Altavia del 90°, un fiore per i nostri Eroi


Settembre 2008

Un percorso alpinistico di otto giorni sulle orme della Grande Guerra, tra sentieri e creste dove tanti, troppi uomini hanno perso la vita. A questi uomini è stata dedicata l’esperienza alpinistica di sei appassionati di montagna a 90 anni dalla conclusione del primo conflitto mondiale.

Un fiore per i nostri Eroi, perché è stato eroico il solo sopravvivere tra quelle rocce, male equipaggiati e malnutriti a scavare buchi nella roccia, trincee nel fango a costruire tane nella neve. Ed i fiori sono già lì, portati da madre natura su quelle creste a perenne omaggio di tante vite spezzate dalla guerra, novant’anni fa.
E’ suolo sacro quello delle Dolomiti, dove tanto sangue è stato versato da entrambe le parti in tempo di guerra. E dove il freddo e gli stenti hanno completato la strage tra gli uomini che sono stati risparmiati dalle armi.
Lungo i ghiaioni affiorano ancora adesso frammenti di quelle ossa sbiancate dal tempo di uomini rimasti lì a morire. E pezzi di scarpa, schegge di bomba, palle di piombo, filo spinato, resti di baracche testimoniano che meno di un secolo fa tra quelle vette c’era la guerra.
Quando l’autunno scorso ci trovammo a casa di Battista (non il Presidente sezionale) per parlare dell’Altavia del 2008, Renato faceva già saltare le castagne sul fuoco del caminetto e le caraffe di vino erano in tavola. Comincia sempre così la nostra annuale esperienza alpinistica: una castagnata, una cena e un paio di pizze, poi la fase preparatoria e infine la partenza. Battista illustra brevemente il percorso da seguire, parla dei rifugi dove si pernotterà, mentre il vino fresco di caneva consente di mandar giù meglio le castagne. Nessuno contesta il percorso o chiede modifiche. Tutti sanno comunque che ci sarà da faticare anche stavolta, perché la teoria di Battista è che bisogna fare sempre il massimo possibile, quasi che per noi gli anni non passassero. Sarà, ma a qualcuno vengono i primi dubbi: “è proprio necessario salire sul Popera l’ultimo giorno?”. La risposta di Battista è lapidaria e non lascia margini a mediazioni: “sennò cosa facciamo fino a mezzogiorno? Tanto vale farci l’ultimo tremila”.
Così si parte alle cinque di mattina del 20 luglio 2008. Siamo in sei (Alberto, Battista, Mario, Renato, Toni 1 e Toni 2), ci conosciamo da anni a parte una recluta, testata comunque ampliamente nelle varie escursioni preparatorie. E’ importante essere affiatati in un’Altavia. Bisogna saper andare avanti insieme e magari soffrire e stringere i denti insieme, se è necessario. Bisogna avere stima reciproca e saper prendersi in giro con battute e scherzi che, peraltro, nel nostro gruppo non mancano mai. Saliamo in macchina da Livinallongo fino alla Palla e poi, prima delle otto, a piedi verso quel Col di Lana, teatro di tanto eroismo di cui, spesso, Fiamme Verdi, riporta la cronaca in occasione dell’annuale pellegrinaggio. Sul Col di Lana stanno (gli alpini) recuperando le vecchie trincee e resi sicuri i sentieri di cresta. Poi si sale al passo di Valparola anch’esso ricco di testimonianze di guerra. C’è il museo del Forte Tre Sassi, ci sono le trincee e le postazioni della Grande Guerra. Si dorme al Rifugio Scotoni, ma già si guarda al Piz di Lavarella, obiettivo della giornata successiva.
Raggiunta la vetta della Lavarella si scende per sfasciumi e brevi salti di roccia fino a raggiungere, dopo un lungo sentiero di avvicinamento, il Rifugio Lavarella, bello e rinnovato rispetto al nostro primo pernottamento, una decina di anni fa.
Il terzo giorno si percorre il Sentiero della Pace, salendo il Monte Cavallo, la Furcia Rossa e il Vallon Bianco lungo percorsi di guerra che dagli anni ’70 gli alpini hanno adottato e sistemato.
Il quarto giorno arriviamo al Rifugio Lorenzi, salendo dalla ferrata Dibona e la mattina successiva, prima di scendere al passo Tre Croci, si va sulla vetta del Cristallo di Mezzo per la Ferrata Bianchi.
Dal Tre Croci alla Forcella Popena è una bella fatica, ma ci aspetta il Rifugio Bosi sul Monte Piana dove sappiamo che il gestore ci tratterà bene, da vecchi amici.
Siamo a venerdì e l’entusiasmo cancella la fatica anche quando, una volta scesi in Val di Landro, si sale il Monte Rudo e poi avanti fino alla Forcella Piccolo Rondoi e infine giù fino al Rifugio Tre Scarperi. Sono le sette di sera, siamo tutti molto stanchi anche perché le piogge hanno in parte cancellato e reso piuttosto difficile il percorso sul Rudo. A parte il freddo intenso e qualche fiocco di neve sul Sentiero della Pace, fino a questo punto non abbiamo preso pioggia ma le previsioni la annunciano imminente. Anziché salire dalla Forcella Lavinia dei Tre Scarperi scegliamo il più agevole sentiero che porta alla Forcella Alpe Mattina e alle Tre Cime di Lavaredo.
Comincia a piovere a dirotto appena messo il naso dentro il Rifugio Pian di Cengia, che abbandoniamo solo dopo una straordinaria pasta con funghi e ragù ed una serie di birre. Percorriamo un sentiero di guerra, tutto in cengia, ben attrezzato per poi scendere al Rifugio Carducci e la mattina salire il Popera, prima di intraprendere il lungo sentiero in discesa che porta alla Val Giralba.
Da lì in corriera fino a Calalzo ed in treno fino a Conegliano, col cuore gonfio di soddisfazione ed il pensiero che va ancora a quei ragazzi che, anziché salire le montagne per godere della loro bellezza, lo hanno fatto con un fucile in mano, perché comandati. E lì sono andati a morire.

Antonio Menegon


I sei partecipanti all’Altavia del 90°

Il bello della vetta è godere del creato

Una fortificazione e, sullo sfondo, le Tre Cime

La Tofana di Rozes vista dal Sentiero della Pace

In cima al Popera, anche se non splende il sole