RICORDI ED EMOZIONI SUL COL DI LANA |
Dicembre 2010 |
In una giornata di metà agosto leggo in un giornale nazionale un breve racconto in cui un ragazzo italiano andatosene di casa per passare del tempo tra i monti incontra un uomo austriaco che lo ospita in casa sua. Conosce sua figlia, si innamorano e per un periodo intrattengono un rapporto epistolare. Una volta con una lettera il giovane chiede all’uomo che l’aveva ospitato la mano della figlia. Poi però il destino gioca brutti scherzi e si trovano a combattere sul Col di Lana uno contro l’altro. Si ritrovano in teatro di guerra, si abbracciano e per del tempo quando la situazione è stabile riescono ad incontrarsi nonostante siano nemici, e proprio in prima linea il soldato austriaco riesce a far sposare la figlia con il ragazzo italiano. Un giorno però l’esercito italiano sferra un attacco con la baionetta, i due si trovano di fronte l’un l’altro e combattono fino ad uccidersi.
Una giornata bellissima, il sole caldo, una leggera
brezza, il cielo terso. Dalla vetta del Col di Lana, dall’alto dei suoi 2452
metri, basta girarsi tutt’intorno per poter ammirare un panorama meraviglioso:
il gruppo della Marmolada, del Sella, la Val Badia, il gruppo del Setsass, il
Civetta e tutte le cime dolomitiche circostanti.
Una volta giunti quassù è facile capire perché nel corso
della Prima Guerra Mondiale fu scelto come punto strategico di osservazione e
per questo conteso dalle parti.
Basta proseguire il cammino oltre la chiesetta perché la
solida roccia sulla quale si sta camminando lasci il posto ad un cratere enorme,
una ferita gigante di circa 200 metri, un erosione incredibile. Sembra quasi
recente perché lungo il suo perimetro si ha l’impressione che l’erba sia
cresciuta fino al giorno prima.
Ovviamente ne avevo sentito parlare, ma non c’ero mai
stato prima. L’occhio un po’ si perde, si sfuoca il meraviglioso paesaggio che
ho di fronte anche ascoltando le parole di un ufficiale che ripeteva le
testimonianze di suo nonno che lassù c’era stato, e cerco di capire ed
immaginare la disposizione ed i movimenti delle compagini che si affrontarono.
Le manovre che l’esercito italiano e di quegli alpini che, da come avevo letto
in precedenza, scalzi per non far rumore si muovevano nelle gallerie per
posizionare le cariche di dinamite e che nel frattempo fingevano con lo scoppio
di cariche minori da altre parti di spostarsi in posizioni diverse. Degli
attacchi che comunque si perpetravano intensi per non destare sospetti e quel
silenzioso defilarsi per spostarsi in postazioni che non fossero pericolose per
sferrare un ulteriore attacco dopo che ci fosse stata la grande esplosione. Poi
il pensiero va all’immagine dell’esplosione immaginandola così come chi l’aveva
vista l’ha poi raccontata: un grande esplosione, una nube di fumo e polvere
impressionante, una parte di montagna che frana mentre pezzi di roccia e forse
di soldati nemici salgono verso il cielo per poi cadere più giù.
Credo che questa ricorrenza, questo pellegrinaggio così
come l’ho vissuto in questa mia prima volta, possa essere definita come una
festa dell’unione dove si mette da parte tutto quello che è stato, che
sicuramente e doverosamente è stato e dovrà essere sempre ricordato e tramandato
come è nostro compito, e ci si incontra con tutta la serenità che ci è
possibile. Con chi mi era vicino durante la funzione abbiamo notato subito come
non fosse prettamente una ‘festa’ militare, ma fosse un’intera comunità a
ritrovarsi: tante famiglie, persone più avanti con l’età ma anche tanti bambini
e comitive di persone e di ragazzi che erano lassù non per turismo ma per
ricordare e stare insieme.
di Matteo Villanova
http://www.youtube.com/watch?v=aoqGD_N7W2c