L'entrata al Museo
Tra il pubblico i reduci di guerra
Al centro della foto il Ten. Marchisio,
Aiutante Maggiore del Gruppo Conegliano
I Reduci
Dono del dispositivo di puntamento
Tra i cimeli, la mitica corazza Farina
Luciano Barzotto posa con Maria Romanin e Luisa Vecchiato Bedeschi
Una sala del Museo degli Alpini
I dirigenti nazionali ANA in visita al Museo
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“Sto qua l’è el nostro”. Sono le prime parole pronunciate da due anziani reduci di
fronte al pezzo di artiglieria Skoda 75/13 che apre la prima mostra del Museo degli Alpini,
inaugurata domenica 29 ottobre. I due veci alpini parlavano dell’obice in grado di scagliare
granate a 8 chilometri di distanza come di un vecchio amico con cui hanno condiviso una parte
della loro vita, la parte forse più terribile, ma sicuramente la più eroica,
quella che il Museo degli Alpini vuole far conoscere.
Poco prima dell’ingresso ufficiale nei locali del
Museo, era intervenuto Francesco Giacuz, Artigliere
Alpino del Gruppo Val Tagliamento III Reggimento della Julia, reduce di Albania, Grecia, Serbia
e Montenegro, che con parole ferme e cariche di orgoglio aveva plaudito alla nascita di quel
luogo di memoria.
“La gente magari vede tutti i giorni i reduci camminare per le strade di
Conegliano o di altri paesi, ma non può valutare ciò che hanno fatto queste persone quando erano
giovani – ha detto
Giacuz – e i reduci che oggi sono presenti alla cerimonia sono i più fortunati, perché tanti loro
compagni ci hanno
lasciato la vita in guerra”.
Francesco Giacuz ha quindi ringraziato tutti gli alpini che hanno lavorato alla realizzazione del Museo.
“La passerella è una bella opera ma il Museo è il Panteon di un popolo – ha aggiunto l’anziano reduce –
ci sono i musei della pittura e della scultura ed ora c’è anche questo capolavoro, dove la cittadinanza,
i giovani possono fermarsi a guardare la storia di gente umile, di ragazzi che hanno combattuto e si
sono sacrificati per la Patria. Perché la gente
deve rendersi conto che non si vive di solo pane …e de schei, ma che ci sono la famiglia e la
Patria, per la quale si sono sacrificati tanti uomini. Il lavoro fatto qui in questo museo dagli alpini
vale di più di quello degli
architetti: un Museo non per noi, ma per ricordare quei valori che sono stati dimenticati”.
Francesco Giacuz ha condensato in pochi minuti di discorso il pensiero di molti, lo ha fatto con forza,
a tratti con rabbia verso una società sempre meno attenta ai valori veri, ai valori di Patria, quelli
che uniscono e che creano solidarietà.
E in apertura di cerimonia il presidente sezionale Antonio Daminato si era rivolto direttamente ai reduci,
schierati davanti al tavolo delle autorità, per dire loro grazie, ricordare il loro eroico passato e il
sacrificio di chi dal fronte non è più tornato. Poi il grazie agli alpini che hanno lavorato al Museo e
l’impegno a promuovere iniziative ed esposizioni semestrali nella struttura della ex Caserma Marras.
“E’ una giornata particolare – ha detto il sindaco di Conegliano Floriano Zambon nel suo intervento –
si aprono le porte di un museo che è un tuffo nel nostro passato, un monito e una lezione da studiare.
Dobbiamo guardare i cimeli conservati nel Museo, trarne le conseguenze e farne tesoro per una crescita
ed un futuro migliore. Il Museo è anche un tributo ai militari, e ce n’è
stati fino a 4000, che hanno operato a Conegliano”.
Il consigliere nazionale Franco Munarini ha sottolineato il
valore che gli spazi espositivi assumono per la città di Conegliano e per il
territorio: “Un Museo dove i nostri giovani possono trovare insieme ai cimeli, anche i valori”.
