ALPINI IN AFGHANISTAN |
maggio 2011 |
Magg. Mario Renna
Nei dodici mesi trascorsi in Afghanistan a partire dal mese di aprile del
2010, gli Alpini hanno costituito il nucleo principale del contingente italiano
forte di circa 4.000 militari inquadrato nel Regional Command West di ISAF (RC-W),
il comando NATO responsabile per la regione occidentale del Paese asiatico.
Prima la brigata Taurinense, per sei mesi, e poi la Julia – insieme a forze
afgane, statunitensi e spagnole – hanno operato su un’area grande quanto
l’Italia del nord, popolata da circa 3 milioni di persone, con molti risultati
di rilevo all’attivo: zone un tempo terreno d’azione dagli insorti oggi
pacificate e ripopolate, centinaia di progetti di sviluppo realizzati, migliaia
di poliziotti e soldati afgani addestrati, centinaia di ordigni disinnescati
dagli specialisti del genio.
Per descrivere in una parola il periodo trascorso dagli Alpini insieme agli
altri militari italiani in Afghanistan, il vocabolo giusto è complessità. Le
operazioni sono state condotte in collaborazione con le forze di sicurezza
locali secondo un approccio italiano che ha visto mettere la popolazione afgana
al centro degli sforzi, coinvolgere le comunità e i leader locali
nell’affrontare i problemi legati alla sicurezza e allo sviluppo, realizzare i
progetti di ricostruzione tramite risorse locali, usare flessibilità senza
rinunciare ad essere determinati, adoperare le armi solo se attaccati e quando
necessario.
A nord, a Bala Murghab il 2° reggimento Alpini della Taurinense e l’8° della
Julia, insieme a forze statunitensi e afgane, sono stati protagonisti della
costruzione di una ‘bolla di sicurezza’ di oltre 20
km di estensione che è stata difesa da attacchi esterni mediante un sistema di
capisaldi e trincee, consentendo il ritorno alla normalità per 8000 persone
fuggite in precedenza a causa degli insorti.
Parallelamente, all’interno della ‘bolla’ è stato lanciato un programma
internazionale di aiuti a sostegno della popolazione, che ha risposto con favore
al nuovo corso, facendo tra l’altro registrare alle elezioni politiche dello
scorso 18 settembre uno dei tassi di affluenza più elevati della provincia.
Al centro e a sud del’area di responsabilità, le unità del Regional Command West
hanno operato a fianco delle forze di sicurezza afgane per estendere il raggio
d’azione del governo, in particolare nei distretti remoti delle provincie di
Herat e Farah. Il 3°, il 5°, il 7° e il 9° reggimento Alpini hanno prodotto
insieme alla polizia e all’esercito di Kabul uno sforzo puntuale e costante per
contrastare la presenza degli insorti e proteggere la popolazione. I genieri del
2° e del 32° hanno neutralizzato e distrutto centinaia di ordigni, spesso
segnalati dalla popolazione afgana alle forze di polizia locali.
Nell’anno in cui si sono articolati i mandati semestrali della Taurinense e
della Julia alla guida di RC-W, i quattro Provincial Reconstruction Teams, le
unità civili-militari specializzate nella ricostruzione presenti nelle province
occidentali di Badghis, Farah, Ghowr ed Herat hanno condotto centinaia di
progetti a breve e medio termine che sono stati integrati nei piani di sviluppo
delle autorità governative locali. Di speciale importanza è stato l’impegno nel
sostenere i programmi governativi di reintegrazione di excombattenti nelle
comunità di provenienza, che stanno coinvolgendo decine di insorti orientati a
deporre le armi.
In particolare, il PRT Italiano di Herat, alla cui guida si sono succeduti il 1°
e il 3° reggimento artiglieria da montagna, hanno condotto oltre 250 progetti
nei settori dell’istruzione, della sanità, delle comunicazioni e dello sviluppo
socio-economico della provincia, triplicando il budget del Ministero della
Difesa mediante l’accesso a fondi esteri.
