UNA MOSTRA SULL'ARMIR |
2005 |
La mostra è composta di:
- 131 quadri a tema
- carte della zona del Don
Un po' di storia, tratta dall'opuscolo dell'UNIRR, qui raffigurato.
Hitler, dopo aver sconfitto la Francia ed aver occupato mezza Europa, ritenne giunto il momento di attaccare l’Unione
Sovietica, ormai confinante con la Germania, dopo la spartizione della Polonia con i russi che lui stesso aveva voluto.
Il piano - nome in codice “Barbarossa” - aveva lo scopo di distruggere l'Armata Rossa ed il regime comunista di Stalin.
Il 22 giugno del 1941 le Armate hitleriane irrompono in territorio sovietico ed avanzano rapidamente distruggendo una
dopo l’altra - dopo averle circondate - imponenti forze russe.
Mussolini, lusingato dalle spettacolari vittorie iniziali tedesche, chiede di partecipare alla Campagna con una presenza
militare italiana. I Generali tedeschi sono contrari, ma Hitler accontenta l’alleato.
Viene allestito in tutta fretta un Corpo di Spedizione composto dalle due Divisioni di Fanteria Torino e
Pasubio, dalla Divisione Celere (formata da Bersaglieri e da Cavalleria) e dalla Legione Camicie Nere
Tagliamento. Tale forza, che assume il nome di CSIR, è posta al comando del Generale Giovanni Messe e conta 60.000
uomini, 160 cannoni, 5.500 automezzi, 4.600 quadrupedi.
La rassegna |
La copertura aerea è assicurata da 51 caccia, 22 ricognitori e 10 bombardieri.
Lo CSIR parte dall’Italia alla fine di luglio 1941 e raggiunge in treno la Romania. Di qui con mezzi propri passa in
Bessarabia a Botosani, base di partenza delle operazioni.
Con molta difficoltà, derivanti dalla insufficiente ed inidonea dotazione di mezzi di trasporto, le Divisioni italiane
seguono con molta fatica l’Armata Corazzata tedesca alla quale erano state aggregate. Tuttavia, nonostante le antiquate
artiglierie e la mancanza di mezzi corazzati, si comportano valorosamente; superano i fiumi Bug e Dnjeper ed avanzano
verso il bacino minerario del Donetz.
A metà novembre 1941 conquistano gli importanti centri di Stalino, Nikitovka, Gorlovka e Rikovo.
L’inverno incombente e l'estremo logoramento subito dai reparti italiani in questa guerra di movimento, per la quale
non sono equipaggiati, né sono stati addestrati, obbliga lo CSIR a fermarsi sulle posizioni raggiunte e ad organizzarsi
per trascorrere un inverno che si annuncia estremamente rigido.
Il giorno di Natale i russi sferrano contro le nostre posizioni, tenute dai bersaglieri e dalle Camicie Nere, una
vigorosa offensiva che viene però contenuta e respinta con notevoli perdite.
A metà febbraio giunge in Russia il primo reparto alpino: il Battaglione Monte Cervino. Un mese dopo lo CSIR viene
potenziato con l'invio del 6 Reggimento Bersaglieri e del 120° Reggimento Artiglieria Motorizzata.
Mussolini, intanto, è deciso ad incrementare il nostro impegno militare sul fronte russo, invano dissuaso dal Generale
Giovanni Messe che si era reso conto della impreparazione del nostro Esercito ad affrontare una guerra di
movimento in un ambiente nel quale le nostre armi, il nostro equipaggiamento, i nostri mezzi di trasporto non erano
idonei.
A partire dal giugno 1942 viene inviato in Russia il 2° Corpo d’Armata con le Divisioni di Fanteria
Cosseria, Ravenna e Sforzesca. Tre Legioni di Camicie Nere (Montebello, Leonessa e
Valle Scrivia) sono messe a disposizione dei Comandi di Corpo d’
Armata della Fanteria.
