SIOR TENENTE |
Novembre 2005 |
Nel corso della diretta
sull’adunata, la giornalista Luisa Bellocchi ricorda la vicenda dell’alpino Antonio Covre di San Fior, unico tra i
personaggi di “Centomila gavette di ghiaccio” a comparire nel romanzo di Bedeschi col suo vero nome. La cosa non era
nota ed è stata riportata alla luce qualche anno fa dal nipote Michele Corbanese dopo che questi aveva raccolto una
confidenza dello zio.
Il rapporto tra Covre e Bedeschi potrebbe benissimo costituire un capitolo aggiunto al capolavoro del-'alpino
scrittore. Non meno bello degli altri, trattandosi di una storia straordinaria ed unica nel suo genere, e che
difficilmente avrebbe potuto essere partorita dalla fantasia di uno scrittore di gialli. Una vicenda che è anche un inno
all’amicizia.
Di Toni Covre dopo la guerra, Bedeschi aveva perso subito le tracce; per quanto cercasse e si informasse non riusciva a
sapere più nulla all’infuori della notizia che era immigrato nel Belgio, a guadagnarsi la vita lavorando negli altiforni. E dopo qualche anno era
corsa voce che era andato a finire addirittura in America, non si sapeva se nel Nord o nel
Sud.
Quando nei 1963 pubblicò il suo libro sulla sfortunata campagna di Russia, Bedeschi modificò i veri nomi di tutti i personaggi. Omettendo quelli autentici, autore voleva deliberatamente trascendere
le singole persone,
perché quella da lui scritta fosse letta come la storia di tutti gli alpini, e perché in essa tutte e madri potessero
intravedere i volti dei loro figli e riviverne la storia di dolore e di morte.
Ma trovandosi dinanzi al nome di Covre, il suo amico
attendente, non si sentì di alterarlo. E lo lasciò così com’era, nella speranza che in questo modo qualcuno potesse
rintracciarlo. Sentiva dentro nell’animo che quella decisione per lui significava un omaggio al ricordo del più lontano,
introvabile, irraggiungibile e forse il più umile tra i rimasti vivi della sua batteria.
Dopo due anni, di là dall’oceano Atlantico, Covre rispuntò. Scrisse al suo tenente una lettera indirizzandola alla casa
editrice; spiegò che il libro era arrivato in Argentina, era stato letto dagli alpini emigrati laggiù, che gli avevano
detto: “Guarda, leggi qui, si parla di uno che si chiama Covre come te...”.
“Sior tenente cominciava così la lettera di Toni Covre, e Bedeschi fu felice di pensarlo di nuovo vivo dopo una
incertezza ed un silenzio durati più di 20 anni.
L’attendente raccontò al vecchio tenente del suo duro lavoro, del suo matrimonio con una italiana anch’essa emigrata,
dei due figli, e della nostalgia per l’Italia, la stessa nostalgia che si era manifestata durante la permanenza in
Russia.
Una cosa soprattutto rintronava di continuo nel cervello di Bedeschi: il pensiero che lui non era mai riuscito ad andare
in America, mentre in America erano arrivati i compagni di cui aveva scritto; loro sì erano arrivati fin là, avevano
scovato Covre.
La vicenda Bedeschi Covre costituisce un capitolo di ”TORNARE A NIKOLAJEWKA”, di Giovanni Lugaresi, presentato a Parma
nei giorni dell’adunata.
gfdm