25 APRILE 1945: IL PREZZO DELLA LIBERTA' |
Maggio 2007 |
La tragica sequenza di eventi che segnarono in Italia la fine della seconda guerra mondiale e del regime fascista coinvolse tutti: uomini politici, militari, intellettuali, contadini e operai, partigiani e repubblichini, mettendo a dura prova le convinzioni e i sentimenti di ciascuno. Fu un periodo cruciale per la costruzione della futura identità nazionale, durante il quale si manifestarono, a volte clamorosamente, i pregi e i difetti tipici degli italiani: generosità e faziosità, tolleranza e vendicatività, lealtà e trasformismo.
La testimonianza dell’On. Luigi Gui, presente a Padova nel 1945 il giorno della Liberazione. «Che – ricorda - nella nostra città fu il 28 aprile. Dopo l'8 settembre del '43 mi trovavo sopra Gorizia con i miei alpini del battaglione Val Cismon. Eravamo reduci dalla Russia e ritornati in Italia fui io ad assumere il comando, portando i miei uomini sino a Feltre, sempre a piedi, dove diedi loro il "rompete le righe" e potei ringraziare Dio perché ci eravamo tutti salvati. Io mi recai sul monte Grappa, ospitato a casa del mio attendente che era di Alano di Piave. Fu da lì che iniziai l'attività clandestina. Tornai a Padova, dove la nostra casa in zona piazzale San Giovanni era stata bombardata. Riparammo tutti - io, i genitori e i fratelli - in provincia a Brusadure di Bovolenta, ospitati in canonica dal parroco don Bruno Cremonese, impegnato nella lotta. Fra il '43 e il '44 cominciai a venire in città e a partecipare all'azione di resistenza». (Il Mattino di Padova, 25 aprile 2002).
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La testimonianza dell’On. Giorgio Amendola: “Non soltanto bisognava impedire al nemico di portare a compimento i suoi piani di distruzione e bisognava salvare il salvabile dell'apparato industriale, già tanto logorato dai bombardamenti aerei, per assicurare per l'indomani della Liberazione il massimo di occupazione e di pane ai lavoratori italiani. Ma la necessità dell'azione, della lotta senza quartiere, nasceva altresì dal bisogno di difendersi dalle prepotenze nazi-fasciste, di impedire le deportazioni in Germania e gli arruolamenti forzati nelle formazioni fasciste, di opporsi alle razzie di uomini, di viveri, di bestiame, di cose, di mantenere uniti e organizzati gli sbandati della prima ora, trasformandoli in combattenti. Dalla fine del 1943 al grande sciopero generale del marzo 1944 fu un seguirsi di agitazioni, di fermate di lavoro, di scioperi, che ridussero sostanzialmente la produzione, dimostrarono l'impotenza dei barbari occupanti, incoraggiarono i partigiani e diedero l'esempio della a tutti i lavoratori italiani. Dietro questo esempio altre categorie di lavoratori scesero in lotta. Nell'estate del 1944 furono i contadini che si rifiutarono prima di trebbiare il grano e poi, visto che gli alleati non arrivavano, lo trebbiarono sotto la protezione delle SAP, non lo portarono agli ammassi ma lo nascosero e lo consegnarono ai C.L.N. Furono i contadini a organizzare la difesa armata dei prodotti della terra, a impedire le razzie di bestiame. Furono le donne che manifestarono apertamente davanti ai municipi per richiedere pane per i loro figlioli, l'aumento delle razioni alimentari, la concessione e l'aumento dei sussidi per le famiglie dei caduti e dei prigionieri. Ma gli operai e i soldati ritiratisi sui monti potevano cercare una possibilità di salvezza anche individuale, soltanto organizzandosi in formazioni disciplinate e combattendo duramente per difendere con le armi strappate ai nemici la vita e la libertà. E fu quello che avvenne. (Giorgio Amendola Rinascita n. 8 - 1948).
Le donne partecipano attivamente alla Resistenza antifascista, pagando un alto tributo di sangue. Sono almeno 35mila, tra combattenti e staffette; 683 vengono uccise in battaglia; 2890 arrestate e deportate in Germania.
I Partigiani: “Banditi” per i tedeschi, patrioti per molti italiani. I partigiani combattenti sono 185.639; 28.870 i caduti.
Il Comitato di Liberazione Nazionale è fondato a Roma il 9 settembre 1943, con l'obiettivo di promuovere e coordinare
la lotta contro il nazifascismo. Formato dai principali partiti antifascisti (Partito comunista, Democrazia Cristiana, Partito
socialista di unità proletaria, Partito liberale, Partito d'Azione e Partito democratico del lavoro), il Comitato si dà una
struttura decentrata con la formazione di comitati di regionali, provinciali e comunali.
Particolarmente importante il comitato sorto nell'Italia occupata dai tedeschi, che si chiama Comitato di Liberazione Nazionale
Alta Italia (CLNAI), a cui tocca il compito di dirigere
la guerra partigiana. Il CLN è un interlocutore politico dei governi che si formano nell'Italia liberata dagli Alleati,
collaborando in particolare col governo Bonomi del 1944 e col governo Parri del 1945. Si scioglie con l'elezione dell'Assemblea
Costituente (2.giugno.1946).
Rappresaglie. Tra l'8 settembre del 1943 e l'aprile del 1945 la violenza dei tedeschi contro i civili italiani fa registrare oltre 400 stragi (con un minimo di 8 morti ciascuna): alla fine, il bilancio è di circa 15.000 vittime. Una lunga scia di sangue che accompagna le truppe tedesche nella ritirata da Sud a Nord: da Castellaneta, in provincia di Taranto, a Bolzano. A commettere tali esecuzioni collettive non sono soltanto i nazisti delle SS, ma anche i soldati della Wermacht spesso con la complicità dei fascisti della Repubblica Sociale.
Foibe. Dopo la disfatta tedesca, nella primavera del 1945 il Friuli passò sotto il controllo della Resistenza iugoslava, che dal 1° maggio alla metà di giugno occupò la stessa città di Trieste, instaurandovi una severa amministrazione militare e civile e scatenandovi una violenta rappresaglia che dagli esponenti del passato regime fascista si estese a tutti i soggetti, soprattutto italiani ma anche sloveni e croati, considerati d’ostacolo all’instaurazione di un regime comunista nella Jugoslavia. Nei quarantacinque giorni di occupazione, la violenza dei nazionalisti e dei comunisti jugoslavi si abbatté anche sulla popolazione civile, causando diverse migliaia di vittime (il numero è oggi difficilmente calcolabile ma stimabile intorno alle 10.000, di cui molte gettate nelle “foibe”, le tipiche cavità del terreno carsico); altre migliaia di persone furono arrestate e deportate nei campi di concentramento jugoslavi, dove molti trovarono la morte. La ferocia non ha né colore né partito. In questo clima si consumò anche la tragedia di Porzus.Enzo Faidutti
Bibliografia: “Il cassetto” di Antonello Sacchetti” “25 aprile 1945. I giorni dell’odio e della libertà” Raffaello Uboldi