ALlA GOI-PANTANALI


maggio 2011

AMICI PER SEMPRE

Alla Goi la cerimonia nel ricordo degli alpini vittime del terremoto che colpì il Friuli nel 1976

Ogni anno approssimandosi il 6 maggio nella Goi-Pantanali di Gemona si ricordano 55 secondi di terrore, ragazzi di 20 anni che scavavano a mani nude tra le macerie una maledetta notte di luna, 29 ragazzi di 20 anni travolti dal crollo della loro caserma.
Sabato 30 aprile 2011, si parcheggia in caserma, il servizio d'ordine e tutte le fasi della cerimonia sono affidati a giovani alpini della Julia, e non mi sfugge che 35 anni fa non erano ancora nati. La messa viene celebrata sotto la tettoia ricovero automezzi, davanti alla chiesetta che rappresenta l'unica struttura in cemento del vasto complesso. Solo qualche piccolo prefabbricato, per il resto quella che era una caserma immensa ora è un immenso cortile. Tanti i presenti, alpini, familiari ed amici, fedeli a questo appuntamento anche quando le distanze sono impegnative. C'è il nostro vessillo sezionale con Narciso De Rosso ed un gruppo di alpini di Colfosco guidati dal capogruppo Trentin. Con il capogruppo Gava ci sono alpini di Godega, presenti ogni anno per ricordare Guido Da Re.
La messa è accompagnata dal canto di un coro di penne nere, sicché anche il Kyrie, il Sanctus e l'Agnus Dei mi sembrano tristi cante alpine. Toccante il discorso del sin- daco di Gemona: ricorda che ogni 6 maggio 29 dei 400 rintocchi della campana più grande del duomo sono per gli alpini caduti sotto le macerie della Goi: da quella sera quei ragazzi sono diventati per sempre cittadini di Gemona. Il comandante della Julia Bellacicco sottolinea che tutto è cambiato in questi 35 anni ma rimane indelebile il ricordo. Nessuno potrà dimenticare che dopo aver tirato fuori i loro commilitoni dalle macerie gli artiglieri della Goi non si fermarono a piangere ma uscirono dalla caserma per spostare con le mani altre macerie, coinvolti in pieno in tutte le fasi dell'emergenza e dei soccorsi alla popolazione. La Julia è un bene prezioso di questa terra e quella storia luttuosa divenne poi una delle pagine più belle tra quelle scritte dagli alpini.
Alla fine della messa mi aspetto il classico Signore delle Cime e partono invece le note sommesse, tristi, struggenti, dolci, strazianti e bellissime di Stelutis Alpinis che in questo momento mi sembrano la più bella melodia, la più bella preghiera uscita da questa terra.
Vengono scanditi 29 nomi in un silenzio assoluto, anche il vento, che prima sembrava presagire il turbine, ora è cessato. Poi l'omaggio alla stele con quei nomi in ordine alfabetico che la tragedia ha accomunato per sempre, corone di fiori accompagnate dalla madre dell'art. Pierantonio Mutti di Vazzola, e dalla sorella del C.le Doriano Dal Bianco di Quinto di Treviso.
Un'altra donna molto anziana, cammina a fatica, si avvicina a quella pietra, mette la mano in un punto preciso, manda un bacio e lascia una lacrima.
A ricordo di questi figli e di questi fratelli sono stati allestiti all'interno della chiesetta due pannelli commemorativi, con le fotografie di quei ragazzi, a perenne memoria del loro sacrificio.
Tra le autorità anche l'on. Zamberletti, allora commissario straordinario del Governo per la ricostruzione, che tutti qui ricordano con affetto e riconoscenza.
Il colonnello Tomadoni, allora capitano all'a Goi della BCS dell'Udine, mi racconta tutti i momenti di quella notte, quando perse 8 dei suoi alpini. La voce è ferma, il racconto è pacato, ma improvvisamente gli occhi si fanno lucidi e rimangono lucidi sempre.
Sempre più numerosi, di anno in anno, i familiari dei caduti, a signi-ficare che quella ferita non si è mai rimarginata. E di anno in anno l'assenza, definitiva, di qualche papà o di qualche mamma, a ricordarci che il tempo passa.
Ognuno dei presenti avrebbe la sua storia da raccontare. Tra gli alpini che si abbracciano c'è chi era rimasto sotto le macerie, chi porta ancora i segni di quella notte, chi quella notte ha scavato con le mani nude e rabbiose alla luce delle fotoelettriche. Quella notte li ha fatti diventare amici per sempre. Li chiamano "quelli della Goi", una associazione che non ha né nome, né presidente, né segretario. Un'anima ce l'ha, è Giuseppina, moglie di Arturo Virilli.
La storia di Arturo è stata scritta due anni fa su queste pagine, la storia di un artigliere del Conegliano che nel terremoto perse tutta la sua famiglia e che rifiutò il congedo per affiancare i commilitoni nelle operazioni del post terremoto.
Passarono anni, mi dice Giuseppina, prima che Arturo prendesse parte a questa cerimonia, si sa che a questo appuntamento qualcuno non è mai venuto e forse non verrà mai, perché i ricordi pesano e non è facile. Ma ogni anno compare qualche volto nuovo, e chi vien la prima volta poi non manca più.
La giornata finisce, come ogni anno, con un incontro conviviale, che sembrerebbe strano se non lo avessero voluto i parenti. Vengono raccolte delle offerte per la famiglia di uno della Goi che da quest'anno non c'è più ed ha lascato moglie e figli in una situazione non facile. Tornano i ricordi, le storie, si scambiano racconti, c'è un anno da raccontare tra amici che si vedono solo in questa occasione.
Arturo mi indica la presenza di sei madri e di un papà. C'è il fratello di Livio Sciulli, Enzo, che viene da Lanzano, Chieti. Per 30 anni è sempre stato presente il padre, che prima di morire ha chiesto ad Enzo di partecipare in sua vece. C'è la mamma di Giuseppe Siemitz, di Gorizia, figlio unico. Era in licenza la sera del terremoto, rientrò in caserma la mattina successiva. Perì giorni dopo in un incidente stradale mentre era impegnato nelle operazioni di soccorso. Era figlio unico anche Osvaldo Battaglia, la mamma è arrivata da Teramo con due nipoti. C'è anche la mamma di Roberto Ghetti di Castel San Pietro, Bologna. Anche lei aveva solo quello di figlio, mi dice Arturo, nascondendo l'emozione, dimenticando forse che in quel terremoto lui ha perso i genitori, la sorelle ed un nipote.
Quelli che ci sono e quelli che non ci sono più, come la mamma di Vanni Calligaro. Vanni era per Arturo un fratello, più che un fratello. Quella maledetta sera alla Goi non vedendolo per la libera uscita lo aveva cercato. Vanni era stato nominato caporale il giorno prima e proprio quella sera montava di servizio in caserma. "Ci vediamo domani". Erano le 18.45 e non lo rivide più. Mesi dopo, la mamma di Calligaro, informata dell'amicizia di Arturo con il figlio, aveva manifestato il desiderio di incontrarlo. Più volte gli amici avevano sollecitato un incontro ma Arturo si rifiutava, sentiva di non avere parole da dirle. Poi non poté sottrarsi e, recatosi a Buia, si trovò davanti una persona distrutta. Non ricorda cosa si siano detti né se si siano detti qualcosa, ricorda solo che quella madre piangeva, piangeva. Ed è morta dopo due anni, di crepacuore. (f.)


La deposizione delle corone d'alloro


L'omaggio delle autorità ai ragazzi caduti 35 anni fa


Le insegne alpine alla cerimonia religiosa


Santa Messa in suffragio