UN'ESPERIENZA AMERICANA |
Maggio 2004 |
Foto di gruppo prima della cerimonia |
La cerimonia ad Arlington |
Vietnam memorial |
Verso la metà del mese di ottobre 2003, per motivi di
lavoro, mi sono recato negli Stati Uniti, a Washington e nel vicino Stato di
Virginia. Mi trovo abbastanza spesso da queste parti, in virtù di legami
professionali che vedono un mio punto d’appoggio sulla costa atlantica
statunitense presso un mio carissimo amico e corrispondente. L’impegno e la
concentrazione di rapporti di lavoro molto coinvolgenti, stancanti e stressanti
vengono mitigati ed “addolciti” dalla tipica ottima ospitalità della gente
di questo Stato.
Questa è un’occasione molto particolare: legato ad
impegni di lavoro piuttosto onerosi e pesanti per concentrazione, il mio
corrispondente ha organizzato una cerimonia commemorativa per il proprio padre
morto all’inizio del 2003, veterano della seconda guerra mondiale, di Corea e
di Vietnam, in qualità di ufficiale di aeronautica addetto alle comunicazioni a
bordo di aerei da ricognizione.
La cerimonia avrà luogo ad Arlington, città la cui
giurisdizione è tornata allo stato di Virgina, dopo anni di amministrazione
all’interno del District of Columbia, al quale appartiene la città di
Washington. Ad Arlington ha sede il cimitero degli eroi di guerra e delle
personalità importanti americane. È il famoso cimitero che vede per ettari ed
ettari di prato e parco file interminabili di croci, stelle di David allineate e
coperte. Ogni tanto un mausoleo o una tomba imponente. Tra queste, quella di
John Fitzgerald Kennedy e di Jackie Onassis. Qui passa la storia della
Federazione Americana. Qui passa la storia del mondo. I settori sono divisi per
guerre o battaglie e spaziano su tutto il pianeta, ove la potenza americana ha
inviato i propri uomini a combattere, per sé e per gli Altri. Più in alto di
tutti, sulla collina, svetta il monumento al Milite Ignoto Americano. La prima
volta che visitai questo cimitero, nel 1998, nel corso della cerimonia funebre
degli Addetti alla sicurezza morti per un attacco di un pazzo alla collina del
Campidoglio, fui testimone di un memorabile “cambio della guardia” ad opera
di un drappello di marines. Rimasi per mezz’ora sull’attenti, sotto il sole
cocente di agosto, mentre, più in basso, nel puro stile eccessivo americano di
sentirsi Nazione Unita nelle cerimonie, Rappresentanze della Polizia di ogni
Contea e Stato Americani, in auto, a cavallo, in elicottero con le lance sul
fiume Potomac lì vicino, formavano un corteo incomparabile per estensione ed
imponenza. Ecco: era quello che cercavo. Quando il mio Amico americano mi
comunicava le sue intenzioni di commemorare il padre, militare, con questa
cerimonia ufficiale, ho subito confermato la mia presenza, a margine degli
impegni di lavoro, con il mio cappello alpino al seguito. Entrambi provavamo una
grande emozione in vista di quei momenti. Più volte, assieme ad amici comuni ed
a buoni bicchieri di vino rosso californiano, abbiamo passato ore davanti al
caminetto, commentando le diverse impostazioni sociali ed individuali di vita
tra la realtà nordamericana e quella variegata europea. La sua frequentazione,
la fortuna di essergli amico, mi ha consentito più volte di “entrare”
letteralmente nello spaccato più puro e vero della vita di un vero americano,
comprendendo spesso aspetti e stili di vita difficilmente logici per la nostra
realtà. Ecco, infatti, vivere “sul campo” l’esperienza di una simile
cerimonia era qualcosa a cui ambivo con sincerità. Per questo evento, sono
stati invitati, oltre al sottoscritto, solo pochi amici intimi, con i quali ci
conosciamo ormai da parecchi anni. Tra questi un colonnello di aeronautica che
ha lavorato molto ad Aviano ed il figlio di questi, marine appena rientrato
dall’Iraq, dove è stato tra i primi ad entrare ed il cui compito, in qualità
di comandante di squadra, consisteva nel controllo del ponte di Nassyria,
passaggio strategico ed obbligato per la prosecuzione verso Baghdad. Il mondo è
veramente piccolo. Dopo una intensa giornata di lavoro, veniamo rapiti dai suoi
racconti freschi di una guerra che la maggior parte di noi ha distrattamente
visto in televisione. Aneddoti, come quando il cecchino, dall’altra parte del
ponte spara, mentre si recupera la mocca di caffè sopra il tetto dell’hummer
(il mezzo militare americano più diffuso). Tensione ed ansia, come quando
vengono distribuite le foto di un rastrellamento con cattura di miliziani, poi
ammanettati, incappucciati e caricati sui camion per i “centri di raccolta”.
Ricordi, come quando si parla dei rapporti con la popolazione locale: “gli
Italiani sono sempre i più ben voluti!” Oppure come quando si fanno vedere le
foto delle navi in colonna che, partite da Norfolk, Virginia, portano ragazzi
come lui, di 23 anni, o molto più giovani, a combattere, a rischiare la propria
vita, senza discussioni, senza tentennamenti. Il mondo è sempre più piccolo.
