IMPRESSIONI DI UNO DI CODA |
2008 |
Finalmente si parte, la lunga teoria di muli si snoda fuori
dalla caserma alle prime luci dell’alba. Con la mente annebbiata dal sonno si
ripensa a tutto quello che è stato fatto nei giorni di preparazione. Rimane
sempre il dubbio di aver dimenticato qualche cosa, di non aver fatto bene le
basi di foraggio perché è difficile sapere se al mulo piaceranno due panini
imbottiti al posto della biada: rimane il dubbio di aver dimenticato qualcuno in
caserma magari col mulo addormentato al filare. Ma in fin dei conti sono solo
fantasmi della mente di chi si ritrova ad essere ultimo della colonna e filtrare
tutti gli umori di chi gli sta davanti, Con un occhio semichiuso, ma solamente
per ripararsi dai primi raggi del sole, si guardano in tralice le ragazze più
mattiniere e si pensa. chissà perché, al mulo Ilare che tutto bianco starebbe
bene con una bella sciarpa rossa attorno al collo, gli darebbe un’aria più
sbarazzina e meno professorale, ma si sa l’aspetto del “vecio” temperato da
tanti campi è sempre un po’ distaccato e sufficiente nei confronti di chi è alla
sua prima esperienza del genere.
Sul più bello, quando ormai tutto sembra normalizzato il
Parroco ci fa uno scherzo veramente curiale e si imbizzarrisce, non ne vuol più
sapere del carico, ed è dura fatica convincerlo, per fortuna è evitato
l’incidente diplomatico.
Primo accantonamento, prima sistemazione, prime prove di
collegamento sotto la direzione del mago dell’antenna, ovverosia dell’addetto
alle trasmissioni. il quale dottamente disquisisce su mezze onde, metri
d’antenna e ammenicoli vari. Meglio lasciarlo solo con la sua coorte di
radiofonisti, altrimenti è capace di stenderti un’antenna a filare tra le
braccia aperte.
Si riparte a notte fonda e cominciano le domande: ma questa è una marcia
notturna, o diurna come da programma, non si capisce più, se si gira per
l’accampamento per il contrappello o per la sveglia, tanto le due cose sono
vicine.
Si passa per paesetti addormentati ed è con una punta di
gioia che si sente l’ordine del comandante di alt alla batteria proprio in mezzo
alle case. Gli ordini riecheggiano lungo tutta la colonna, tra squadra e
squadra, seguiti dall’accendersi di luci e rumori di imposte.
E piedi cominciano a ribollire dentro gli scarponi e si
pensa con rammarico ad un paio di babbucce, di ordinanza ben s’intende, comode
come quelle di un Califfo di “Mille e una notte”,
Quello che ci lascia un po’ interdetti è, nell’attraversamento dei centri
abitati, il fatto che le mamme ci indichino ai loro figlioletti come degli
esseri un po’ strani e fuori del tempo e si radica in noi la convinzione che non
fa più sensazione lo sbarco sulla luna, ma il nostro passaggio a piedi, magari
avvolti dalle nuvolette dei gas di scarico delle automobili.
Prima domenica di campo e primo soggiorno in una zona del Trentino abitata da
gente cordialissima: la batteria mette in pratica le lezioni sugli usi e costumi
del luogo fatte dal comandante.
In mattinata Giacinto riceve la visita della sua ragazza e si sente sulle spine,
osservato da tutti, e poi siamo alle escursioni, notare il cambio di termine,
non più al campo il che potrebbe dare l’idea di qualche cosa di godereccio: e
dove sono finiti i costumi spartani che temprano a qualsivoglia privazione le
Truppe Alpine? Alla fin fine i nostri collegamenti in marcia dipendono da lui e
non si vorrebbe mai che invece di chiamare il Nucleo Tattico logistico di Gruppo
chiamasse la S.I.P. per avere la linea con chi a noi non interessa e quindi una
libera uscita anticipata sta sempre bene anche perché il muto grido della
batteria è: “ Come ti invidiamo Giacinto”.