Sul fronte dell’addestramento e della preparazione delle forze di sicurezza
afgane, i Carabinieri hanno lavorato intensamente ed efficacemente brevettando
migliaia di reclute dell’Afghan Civil Order Police, la polizia afgana con
caratteristiche spiccatamente militari addestrata presso i centri di Adraskan ed
Herat gestiti dai militari dell’Arma. In vista di una sempre maggiore autonomia
nel training è stato inoltre lanciato un programma di formazione degli
istruttori afgani.
La Task Force Grifo della Guardia di Finanza ha contribuito alla formazione
specifica dei quadri della polizia di frontiera e delle dogane, impegno di una
certa importanza visto che la regione ovest presenta confini di migliaia di
kilometri con l’Iran e il Turkmenistan.
L’ottima riuscita della partnership con il 207mo Corpo d’Armata dell’esercito
afgano è stata facilitata dall’opera dell’Operational Mentor and Liaison Team,
l’unità multinazionale a guida italiana che quotidianamente ha accompagnato in
operazione e in addestramento tutti i battaglioni afgani schierati nell’ovest
del Paese. Un’attività analoga è stata sistematicamente
svolta dai Carabinieri del Police Mentoring and Liaison Team nei confronti del
comando del 606mo Corpo della polizia di stanza a Herat.
Tutte le operazioni si sono avvalse dell’apporto di velivoli ad ala fissa e
rotante inquadrati in task force statunitensi, spagnole e italiane. Di notevole
importanza è stato il contributo della Joint Air Task Force (JATF)
dell’Aeronautica Militare e della Task Force Fenice dell’Aviazione
dell’Esercito, che, mettendo in campo una grande gamma di capacità, hanno
prodotto centinaia di missioni di ricognizione, scorta, trasporto, aviolancio e
osservazione.
Gli AMX e i Predator dell’Aeronautica hanno giocato un ruolo di peso nella
protezione dei convogli e nel contrasto alla minaccia degli ordigni
improvvisati, mentre i Mangusta dell’Esercito hanno svolto un compito essenziale
nell’appoggio alle truppe a terra, che sono state rifornite con regolarità
grazie ai C130J della JATF e ai CH47 di Fenice, che con gli AB205 e 412 ha
inoltre assicurato missioni di collegamento e scorta.
Una missione di dodici mesi estremamente complessa, quella italiana - costata la
vita a tredici militari caduti in operazione - che il generale David Petraeus,
comandante dell’International Security and Assistance Force, ha definito
chiaramente un successo grazie allo “sforzo eccezionale” degli Alpini sul campo.
I caduti italiani nella regione di Herat da maggio del 2010
Il 17 maggio 2010, a seguito dell'esplosione di un ordigno al passaggio di un convoglio del Contingente, nei pressi del villaggio di Mangan, a circa 15 km a sud di Bala Murghab, perdevano la vita il Sergente Maggiore Massimiliano Ramadù ed il Primo Caporal Maggiore Luigi Pascazio, entrambi del 32° reggimento genio guastatori della brigata Taurinense.
Il 23 giugno 2010, a seguito della caduta accidentale da bordo di un mezzo "Buffalo" nei pressi di Shindand, perdeva la vita il Caporal Maggiore Scelto Francesco Saverio Positano del 32° genio della Taurinense.
Il 28 luglio 2010, al termine dell'operazione di disinnesco di una bomba rudimentale nei pressi di Herat e nel perlustrare la zona circostante per accertare l'eventuale presenza di altri ordigni esplosivi, investiti da una forte esplosione perdevano la vita il 1° Maresciallo Mauro Gigli e il Caporal Maggiore Capo Pierdavide De Cillis, appartenenti rispettivamente al 32° e al 21° reggimento genio.
Il 17 settembre 2010, a seguito delle ferite di arma da fuoco riportate nel corso di un'operazione svoltasi nel distretto di Bakwa, perdeva la vita il Tenente Alessandro Romani del 9° reggimento paracadutisti d’assalto ‘Col Moschin’.
