MODUS ALPINI |
Dicembre 2007 |
E così gli alpini decisero di restaurare la chiesetta del loro paese.
Si
trovava in aperta campagna, tra campi di granoturco e vigneti a lato di una via
che portava diritta al centro.
Da anni ormai era chiusa al culto, perché erano
comparse pericolose crepe nei muri ed il soffitto stava cedendo.
Il piccolo tempio era molto amato dalla popolazione: lì un tempo le sere di
maggio si recitava il rosario in onore della Madonna e tanti anni fa sul piccolo
sagrato facevano tappa le rogazioni con il parroco che intonava a fulgore et
tempestate libera nos Domine.
L’amministrazione comunale aveva provveduto ad avvisare del restauro le Belle
Arti di Venezia, dal momento che all’interno vi si trovavano un altare ligneo
con balaustra, alcuni angioletti in marmo e due quadri, uno con Madonna e Santi
e l’altro rappresentante San Martino a cavallo mentre taglia in due con la spada
il suo mantello per donarne la metà ad un povero.
Era un pomeriggio di ottobre quando, annunciato da un fax, giunse un emissario
delle Belle Arti.
Con il treno fino a Conegliano, era arrivato sul posto con un
taxi.
Nessuno sapeva cosa fosse venuto a fare ma fu accolto con deferenza e
strette di mano.
Lo attendevano un rappresentante dell’amministrazione ed alcuni
alpini.
Un signore di bassa statura con baffetti, borsa al seguito.
Grandi sorrisi manifestavano la sua soddisfazione per questa trasferta fuori
dalla monotonia veneziana in aperta campagna.
Era una bellissima giornata, il
verde ancora intenso dei prati si alternava al color antracite delle biade
spogliate delle pannocchie, dopo la recente vendemmia i tralci delle viti erano
spogli e disordinati tentacoli al cielo ed umori mostosi impregnavano l’aria.
Lo
sguardo del funzionario indugiò a lungo sul paesaggio, sull’armonica proporzione
delle mura della chiesetta e sull’originale e grazioso campanile.
Ma, una volta
entrato nell’edificio, il suo sorriso si spense improvvisamente, ed i presenti
colsero nel suo volto delusione e smarrimento.
Tutti capirono che qualcosa non andava, ma nessuno ne immaginava il motivo.
Il
motivo fu presto chiarito: lui era arrivato da Venezia per spiegare con quali
tecniche dovevano essere rimossi e riposti i quadri e le statue che abbellivano
gli spazi della chiesetta… ma l’interno era completamente vuoto, perché Toni e
compagni giorni prima avevano rimosso quadri, altare, angeli e angioletti che,
caricati con cura sul rimorchio del trattore, erano stati messi al sicuro nella
cappella attigua al cimitero.
Era rimasta solo la vecchia scritta su un muro laterale che attestava la fede e
devozione verso Dio, Madonna e Santi della gente che aveva costruito la
chiesetta quattro secoli prima.
Fu proprio Toni a cogliere per primo il disagio dell’inviato delle Belle Arti.
“Sioreto….
”, cercò di rassicurarlo con tono deciso: bastava un po’ di pazienza e
lui avrebbe attaccato il rimorchio al trattore ed in poco tempo tutto sarebbe
stato riportato nella chiesetta ed in un attimo, poi, tutto sarebbe stato
rimesso al suo posto… L’espressione del sioreto cambiò un’altra volta… L’esperto
delle Belle Arti aveva capito che era arrivato nel posto sbagliato nel momento
sbagliato.
E per poter dire che la sua trasferta in terraferma non era stata del
tutto inutile si limitò a raccomandare agli alpini che fosse posta grande
attenzione alla tinteggiatura delle pareti interne, consigliando di ricorrere ad
una ditta specializzata in decori.
Quindi gli alpini lo portarono in visita alla
parrocchiale ed al vecchio borgo, e, prima di riaccompagnarlo alla stazione,
nella loro sede, dove gli raccontarono la storia del paese e della chiesetta.
Con l’avvio del cantiere gli alpini appresero da una pagina del quotidiano
locale che i lavori di restauro della chiesetta erano un segno dell’attaccamento
alla storia ed alla cultura del loro paese.
E ne furono contenti.
Lessero anche
che con quest’intervento essi volevano dimostrare che non erano buoni solo ad
organizzare feste, spiedi, pastasciutta e vin brulè.
Quest’altra cosa li lasciò
indifferenti, dal momento che essi non volevano dimostrare niente a nessuno.
I
lavori andarono avanti per mesi.
Il cantiere era sempre più vasto perché era
sempre maggiore il numero di coloro che davano una mano o seguivano i lavori.
Era un cantiere in stile alpino, nel senso che vi faceva parte anche un piccolo
chiosco.
Perché per gli alpini dopo le ore del lavoro vengo sempre quelle del
pane e del vino.
La domenica sera, si lavorava perlopiù nei giorni festivi,
chiuso il cantiere c’era più gente seduta nei tavoli del chiosco che in tutte le
osterie del paese.
Ed intanto il silenzio che da anni ristagnava attorno alla
chiesetta stava diventando un ricordo.
Nel corso dei lavori volava alto anche
qualche moccolotto, ma lo stesso don Alvise, ospite di un rancio serale, aveva
detto che in fin dei conti le bestemmie scappate agli alpini nell’esercizio
delle loro funzioni erano da considerarsi poco più che corpose giaculatorie.
Quando venne il momento della tinteggiatura, memori dell’invito del sioreto
delle Belle Arti gli alpini consultarono una ditta specializzata in pitture e
decori.
Il preventivo mise loro spavento.
Ma solo per poco: si erano arrangiati
a rifare completamente il tetto, a rinforzare i muri, ad isolare le fondamenta…
vuoi che loro, maestri nell’arrangiarsi, non riuscissero ad arrangiarsi anche
con la pittura? E si arrangiarono anche con quella e dentro la chiesetta ora
risplendeva un azzurro luminoso che mai nessuno aveva visto prima.
E venne il
giorno dell’inaugurazione, cui prese parte tutta la popolazione.
La sfilata
partì dalla chiesa parrocchiale dove il vescovo aveva celebrato la messa e
quando comparve in fondo alla strada Angelo, il vecio del gruppo, si attaccò
alla corda della campanella.
Era quello il momento più atteso perché la
manifestazione di quella domenica era stata intitolata “dopo vent’anni risuona
la campanella della vecchia chiesetta”.
Ma con il primo rintocco venne giù
tutto, corda e campana, e solo per fortuna non si fece male nessuno.
Toni con
pinza e fil di ferro rimediò in un attimo e la campanella riprese i suoi
rintocchi e dell’incidente non se ne accorse quasi nessuno.
E fu una bella
festa.
Tirate le somme alla fine dei lavori gli alpini avevano in cassa più
denaro di quando tutto era iniziato.
Perché tutto il paese si era mosso ed era
stata una gara per contribuire alle spese.
E gli alpini, com’è nel loro stile,
devolsero tutto in beneficenza.
Tutte le sere di maggio la gente si raduna
presso la chiesetta, ora ribattezzata “la chiesetta degli alpini”, per il
rosario alla Madonna.
E l’ultimo sabato del mese il gruppo organizza una grande
tavolata attorno alla chiesa.
Angelo dice che par di essere tornati ad una
volta, quando proprio lì prima si pregava e poi si faceva festa assieme.
Tutto a
loro spese, naturalmente, alla moda degli alpini .
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