Ad agosto sono raggiunte dalle tre Divisioni Alpine Tridentina, Cuneense e Julia e dalla Divisione di Fanteria
Vicenza destinata a compiti di occupazione. Queste nuove Unità, insieme a
quelle già presenti in Russia, costituiscono l’ARMIR (Armata Italiana in Russia), al cui comando è posto il Generale
Italo Gariboldi. Essa ha una forza di 220.000 uomini, 988 cannoni, circa 420 mortai, 17.000 automezzi, 25.000 quadrupedi
e 64 aerei. I tedeschi riprendono l’iniziativa in questo settore solo in luglio del 1942 e le Divisioni già in posto,
unitamente alle altre Divisioni di Fanteria arrivate da poco in Ucraina, si spostarono 300 chilometri in avanti fino ad
attestarsi sulla riva del fiume Don. La Celere, l’unica nostra
Divisione ad essere motorizzata, venne lanciata dai tedeschi ancora più ad Est, fino a Serafimovic con il compito di
eliminare la testa di ponte che i russi avevano in quel settore. I bersaglieri, in quell’azione, subirono notevoli
perdite. Lo schieramento imposto dai Comandi tedeschi alle nostre truppe sul fronte del Don, era insensatamente diluito
in quanto a ciascuna delle nostre Divisioni era assegnata la difesa di circa 30 chilometri di fronte, quando le più
elementari norme strategiche ne prevedono al massimo 6 chilometri. La debolezza di questo schieramento fu subito messa
a dura prova, quando, alla fine di agosto, i sovietici attaccarono in forze la Sforzesca che, dopo alcuni giorni
di accanita resistenza, cedette ai russi che si impadronirono di un’ampia testa di ponte. L’immediato intervento della
Celere (richiamata da Serafimovic), del Battaglione Monte Cervino, del Reggimento
Savoia Cavalleria e della Tridentina (richiamata mentre stava marciando verso il Caucaso) fermarono lo slancio dei russi. Il Savoia
Cavalleria si distinse particolarmente nella carica di Tcebotarevskij (Isbuschenskij).
Questo periodo operativo è chiamato "Prima Battaglia Difensiva de Don"
Le perdite furono di 1.100 Caduti e 5.500 feriti.
La marcia verso il Don |
Dopo alcuni spostamenti le Divisioni dell’ARMIR assunsero il seguente schieramento a difesa del Don:
Tridentina all’estrema ala sinistra a contatto con l’Armata Ungherese;
Julia, Cuneense,
Cosseria, Ravenna, Pasubio, Torino, Celere, Sforzesca a contatto con l’Armata Romena.
Tra la Ravenna e la Pasubio venne inserita la 298a Divisione di Fanteria tedesca. Tutte le nostre Unità, in particolare quelle del Corpo d’Armata Alpino,
avevano provveduto alla loro sistemazione sul terreno in modo da sopportare il lungo periodo invernale, nella
convinzione che i russi non avrebbero intrapreso nessuna iniziativa prima della primavera.
La carica di Tcebotarevskij |
Mentre i tedeschi, fin dall’agosto, stavano strenuamente combattendo per la conquista di Stalingrado, senza riuscire ad
occuparla completamente, i russi preparavano la contromossa che avrebbe portato all’accerchiamento dell’Armata di von
Paulus che assediava la città.
Il 15 novembre con una violentissima offensiva rompevano il fronte dell’Armata Romena, schierata a fianco dei tedeschi e
tagliavano fuori da ogni rifornimento terrestre gli assedianti di Stalingrado.
Imbaldanziti da questo successo, i russi prepararono una seconda offensiva questa volta contro le nostre Divisioni
Cosseria e Ravenna, in modo da tagliare in due il fronte dell’ ARMIR.
Il 15 dicembre, con un potenziale d’urto sei volte superiore a quello delle nostre Divisioni (basti pensare che
impiegarono 750 carri armati e noi non avevamo né carri, né efficienti
armi controcarro), dilagarono nelle retrovie accerchiando anche le Divisioni Pasubio, Torino,
Celere e Sforzesca schierate più ad Est.
