghiera dell’Alpino
L’ultimo momento della cerimonia è di quelli che solo gli
Alpini possono e sanno scrivere. All’annuncio della “Preghiera dell’Alpino”, il silenzio si fa impressionante, rotto
solo dalle note struggenti del “Signore delle cime”. Poi i rintocchi tristi della campana del Bosco. Forse un giorno la
Preghiera dell’Alpino sarà cambiata perché obsoleta: tanti muri sono caduti, infatti, i nemici non stanno più oltre le
nude rocce ed anche i ghiacciai non sono più perenni (anche il Padre Nostro è stato modificato). Ma qui al bosco
continueremo con questa, per rispetto ai nostri veci.
Momento suggestivo e struggente. Non meno però di quello
che si celebra qui nel bosco la vigilia di ogni Natale: quando all’imbrunire gli Alpini salgono dalla pianura, spesso
sotto i fiocchi di neve, per una prece ed una poesia e per accendere un cero che illumini la notte del bosco. Per dire
della fantasia degli Alpini o, forse, dell’amore per i loro morti.
Gianfranco Dal Mas
SACRO E PROFANOCol di Lana Gf.D.M. |
Penne MozzeAnime immobili. |
Spedito Selevestrelle è una delle “penne mozze” che hanno una stele nel Bosco. Ferito in Grecia non
è mai tornato dalla Russia dove venne dato per disperso a Popovka il 23 gennaio del 1943. |
Hanno fatto 1400 chilometri per essere lì anche loro, al Bosco delle Penne
Mozze a commemorare gli Alpini Caduti. |
Alpini, autorità civili, religiose, militari, tanta attesa tanta trepidazione per questo momento
così intenso così importante ma alla fine, qui al Bosco resta solo il cuore, la voce del cuore, che non conosce
riserve, non necessita di diplomazia, è autenticamente libera.
Guardo insieme a voi, in questo verde
settembrino, le chiome dei pini dritte verso il cielo, sono libere appartengono ad una forza soprannaturale
straordinaria per bellezza e perfezione; trasmettendoci pace e serenità ci parlano dell’esistenza di regole immutabili
che reggono l’universo.
Qui veniamo da 33 anni per ritrovare le
regole di una convivenza saggia e civile che la terribile cronaca dei nostri giorni ci fa temere perdute.
Il Bosco è stato costruito negli anni
sugli orrori della nostra epoca e sugli errori della nostra società.
Là quei piedi ..di pietra, ciò che resta
del monumento all’alpino che campeggiava in una delle piazze di Brunico mandato in mille pezzi dal terrorismo
separatista.
Là la campana … “che suona ..ma piano..
din.. den.. don.!” Rossosch, Postojalyi, Scheliakino, Warwarovka, Arnautowo, Nikolajewka, e poi il buco nero dei campi
di prigionia, dei lager, dei dalmati e giuliani che lasciano le loro case e la loro terra, e poi ancora di Marcinelle,
del pane amaro dei minatori e di tutti gli emigranti dimenticati, del Vajont, e via via sino ai giorni nostri sino al 10
gennaio 1997 quando viene sciolta la Brigata Cadore e da ultimo alla definitiva approvazione delle legge che decreta la
fine del servizio di leva a favore di un esercito di professionisti che potrà essere tante cose tranne che esercito di
popolo.
Tutto attorno le stele che ricordano i
nostri Alpini, le centinaia di vite spezzate, le penne mozze – “bandiera nera” “le il lutto degli alpini che va alla
guerra la meglio gioventù che va sotto terra”.(sul Ponte di Perati).
Commemoriamo la gente delle nostre
contrade da Treviso a Vittorio da Conegliano a Valdobbiadene passando per Fagarè della Battaglia, Nervesa della
Battaglia, Sernaglia e Moriago della Battaglia.
“No disse il Piave .!” e no diciamo anche noi Alpini, di fronte a queste mute testimonianze –
facendo eco agli altri luoghi dell’anima quali l’Ortigara, l’Adamello, il Colle di Nava, il faro sul monte Bernadia, il
Monte Muris di Ragogna, Cargnacco, - no ad un mondo pieno di odio e convinto che la guerra non sia altro che la
continuazione della politica, no ad un’Italia distratta e qualunque che dimentica i valori autentici della vita, della
pace e dell’ordine sociale, della solidarietà e del buon senso.
Mi guardo attorno vi vedo numerosissimi,
cappelli più o meno bufferati, ma tutti sembrate come quei veci alpini che scava e che spera un bel dì, di ritrovar
l’amor.
Si! Sono convinto che a dispetto di
tutti quei politici che quando sono a Roma si dimenticano delle promesse fatte in periferia, noi quei valori li abbiamo
coltivati sul serio, annaffiati e coccolati con coraggio e onore, con la concretezza e la dignità di chi è consapevole
del proprio passato e anela a migliorare il proprio futuro.
Così avviene che quella campana oggi
suona per tutti, anche per riconciliare gli uomini.
Che in questo straordinario Bosco,
laggiù, si è aggiunto un altro albero sui cui rami spiccano i nomi di altre Sezioni d’Italia che vogliono partecipare a
questa bellezza condividendone appieno il significato e i valori.
Che il bosco è quotidianamente visitato
e rappresenta un punto di incontro e riflessione per tanti Alpini e non della Marca trevgiana.
Il Bosco cresce si irrobustisce svetta
verso il cielo come una cattedrale verde, raccoglie le sofferenze e le speranze della nostra gente, delle famiglie
trevigiane, sa che in questi anni abbiamo combattuto una battaglia durissima per mantenere la nostra identità di
esercito di leva, la nostra specialità .. e Lui è con noi ci sprona.
La brezza tra gli alberi ci porta i
racconti di casa, le storie de fameja il ritratto dei veci, i motti dei nostri Battaglioni: devant al Conejan o se
ciampe o se mur; piu salgo piu valgo; per aspera ad astra; insisti resisti …… ad eccelsa tendo.
Continuiamo a combattere armati come siamo di fede e di amore perché così onoreremo i nostri veci
del Bosco e renderemo il più utile servizio alla Patria.
Evviva gli Alpini d’Italia.