LA TESTIMONIANZA


Aprile 2006

LA TESTIMONIANZA DI RINO FURLAN

Intervista al consigliere del Gruppo S. Lucia che racconta la sua esperienza di giovane Alpino alle prese con la grande catastrofe friulana del 1976



Rino Furlan classe 1955, da un decennio consigliere del gruppo A.N.A. S. Lucia, ha vissuto in prima persona i tragici eventi sismici del 1976, benché egli si trovasse in quei tempi a adempiere al servizio militare nell'alta Carnia, a Paluzza ove il terremoto colpì solo gli immobili risparmiando le vite umane. Chiamato alla leva con il 3° scaglione '75, Rino partì il 15 settembre 1975 per l'addestramento alla Caserma CAR di Cavazzo Carnico. Giurò fedeltà alla Patria a Venzone per poi essere destinato con propria preferenza alla Julia nell'anno in cui furono temporaneamente sciolti i reggimenti alpini. Passate alcune ore presso le Caserme "Cantore" e "Del Din" di Tolmezzo Rino fu inviato a Paluzza alla Caserma "Maria Plozner Mentil" ove con l'incarico di cannoniere ed il grado di caporalmaggiore svolse le funzioni di furiere in seno alla 212^ Cp. Del Btg Alpini d'arresto Val Tagliamento.
La caserma di Paluzza era occupata solamente dagli effettivi della 212^ cp, circa 40/50 militari. Saltuariamente diveniva sede dei corsi del Btg Val Tagliamento raggiungendo in quei momenti le oltre 200 unità.
Si può capire come il clima fosse veramente familiare, con un quasi inesistente nonnismo e con un comandante, il Cap. Ferdinando Maria Candolini, amato come un buon padre di famiglia. Il pattugliamento e la manutenzione alle "opere" ed il controllo della forestazione limitrofa a Paluzza erano le attività di routine della compagnia.
Trascorso il rigido inverno carnico, nei primi giorni di maggio 1976 già si potevano cogliere, nelle tiepide giornate primaverili, i colori ed i profumi della bella stagione.
Qui inizia la nostra intervista a Rino Furlan.

D - Dove ti trovavi la sera del 6 maggio 1976?
R - Ero a Naunina, una località nei pressi della Valle del But, ove la mia compagnia si stava esercitando in una manovra nei pressi delle Opere assegnate al pattugliamento del nostro reparto. Al momento dell'interminabile scossa delle 20,59 mi trovavo assieme a molti altri commilitoni all'interno dell'unica, piccola osteria esistente, da noi chiamata "Opera sette". Ricordo in quel minuto che per noi sembrò un'eternità, il trambusto causato dalle vibrazioni del pavimento, con i muri a scuotersi vertiginosamente tanto da far cadere tutte le bottiglie di vino e liquore poste sugli scaffali dell'osteria.
L'evento inizialmente ci sorprese, poi capimmo di trovarci davanti ad un terremoto e quindi uscimmo velocemente dallo stabile. L'esercitazione fu ovviamente sospesa. Dopo esserci ricompattati e contati, all'interno della nostra compagnia registrammo un ferito fra quelli di pattuglia al Passo Monte Croce carnico. Lo stesso venerdì 7 maggio tornammo a Paluzza riscontrando alcune crepe nei muri interni della palazzina truppa. Montammo le tende militari di nostra dotazione nell'area del così detto "percorso di guerra" adiacente alla caserma. Per novantadue giorni consecutivi dormimmo nella tendopoli. A scopo precauzionale provammo ad inventare un pseudo allarme anti sismico costruendo in cucina alcune piramidi con vari vasi di latta. Sarebbero servite ad avvertire più distintamente le scosse sennonché qualche macabro burlone con qualche oggetto le faceva crollare provocando ingiustificato panico ed allarmismo ed annullando quindi il nostro tentativo.

D - Paluzza, dopo il 6 maggio, come si presentava?
R - Aveva subito dei danni di media entità. Rispondendo alle lecite richieste del paese il nostro comandante Candolini richiese ed ottenne dalla Brigata Julia 12 tende nuove che furono piantate vicino all'ufficio postale nella piazza del paese. Inoltre presso la nostra caserma era arrivata un'ambulanza di servizio.

D - Come trascorse l'estate 1976?
R - Nonostante si sentissero di tanto in tanto le scosse d'assestamento, piano piano tutto stava tornando alla normalità. Io stesso potei fare la licenza ordinaria dopo che il sottufficiale responsabile della fureria l'allora Serg. Magg. Mario Rizza, era a sua volta tornato dalle "ferie".