Esse dovettero sganciarsi dalle posizioni sul Don, iniziando quella terribile ritirata che, su un terreno ormai
completamente in mano al nemico, le avrebbe in gran parte annientate con una perdita di circa 55.000 uomini tra Caduti e
prigionieri.
Mentre le Divisioni della Fanteria si stanno ritirando, il Corpo d’Armata Alpino riceve l’ordine di rimanere sulle
posizioni a difesa del Don per non essere a sua volta circondato. A difesa del suo fianco destro, ormai completamente
scoperto, viene spostata la Divisione Julia, il cui posto tra la Tridentina e la Cuneense viene
preso dalla Divisione Vicenza. Per un intero mese la Divisione Julia, con immenso sacrificio, resiste ai
martellanti attacchi sovietici.
Il 15 gennaio i russi partono per la terza fase della loro grande offensiva invernale e, senza spezzare il fronte tenuto
dagli alpini, ma infrangendo contemporaneamente quello degli ungheresi a Nord e quello dei tedeschi a Sud, li chiudono
in una tenaglia. Inizia così la disastrosa ritirata su un terreno ormai completamente in mano ai russi, in cui le
Divisioni Alpine devono conquistarsi con duri combattimenti ogni chilometro verso la salvezza.
Solo una parte della Tridentina e piccoli reparti di altre Divisioni, appoggiati dai resti del Corpo Corazzato
tedesco, riuscirà il 26 gennaio a sfondare l’ultimo sbarramento russo a Nikolajevka mentre la Cuneense, la
Julia e la Vicenza saranno praticamente distrutte a Valuiki dopo 100 chilometri di ritirata. In questa terza
fase altri 40.000 uomini tra il Corpo d’Armata Alpino e personale direttamente dipendente dall’Armata rimarranno nella
steppa.
Nel marzo del 1943 i resti di quello che era l’ARMIR vengono rimpatriati e si fanno i primi conti delle perdite. La
forza complessiva presente all’inizio dell’offensiva russa era di 220.000 uomini e, secondo i dati pubblicati
dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore, mancavano all’appello 84.830 uomini.
Oggi, dopo approfondite indagini presso ciascun Comune e ciascun Distretto Militare, da parte dell’Ufficio dell’Albo
d’Oro - Sezione del Ministero della Difesa che funziona da anagrafe di tutti i militari - il numero degli italiani che
non hanno fatto ritorno dal fronte russo è di circa 100.000.
Tenuto conto che circa 5.000 erano caduti per i fatti d’arme antecedenti al 15 dicembre, le perdite
della ritirata sono di 95.000 uomini.
secondo i dati più recenti, desunti dalla documentazione esistente negli archivi russi, finalmente aperti ai ricercatori
italiani, 25.000 sono morti combattendo o di stenti durante la ritirata e 70.000 sono stati fatti prigionieri.
Questi prigionieri furono costretti a marciare per centinaia di chilometri e poi a viaggiare su carri bestiame per
settimane, in condizioni allucinanti, senza mangiare, senza poter riposare la notte, con temperature siberiane.
Coloro che riuscirono a raggiungere i lager di smistamento - improvvisati, disorganizzati, con condizioni igieniche
medioevali - erano talmente denutriti e debilitati che le epidemie di tifo e dissenteria ne falciarono ben presto la
maggior parte.
Siamo in possesso dei nominativi degli italiani deceduti nei lager, quasi tutti nei primi sei mesi del 1943. Solo nel
1945 ed in parte nel 1946, 10.000
sopravvissuti furono restituiti dall’Unione Sovietica.
Dalla documentazione russa risulta la presenza di italiani in circa 400 diversi lager, quelli più tristemente famosi
sono quelli di Tambov - dove morirono circa 10.000 italiani - quelli di Miciurinsk, di Khrinovoje, di Tiomnikov.
La Battaglia di Serafimovic |