Infine il comandante del III Reggimento Alpini che ha
ricordato il legame indissolubile tra Conegliano e il “suo” Reggimento ed ha plaudito all’opera svolta dai
volontari con la penna nera.
“…per capire che la storia delle penne nere non e’ fatta solo di adunate e cante alpine ma di immani tragedie”
E' datata l’idea di allestire nella città che ospita
la nostra Sezione un museo delle Penne Nere allo scopo di far conoscere agli appassionati di storia ed a tutti coloro
che sono legati al corpo degli Alpini un periodo cruciale della nostra storia. Nel museo, voluto dalla Sezione in
occasione delle celebrazioni dell’80.mo, ed allestito in collaborazione con l’amico Luigi Perencin, c’è una vasta
esposizione di cimeli, tutti rigorosamente alpini e di grande qualità, frutto di una meticolosa ed appassionata ricerca
che dura da molti anni.
Tra i pezzi più interessanti figurano l’elmo e la corazza “Farina” che costituivano la protezione dei membri delle
“Compagnie della morte” incaricate di aprire con pinze e tubi esplosivi dei varchi nei reticolati austriaci per spianare
la via all’attacco delle fanterie.
Erano composti da strati di acciaio, ma non furono in grado di evitare le immani carneficine durante gli assalti sulle
quote che sovrastano l’Isonzo.
Poi gli elmetti “Adrian” con paraguance, modello 1915, di fabbricazione francese.
Particolare curioso: entrato in guerra nel 1915, l’esercito italiano ne era completamente sprovvisto ed era corso ai
ripari ordinandone 700.000 pezzi alla Francia.
Poi le maschere antigas SBR (Smal Box Respirator) procurate in tutta fretta a centinaia di migliaia dopo il disastro del
29 giugno 1916 sul San Michele, quando
8000 soldati italiani, equipaggiati di maschere non idonee a proteggere dal cloro misto fosgene, erano stati gasati e poi finiti a colpi di mazza ferrata da militari ungheresi.
Poi i cappelli indossati dagli alpini nelle varie epoche, le uniformi, documenti e foto inedite. Notevole la curiosità dei visitatori, numerosissimi,
per più di qualche aspetto messo in luce dall’esposizione, come il numero di ferite riportate in guerra contrassegnate da tagli orlati sull’uniforme, o la bellezza di alcune giacche alpine da ufficiale che sembrano disegnate da famosi stilisti, a riprova
del fatto che quello stile italiano che tutti ci riconoscono nel mondo, ha origini lontane.
Ma l’epopea più documentata, attraverso cimeli ed immagini, è quella che ha visto gli alpini protagonisti della tragica ritirata lungo le piste gelate della steppa russa. Ed è qui che il visitatore, soprattutto quello
più sprovveduto in materia, non può fare a meno di cogliere che la storia delle Penne Nere non è fatta solo di adunate e cante alpine ma di immani tragedie.
Mi ha colpito l’attenzione dei visitatori, alcuni particolarmente interessati alle didascalie che accompagnano la mostra ed ai brani che aiutano a capire la fisionomia delle Penne Nere, i loro canti, le loro musiche. E tra questi, una pagina tratta da Centomila gavette di ghiaccio, che racconta cosa significa il cappello per un alpino: una prosa, ma, per gli Alpini, una poesia. Un museo degli Alpini per chi ha a cuore la nostra storia, perché nulla di ciò
che è stato vada perduto. Ed un ricordo va alla memoria di mia moglie Maria Teresa, non più tra noi, che con me ha condiviso la passione per il collezionismo e la salvaguardia di tutto ciò che è testimonianza della storia delle Penne Nere. Passione che abbiamo trasmesso a nostro figlio Andrea, ex comandante della 15a batteria del Conegliano ed ora Aiutante Maggiore in Prima del 3° Artiglieria da Montagna.
Luciano Barzotto |