ANCHE OGGI AL BOSCO COME DA 34 ANNI |
Dicembre 2005 |
Stupenda mattinata, oggi, prima domenica di settembre, scadenza
consueta del Raduno intersezionale, il 34° quest’anno, al Memoriale alpino sopra Cison. Dopo il nubifragio notturno, il
cielo che si staglia contro i crinali delle Prealpi che fanno da cornice alla valle è di un nitore trasparente con
tonalità di cobalto. Anche il torrente che la solca come una ruga increspata, rinvigorito dall’ultima copiosa pioggia
caduta, è più vigoroso e canterino del solito.
L’aria, frizzante e cristallina, porta le fragranze intense del muschio
bagnato e dei ciclamini selvatici che punteggiano di macchie vivaci e profumate il bosco, il nostro: il Bosco delle
Penne Mozze.
Di buon’ora, file ordinate di persone costeggiano la strada che sale
dai parcheggi al Memoriale.
Quando vi giungo, il piazzale, seppur ancora nell’umido cono d’ombra
dei ripidi declivi, è già gremito da almeno un migliaio di alpini e familiari, noto che molti sono i giovani e ciò mi fa
piacere.
Ai piedi dell’altare, dietro i vessilli sezionali, si raggruppano centinaia di gagliardetti; di
lato si dispongono i gonfaloni comunali, tra cui riconosco quelli di Treviso, Conegliano, Vittorio, Santa Lucia,
Cordignano, Cison, Resana… accompagnati dalle rappresentanze delle rispettive amministrazioni civiche con alla testa
l’inconfondibile e immancabile figura di Gentilini, il “sindaco alpino” per antonomasia.
Inizia la Commemorazione ufficiale e, come d’incanto, il sole scavalca
l’ostacolo del monte e ti investe col suo caldo abbraccio: la vallata rigogliosa e verde di San Daniele dove s’adagia,
quieto e maestoso, il sacrario degli alpini trevigiani caduti in guerra e in servizio, si trasforma idealmente in una
straordinaria cattedrale naturale.
Uno squillo di tromba e cala il silenzio: il raccoglimento è sovrano,
intimo, religioso.
La banda musicale apre il rituale con l’Inno nazionale e, mentre
il tricolore sale sul pennone, i presenti, sull’attenti, ne scandiscono le parole, chi con orgoglioso trasporto, chi
invece più sommessamente, attanagliati da una palpabile commozione.
Un piccolo corteo, tra cui il nostro presidente Daminato e il
consigliere nazionale Gentili, al suono del “Piave” si porta al monumento centrale per deporvi una corona
d’alloro.
Quindi, come da alcuni anni a questa parte, si procede ad aggiungervi
le Targhe commemorative delle Penne Mozze di altre sezioni nazionali, questa volta tocca alle sezioni Carnica, Firenze e
Marche. Le struggenti note del “Silenzio” si spandono nel Bosco, scivolano discrete negli anfratti a rendere
omaggio al loro sacrificio nel nome della Patria e ne accarezzano le steli, ad una ad una, con dolcezza, come si fa con
dei vecchi amici.
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Poi prende la parola il presidente del Bosco, Claudio Trampetti, e
rivolge il saluto alle autorità e a tutti i presenti ribadendo il significato dell’opera e la spinta ideale che vuole
trasmettere per il conseguimento della pace. Infine rammenta la posa recente di altre sei steli di alpini trevigiani
caduti nell’ultimo conflitto, tra cui Dino Bellussi di Vazzola e Samuele Sartor di Godega.
Il dott. Valditara, attuale consigliere nazionale e già presidente
della sezione di Palmanova, è il preposto quest’anno a tenere l’orazione ufficiale.
“Il raduno, qui al Bosco delle Penne Mozze,-sottolinea-
rappresenta la continuità tra i veci, gli alpini di oggi e quelli di domani. Questi sono momenti doverosi nel ricordo di
chi ci ha preceduto, affinché le loro gesta siano di esempio per tutti e rimangano baluardo contro l’individualismo,
vuoto e arido, della società moderna. Noi siamo come una grande quercia che si alimenta di linfa nascosta nel terreno,
assorbita dalle radici e trasformata in pubblica utilità” Citando infine la famosa esortazione di J. F. Kennedy:
“Non chiedere cosa la Nazione fa per te, ma tu cosa puoi dare alla Nazione.” conclude “Questa è stata e deve
rimanere la missione di servizio degli alpini nella quotidianità per degnamente ricordare i nostri Caduti.”
Quindi, accompagnata dalle voci del coro A.N.A. di Vittorio Veneto
inizia la Santa Messa concelebrata da mons. Balliana con i padri Fiaschi e Buffon.
Durante l’omelia il celebrante, prendendo spunto dalle Scritture, in
particolare dalla lettera di San Paolo, invita gli alpini a continuare nell’impegno civile, e spesso segreto, del donare
e di trovarne nelle opere compiute la giusta gratificazione etica e morale, senza chiedere nulla in cambio.
Viene letta la “Preghiera dell’alpino” accompagnata dal battito
solenne e lento della grande campana votiva. Allora senti quelle parole e quei mesti rintocchi aggredirti con dolcezza,
scalfirti l’anima e aprire la porta del cuore dove gli uomini custodiscono gelosamente i sentimenti più intimi e le
lacrime più vere.
E la commozione senza più cancelli o inibizioni, ti prende a
tradimento, trabocca e ti accorgi di avere gli occhi lucidi. Con un po’ d’imbarazzo sollevi la mano e, facendo finta di
toglierti un bruscolino dalle palpebre o di aggiustarti il cappello o di soffiarti il naso, te li asciughi furtivamente,
ma poi ti guardi intorno e scopri che anche tanti altri stanno provando le tue medesime emozioni e allora non provi
alcuna vergogna. Capisci che quelle lacrime non sono affatto segno di debolezza bensì forza vitale, la forza grandiosa,
unica e straordinaria dell’alpinità che ci unisce, come un invisibile cordone ombelicale, a chi ci ha preceduto, a chi
“è andato avanti” a spianarci la via verso il mitico “Paradiso di Cantore.”
La cerimonia è finita e si rompono le fila.
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Oltrepassato un ponticello di legno, mi inerpico per un ripido sentiero
e salgo alla statua della Madonna, nostra Mater dolorosa, per deporvi un fiore di bosco, il nostro Bosco, e
recitare un’ultima preghiera.
Uno sguardo intorno, “ciao, veci.” mormoro, e ridiscendo.
Il deflusso è ordinato, molti vanno alle loro auto per rincasare, molti
altri, invece, imboccano le radure a si infilano nei tanti tendoni dei Gruppi, dai quali s’alza il profumo invitante
delle grigliate, per il rancio e per trascorrere alcune ore di relax e di festa, tutti insieme. Anche in questi momenti
tutt’intorno si sente la forza segreta e rigenerante, positiva e aggregativa, del bosco, il nostro Bosco.
Scendendo a piedi lungo la strada, dalle tavolate mi giunge
l’imperativo a fermarmi e già mi si allunga un bicchiere, bevo un paio d’ombre ma a malincuore declino altre
offerte: gli amici di Colfosco mi aspettano al Col della Tombola. Altra grande e suggestiva festa alpina e... so già
cosa mi aspetta. Meglio non esagerare: il palloncino, ahimè ahinoi!, può essere in agguato.
Giorgio Visentin