D - In settembre la terra friulana tremò ancora, cosa ricordi?
R - Ero tornato da una licenza il 12 settembre. Durante il viaggio verso Paluzza pensavo preoccupato a cosa avrei trovato, sapendo che il giorno prima c'era stata una scossa di notevole entità. Appena arrivato in caserma, appresi con piacevole sorpresa
che non solo la scossa non era stata avvertita più di tanto ma addirittura che da tre giorni la maggior parte dei militari aveva abbandonato le tende per tornare a dormire nelle camerate cosa che del resto feci anch'io.
Nei due giorni successivi gli effettivi della compagnia si esercitarono varie volte nelle prove di reazione ad un terremoto. Fu quasi una premonizione. Alle ore 5 del 15 settembre il sisma ci colse per davvero con ulteriore veemenza. Dal primo piano, senza luce elettrica, ci lanciammo vestiti o no verso l'unica rampa di scale. Uno di noi cadde e venne purtroppo calpestato. Contuso in più parti del corpo e con una spalla lussata piangeva per il dolore. Fermatosi l'oscillamento fu fatto l'appello. Mancavano due alpini. Tirammo un sospiro di sollievo quando li vedemmo ancora mezzi addormentati scendere le scale. Avevano una tale sonnolenza arretrata da non aver minimamente sentito il movimento tellurico. Il capitano Candolini chiese se qualcuno dei presenti avesse potuto portare il ferito in ospedale a Tolmezzo con la propria auto in modo da non privare la caserma di un potenziale mezzo di soccorso: Mi offrii volontario e con un capomacchina portai l'infortunato sulla mia Fiat 124 sport, prima all'infermeria della Caserma Cantore e poi all'Ospedale Civile di Tolmezzo.
Il tragitto da Paluzza a Tolmezzo lungo circa 16 chilometri si rivelò alquanto difficoltoso. La strada statale 52 bis era invasa dai massi caduti in seguito alla scossa e si susseguivano i rumori di continui smottamenti. Ogni tortuosità costava una fitta di dolore al già gemente mio commilitone. Gli fu ridotta la lussazione e fasciato rigidamente venne dimesso per poter tornare a Paluzza nella mattinata stessa. Alle ore 11,25 circa, appena smontata dall'auto avvertimmo il boato tipico del terremoto. Per mezzo minuto vedemmo il pennone dell'alza bandiera oscillare fino a quasi piegarsi e il piazzale della caserma che sembrava aprirsi. Di quel momento ricordo lo sfogo angosciato di un sott'ufficiale friulano che in preda al panico e alla paura disse ".siasa mea, siasa mea, no viodi più ciasa mea ." Successivamente il sott'ufficiale si prese il rimbrotto del cap. Candolini che anche in questo caso seppe dimostrare la consueta calma e disinvolta fermezza.

D - Dopo quest'ulteriore scossa di terremoto com'era la situazione?
R - Questi due ultimi movimenti tellurici furono il "colpo di grazia" per tutti quegli edifici pericolanti dopo la scossa del 6 maggio. A tale proposito il Commissario Straordinario Zamberletti ordinò il censimento generale in tutta l'area colpita per venire a conoscenza di chi era senza tetto o in ogni caso in stato di disagio. Per loro sarebbe stato dato un alloggio temporaneo nelle località turistiche friulane Grado e Lignano. Furono incaricati di questo compito gli alpini per il legame profondo e l'identità di valori nei confronti della popolazione friulana. A noi della 212^ cp. fu assegnata la vasta zona dell'alta Carnia. Con un AR59 guidata da un autiere, assieme ad un sottotenente iniziai con impegno, onorato di essere stato scelto, a raccogliere dati e situazioni, interpellando prima i sindaci dei comuni e poi recandoci sul posto. Non fu facile convincere gli anziani rimasti in quei borghi a lasciare le proprie case provate dalla violenza del sisma, questo perché erano stati poco informati e perché temevano di non tornare più alle proprie dimore. Il 10 ottobre due corriere con circa un centinaio di terremotati arrivarono a Grado negli alloggi assegnati. Il primo giorno lessi nei loro occhi smarrimento e disperazione. Molti di loro non avevano mai lasciato i propri paesi e la loro valle. Non volevano neppure scendere nella sala da pranzo per i pasti. Salimmo noi nelle loro camere per incoraggiarli e per invitarli a mangiare. Nei giorni successivi si rassegnarono e fecero di necessità virtù.
Capii in quei giorni quanto amata fosse per i friulani la loro terra.
Intanto a Paluzza arrivarono 2 compagni dell8° Rgt, effettive della caserma di Venzone distrutta dal terremoto. Ancora dopo qualche tempo, un rimbombo ed un brusio improvviso risvegliavano in me quell'apprensione e quel naturale timore mai sopiti.
Mi sono congedato il 17 ottobre 1976, quasi trent'anni fa.
I ricordi sono rimasti nitidi come nitido è lo struggente "amarcord" verso Paluzza e le montagne della Carnia.

Renzo Sossai