Il 09 ottobre 2010, in seguito all'esplosione di un ordigno artigianale nel distretto di Gulistan, a circa 200 chilometri a sud di Herat, perdevano la vita il Caporal Maggiore Scelto Gianmarco Manca, il Caporal Maggiore Scelto Francesco Vannozzi, il Caporal Maggiore Scelto Sebastiano Ville ed il 1° Caporal Maggiore Marco Pedone, tutti in forza al 7° reggimento Alpini della brigata Julia.
Il 31 dicembre 2010 il Caporal Maggiore Matteo Miotto, del 7° Alpini, perdeva la vita in seguito alle ferite riportate in uno scontro a fuoco.
Il 18 gennaio 2011 il Caporal Maggiore Scelto Luca Sanna, effettivo all’8° reggimento Alpini della brigata Julia, perdeva la vita in seguito alle ferite di colpi d'arma da fuoco esplosi da un presunto appartenente all'Afghan National Army, poi fuggito.
Il 28 febbraio 2011 il Tenente Massimo Ranzani, appartenente al 5° reggimento Alpini della Julia, perdeva la vita in seguito all'esplosione di un ordigno esplosivo a nord di Shindand.
Un ricordo di Mauro Gigli
Dei commilitoni caduti in Afghanistan, il primo maresciallo Mauro Gigli era
quello che conoscevo di più per aver condiviso con lui diverse missioni
all’estero e per l’amicizia che ci legava da anni.
Mauro era appassionato dal suo lavoro, quello di esperto nella rimozione degli
IED, la sigla che nel gergo militare indica le insidiosissime bombe artigianali
fatte a mano che in Afghanistan mietono vittime a centinaia ogni anno, specie
tra la popolazione civile. Lui era uno degli ‘Hurt-Locker’ italiani, gli
specialisti che indossano la tuta anti-esplosione e operano con il robot e a
mano sulle trappole esplosive che seminano morte e distruzione lungo le strade
dell’Afghanistan e non solo. Da diversi anni si era specializzato in questa
nuova branca del genio militare, si formava e si informava continuamente per
essere sempre aggiornato sulle nuove tecniche usate dagli insorti per colpire i
militari e i civili. In caserma era un punto di riferimento per tutti i
colleghi, specie quelli più giovani, che crescevano insieme a lui. Era un
riferimento certo anche per me quando si trattava di raccontare ai giornalisti
la natura (non i segreti) del suo lavoro, la tensione nell’affrontare ogni volta
l’ignoto e l’alea di un intervento (ne aveva centinaia al suo attivo) su un
ordigno sconosciuto e realizzato con materiali di recupero. Mi raccontava di
come era cambiata la sua professione, passata dalla bonifica dei campi minati o
dei residuati bellici alla lotta contro gli IED: “Prima riuscivamo a riconoscere
al 99% gli ordigni prodotti in serie, sapevamo come regolarci, conoscevamo
meglio i rischi ai quali andavamo incontro. Con le bombe rudimentali ogni volta
è la prima volta, non ce ne sono due uguali e poi spesso vengono ‘trappolati’
con dispositivi per impedirne la rimozione”. E proprio per colpa di una
maledetta trappola esplosa vicino a Herat il 29 luglio 2010 ha perso la vita a
41 anni Mauro Gigli, e con lui il suo ‘coppio’, il caporal maggiore scelto
Pierdavide De Cillis, in forza al 21° reggimento genio di Caserta. Gigli e De
Cillis erano intervenuti con il team IEDD (Improvised Explosive Device Disposal,
ovvero bonifica ordigni esplosivi improvvisati) su chiamata della polizia afgana
per rimuovere una bomba trovata lungo una strada alla periferia della città.
Mentre stavano verificando la natura dell’ordigno, un’esplosione li ha investiti
in pieno. Una frazione di secondo prima, Gigli ha avuto la presenza di spirito
di far arretrare alcuni suoi collaboratori: si era accorto che qualcosa non
andava per il verso giusto. Ci sono colleghi che probabilmente gli devono la
vita, tutti gli dobbiamo stima e riconoscenza per il coraggio che metteva nel
suo lavoro e soprattutto la competenza e lo stile, molto riservato e
professionale, e quindi molto alpino: non a caso il motto della compagnia nella
quale era cresciuto recita ‘fatti, non parole’.