Tenente ADOLFO FERRERO |
Dicembre 2005 |
A più di quarant'anni dalla fine della grande guerra, venne ritrovata accanto alle ossa del proprio attendente la
lettera-testamento scritta dal Ten. Adolfo Ferrero di Torino del Battaglione “Val Dora” del 3° Rgt Alpini, Medaglia
d'argento al valor militare, morto il 19 giugno 1917 mentre l'inferno della battaglia sull'Ortigara divampava mietendo
migliaia di vittime.
La missiva redatta il 18 giugno, poche ore prima dell'eroica dipartita dell'ufficiale, era indirizzata ai propri
genitori e si trova conservata presso il Museo dell'Ossario di Asiago.
Il testo viene letto durante la cerimonia solenne al Santuario del Monte Lozze ed è diventata il simbolo struggente
dell'incommensurabile durezza della Guerra e del sacrifico di un'intera gioventù.
Cari genitori,
scrivo questo foglio nella speranza che non vi sia il bisogno di farvelo pervenire. Non ne posso però fare a meno: il
pericolo è grave, imminente. Avrei rimorso se non dedicassi a voi questi istanti di libertà, per farvi un ultimo saluto.
Voi sapete che io odio la retorica, . no, . no, non è retorica quello che sto facendo. Sento in me la vita che reclama
la sua parte di sole, sento le mie ore contate, presagisco una morte gloriosa, ma orrenda. Fra cinque ore qui sarà un
inferno, tremerà la terra, si oscurerà il cielo, una densa caligine coprirà ogni cosa, e rombi, e tuoni e boati
risuoneranno fra questi cupi monti, cupi come le esplosioni che in quest'istante medesimo odo in lontananza. Il cielo si
è fatto nuvoloso; piove.
Vorrei dirvi tante cose, tante. ma voi ve le immaginate. Vi amo. Vi amo tutti. Darei un tesoro per potervi rivedere,. ma
non posso. Il mio cieco destino non vuole. Penso, in queste ultime ore di calma apparente, a te Papà, a te Mamma, che
occupate il primo posto nel mio cuore, a te Beppe, fanciullo innocente, a te Adelina addio. che debbo dire? Mi manca la
parola; un cozzare di idee, una ridda di liete, tristi fantasie, un presentimento atroce che mi tolgono l'espressione.
No, no, non è paura. Io non ho paura! Mi sento ora commosso, pensando a voi, a quanto lascio; ma so dimostrarmi forte di
fronte ai miei soldati, calmo e sorridente. Del resto anche essi hanno un morale elevatissimo. Quando riceverete questo
scritto fattovi recapitare da un'anima buona, non piangete e Siate forti, come saprò esserlo io. Un figlio morto per la
Patria non è mai morto. Il mio nome resti scolpito indelebilmente nell'animo dei miei fratelli, il mio abito
militare, la mia fidata pistola (se vi verrà recapitata) gelosamente conservati siano a testimonianza della mia fine
gloriosa. E se per ventura mi sarò guadagnata una medaglia, resti quella a Giuseppe.
O genitori, parlate, parlate, parlate, fra qualche anno, quando saranno in grado di capirvi, ai miei fratellini, di me,
morto a vent'anni per la Patria. Parlate loro di me, sforzatevi a risvegliare in loro il ricordo di me.
M'è doloroso il pensiero di venire dimenticato da essi. Fra dieci, vent'anni forse non sapranno nemmeno di avermi avuto
fratello. A voi poi mi rivolgo. Perdono, perdono vi chiedo, se v'ò fatto soffrire, se v'ò dato dispiaceri. Credetelo non
fu per malizia, se la mia inesperta giovinezza vi ha fatto sopportare degli affanni, vi prego di volermelo perdonare.
Spoglio di questa vita terrena, andrò a godere di quel bene che credo di essermi meritato. A Voi Babbo e Mamma un bacio,
un bacio solo che dica tutto il mio affetto. A Beppe a Nina un altro. Avrei un monito: ricordatevi di vostro fratello.
Sacra è la religione dei morti. Siate buoni, il mio spirito sarà con voi per sempre. A Voi lascio ogni mia sostanza. E'
poca cosa. Voglio però che sia da voi gelosamente conservata. A Mamma, a Papà lascio. il mio affetto immenso. E' il
ricordo più stimabile che posso loro lasciare. Alla mia zia Eugenia il Crocefisso d'argento, al mio zio Giulio la mia
Madonnina d'oro. La porterà certamente. La mia divisa a Beppe, con le mie armi e le mie robe. Il
portafoglio (lire 100) lo lascio all'attendente.
Vi bacio