Ho avuto modo di seguire i suoi spostamenti in Iraq dal mio computer in ufficio,
a Conegliano, grazie ad Internet ed agli aggiornamenti puntuali che mi
arrivavano. Ho trepidato e consolato un padre, mio amico, in crisi per la
possibile sorte del figlio. Sono maturato, immedesimandomi, anche con queste
piccole esperienze. Ed ora eccoci qui, con le divise da parata, con i nastrini,
i gradi e le scarpe che sanno di quell’odore tipico di lucido. Ci aiutiamo
l’uno con l’altro nel perfezionare la cura reciproca delle rispettive
divise. Foto di rigore e poi via, in auto fino ad Arlington. Qui si è riunita
la famiglia del mio corrispondente ed amico. La famiglia americana è un po’
più … “allargata” di quella tipica nostra. Mentre noi ci avviamo a
commemorare, lì vicino ci sono famiglie che seppelliranno i propri cari appena
rientrati in una bara dall’Iraq. La commozione è forte. Non esistono
distinzioni di razze, di credo religiosi, di ideologie. Tutti si stringono e
sono uniti. Ecco il segreto primo di questa Federazione di Stati: la più totale
eterogeneità, la più completa differenziazione e varietà cromatica di pelle,
finanziaria, di provenienza si annullano per risorgere in un unico valore,
supremo e solo. Un obiettivo comune che fa condividere anche singole tragedie,
per poi assurgere ad una redenzione ed innalzamento sociale di tutti. Il
culto degli eroi. Il culto ed il mito, uniti al rispetto, per chi con il proprio
sacrificio ha contribuito ad un riscatto sociale di uno Stato che storia non
aveva, ma che, grazie proprio a questi Eroi, la storia l’ha creata,
determinandone il corso mondiale almeno negli ultimi 150 anni. Questa è la
forza inscalfibile di questo Stato. Ed ecco allora sulla “Mall”, la
camminata – parco che dalla collina del Campidoglio arriva al Lincoln
Memorial, passando per il Washington Memorial (l’obelisco davanti alla Casa
Bianca), sorgere e venire visitati da fiumi di gente commossa il Corea Memorial,
il Vietnam Memorial, il World Wars Memorial, monumenti funebri dedicati a chi si
è sacrificato in quelle guerre. Tra questi, quello che più mi ha colpito e che
sempre visito quando sono in Washington è il Vietnam Memorial. Si tratta di un
Delta, un angolo formato da due linee di lastre di marmo nero, sulle cui
superfici sono incisi tutti i nomi dei caduti americani del Vietnam che si
incunea nella terra, scendendo nel suo vertice per poi risalire a quota zero
alle due estremità. Poco distante, tre bronzi di soldati di razze diverse a
grandezza naturale si sorreggono guardando i loro compagni morti sulle lastre di
marmo… È di un’estrema semplicità, ma di toccante effetto.
La nostra cerimonia ad Arlington va avanti: ufficiali e
sottufficiali vari, in divisa da cerimonia si prendono cura di noi, dal
parcheggio delle auto, alla preparazione psicologica di tutti noi fino alla
creazione del picchetto d’onore, della squadra addetta alle 21 salve e della
carrozza trainata da cavalli che porterà l’urna con le ceneri avvolta nella
bandiera americana. È tutto così molto …americano. Io sono in divisa! Sì,
ho rispolverato la vecchia drop militare, così “banale” rispetto certe
divise da parata americane. Già durante il servizio comandai un plotone di
alpini (brutti!) mentre un tenente dei Rangers americani (belli, da televisione)
di stanza a Vicenza comandava il suo plotone nel corso di un picchetto d’onore
all’ultimo generale USA morto nella seconda guerra mondiale, in quel di
Torbole, lago di Garda durante la ritirata tedesca. Allora come adesso, quello
che più incuriosisce gli americani sono le stelle che porto sulle spalline. Per
loro equivalgono ai gradi di Generale! Ecco in parte spiegata l’attenzione
particolare che mi viene riservata! Beh, pur chiarendo l’equivoco, mi godo i
miei momenti di gloria… Il cappello, invece, è universalmente conosciuto. Così
un mese prima in Russia. Così ora, qui nel cuore della Capitale americana, dove
le misure antiterrorismo sono qualcosa di totalmente nuovo ed inconsueto nel
panorama tipico locale. Io, alpino, in divisa, a Washington! Passando davanti
alla Casa Bianca, al termine della cerimonia, seduto sul sedile posteriore di un
enorme pick up, col finestrino aperto, vedo il personale di sorveglianza e
controllo dietro le nuove barriere jersey in cemento salutarmi con perfetto
stile militare. Eh daglie!!! Ancora con questo equivoco… Tornando alla
cerimonia, dopo aver seguito la carrozza con il feretro fino al prato assegnato,
qui troviamo un gazebo con posti a sedere. Un cappellano militare ci racconta
con buona enfasi quanto fosse stato un buon cittadino americano il congiunto che
qui esequiamo. Un buon militare, ma anche un buon civile, padre e marito.
Partono le salve, comandate da un caposquadra aviere. Tutti i militari del
picchetto sono aviatori, come il defunto. Parte l’inno suonato dalla banda
dell’aviazione e tutto si conclude con uno struggente silenzio. È difficile
resistere impassibili, anche per chi l’esperienza militare non l’ha provata.
La cerimonia dura circa un’ora e mi chiedo se prima di
me altri alpini in divisa abbiano varcato i cancelli di questo cimitero. Uscendo
mi rendo conto di aver partecipato ad un evento unico, il cui ricordo resterà
per sempre con me.
Francesco Tuan