Una battaglia già persa


Settembre 2008

Quando, verso la fine di gennaio del 2006 è stata approvata in via definitiva la legge che ha modificato il codice penale in materia di reati di opinione (Legge 85/2006), già avevo in mente di parlarne su Fiamme Verdi, di dire che non ero d’accordo, che si trattava di un grossolano errore, pari a quello della soppressione della leva obbligatoria.
Mi attendevo però in quei giorni grandi titoli sui giornali, editorialisti sdegnati, opinionisti perplessi, lettere infuocate dei lettori, ma le testate nazionali relegarono tra le curiosità il fatto che il vilipendio al Tricolore, dopo la nuova legge, costava (solo) 1.000 Euro, anziché il carcere o l’addio alla condizionale. Depenalizzato, anche il “delitto di offesa alla bandiera o ad altro emblema di uno Stato estero” la cui pena, dalla reclusione da sei mesi a tre anni, è stata sostituita con l’ammenda da 100 Euro a 1.000 Euro. Ma non c’era solo questo. Anche l’attentato all’integrità e all’indipendenza dello Stato è stato depenalizzato: dall’ergastolo a 12 anni e così via.
Ritengo che l’identità nazionale e quindi anche i suoi simboli, siano l’unico deterrente alla creazione di identità fittizie e al consegnarci, anima e corpo, agli stereotipi della società dell’apparire e del consumare, dell’egoismo e della rassegnazione.
Il concetto di Patria racchiude un grande valore morale ed emozionale. E’ quello stesso che proprio 90 anni fa, dopo Caporetto, ha permesso di respingere oltre i confini nazionali l’invasore e di concludere vittoriosamente una guerra durissima per soldati e popolazione.
La recente richiesta di archiviazione da parte della magistratura dell’ipotesi di reato per un gesto palesemente offensivo all’inno nazionale compiuto da un politico, evidenzia una pericolosa tendenza in atto da tempo.
Personalmente non mi indigna che il politico di turno possa affermare che col Tricolore ci si possa pulire quella parte poco nobile (ma peraltro utilissima) del corpo umano o che al risuonare dell’Inno di Mameli si faccia il segno del dito medio in segno di spregio. Mi indigna che questi gesti vengano tollerati da una popolazione che ormai non si indigna più di nulla. Se il linguaggio dei nostri rappresentanti della politica è improntato all’insulto, anche il cittadino si può sentire autorizzato ad usare lo stesso linguaggio nel rapporto con i rappresentati delle Istituzioni. Se le Istituzioni vengono continuamente delegittimate (soprattutto la Magistratura, le forze dell’ordine, ma anche il Presidente della Repubblica), quale unità intorno ai valori nazionali e ai suoi simboli può nascere?
Quando, col cappello in testa, mi emoziono sentendo suonare il silenzio o l’Inno nazionale; quando trattengo le lacrime sulle note del Signore delle Cime e mi accorgo che tanti intorno a me sono nelle stesse condizioni, penso che gli alpini siano davvero gente speciale. Il rischio è però che il distacco dal paese reale (quello che tollera la depenalizzazione del vilipendio al Tricolore e accetta passivamente l’insulto all’Inno nazionale) si allarghi sempre di più e che gli alpini, o chi la pensa come loro, si trovino sempre più isolati.
Allora fa bene quel provveditore agli studi della Provincia di Bergamo che fa cantare l’Inno di Mameli nelle scuole; fa bene il Ministro dell’Istruzione a riproporre l’educazione civica a scuola ed altrettanto bene fanno tutti quegli amministratori locali che nel 90° della Grande Guerra promuovono iniziative nelle scuole e nelle loro città e paesi. Inutile dire che è altamente meritoria l’opera di avvicinamento al corpo degli alpini ed ai valori che essi rappresentano da parte di vari Gruppi della nostra come di altre Sezioni ANA. Ma l’impressione è che questa sia comunque una battaglia già persa

Antonio Menegon