E dopo una marcia serale o quasi notturna, non tanto per le
condizioni di luce, quanto per l’orario di rientro alla base dopo i faticosi
lavori di preparazione del sentiero innevato per lo scavalcamento con “mussi e
canoni’.
In effetti, a parte la fatica del lavoro di spalatura (o la complicazione del
rancio con i viveri da combattimento) il tempo ci regala due splendide giornate
e sul pianoro del lago Calaita (Canal S. Bovo) si dimentica il campo e tutto
quanto, inebriati dal sole e dalla neve. Purtroppo ci si ricorda di quello che
si sta facendo proprio alla vigilia dello scavalcamento, ultimo giorno di
carnevale, e giù dal paese ci giungono un po’ attutiti i suoni dei canti e della
musica, ma noi dobbiamo ritirarci presto.
A notte fonda ci sveglia l’ufficiale di servizio e in un primo momento la sua
voce brusca ci sembra venire dal Paradiso, con un sottofondo di cori angelici e
arpeggi vari. Invece ci si accorge che sono gli ultimi festaioli che tra i fumi
dell’alcool si ricordano della loro naia e sono venuti a darci il loro appoggio
morale e presi da sacro zelo intralciano un po’ il nostro lavoro.
Si parte, si sale al buio faticando tra la neve rovinata dal passaggio dei primi
muli. E’ impressionante il silenzio che ci avvolge, ci penetra dentro, si sente
solo l’ansimare di uomini e bestie, i sordi brontolii dei conducenti che
incitano il loro mulo in una sorta di strano rapporto di odio-amore,
E chi sta in fondo alla colonna si accorge di tutto questo e deve incitare,
rincuorare. spingere verso la fine della salita. Sul pianoro c’è l’incontro con
l’altra batteria, rapidi saluti nell’alba, scambi di frettolose impressioni. E
poi giù per la ripida discesa ghiacciata che mette a dura prova non solo le doti
di equilibrio di tutti noi, ma anche il colpo d’occhio dei conducenti, la mano
leggera ma ferma dei serventi che fanno la trattenuta al carico. Alla fine si.
arriva contenti anche perché per tanti questa è stata la prima esperienza reale
di quanto era stato appreso da racconti, foto e filmati.
Continuano le marce di trasferimento sino al passo Broccon, dove si passerà la
seconda domenica. Qui si scopre che i barchini non servono solamente per far
slittare il pezzo. ma anche per passare il pomeriggio in allegria tra la neve
vergine, sognando le piste di Cervinia.
Alla sera gran riunione conviviale in malga a base di bruschetta, formaggio,
vino e solenni cantate che rompono il silenzio della notte, Questa sera ci si
sente tutti vicini senza alcuna distinzione, allietati dai “billissimo” di Don
Mimì che finisce imbastato in piena regola.
Il giorno dopo, preparazione della mulattiera per la slittata, ultima fatica del
campo. E quando parte il primo barchino frusciando si abbandonano con tristezza
queste cime accompagnati dai rumori del personale della base, che smonta tutto
in fretta per essere poi pronti a rimontarlo e a farci ritrovare al nostro
arrivo la cucina rotabile fumante.
Ormai si scende verso la valle e ogni tanto arrivano per radio le imprecazioni
del personale dei primi barchini che si lamenta perché non abbiamo battuto una
pista più larga.
Ma quando alla fine ci si ritrova tutti quanti nel piazzale della stazione di
Feltre e si danno le ultime rifiniture per sfilare per la città ci si sente più
vecchi dentro, non tanto perché si è fatta una “bufera”. quanto perché,
nonostante le imprecazioni, i disagi passati, sappiamo di dover lasciare un
periodo vissuto intensamente nella fatica e nella spensieratezza. per
sprofondare nel grigiore di tutti i giorni.
Uno della coda
Di norma, in coda al reparto in marcia, camminava il
sottocomandante di batteria.
Il racconto è stato tratto dal fascicolo-album che il Gruppo Agordo ha compilato
e distribuito agli artiglieri in servizio ed in congedo in occasione del raduno,
avvenuto a Feltre il 13 aprile 1975, prima dello scioglimento del Gruppo operato
in quello stesso anno.