STALINGRADO 1942, 77 ITALIANI IN TRAPPOLA


Maggio 2013

LE LETTERE DEGLI ITALIANI IN TRAPPOLA

La storia dimenticata dei 77 nostri connazionali coinvolti nella battaglia che decise le sorti della seconda guerra mondiale.
In onore della mostra sulla campagna di Russia presso il nostro Museo degli alpini riporto una triste storia che non tutti sanno.
Nella storia della seconda guerra mondiale, il 1942 è l'anno della svolta. In giugno gli americani vincono la battaglia delle Midway. A novembre gli Alleati sbarcano in Nord Africa, e Montgomery sfonda a El Alamein. Nello stesso mese, i russi contrattaccano sul fronte occidentale, dando inizio alla manovra a tenaglia che avrebbe stritolato la 6° armata tedesca a Stalingrado.
Questa città divenne il simbolo della resistenza al nazismo. Stretta per mesi d'assedio, fu teatro di una spaventosa ecatombe, con combattimenti strada per strada. Stalin ordinò di difendere la città fino all'ultimo uomo, negando ai civili il permesso di passare sull'altra sponda del Volga. Hitler accecato dalla lotta, rifiutò di contemplare ogni piano di ritirare i suoi uomini da quella che stava diventando una micidiale trappola: “Con la sua resistenza fino all'ultimo, l'armata assolve il suo compito storico”, scrisse. I suoi generali non seppero assumere la responsabilità di disobbedire all'insensato ordine del Führer.
Quando nel novembre 1942 i russi completarono l'accerchiamento, nella sacca rimasero quasi in 300.000, tutti destinati a morte certa nei combattimenti o nei campi di prigionia. L'epopea di Stalingrado è stata negli anni oggetto di numerosi contributi storici e letterari. Basti pensare alla ricostruzione di Antony Beevor, o al capolavoro di Vasilij Grossman, ”Vita e Destino”, che mise in scena la tragedia del popolo, che combatté contro un regime totalitario per difenderne uno altrettanto sanguinario.
Pochi sanno però che tra le decine di migliaia di uomini intrappolati a Stalingrado c'era anche un manipolo di italiani, 77 per la precisione. La loro storia è stata raccontata in un libro di Alfio Caruso “Noi moriamo a Stalingrado”, che racconta la loro tragica avventura attraverso la corrispondenza scambiata con le loro famiglie. I nostri connazionali facevano parte di due autoreparti ,il 127° e il 248°, ai quali i tedeschi avevano richiesto appoggio per portare materiale bellico verso il fronte prima che la morsa russa si chiudesse loro attorno. Il primo dei due reparti partì all'inizio di novembre, il secondo a metà dello stesso mese. Sono impressionanti la testimonianze raccolte dall'autore: le lettere inviate a casa per testimoniare l'affetto e la nostalgia per le famiglie che non si reincontreranno più. E’ impressionante la scarsa consapevolezza, testimoniata dalle missive, delle dimensioni del dramma. I nostri soldati scrivono di non preoccuparsi, che presto avrebbero fatto ritorno nella zona tenuta dagli italiani. I due reparti, attestati nei sobborghi di una Stalingrado ridotta in macerie, non sono a conoscenza l'uno dell'altro, nonostante siano a pochi chilometri di distanza.
Soprattutto non sanno che il 23 novembre avanguardie russe provenienti da nord e sud si sono incrociate a metà strada tra il Don e il Volga, chiudendo l'accerchiamento. Per loro inizia una lenta agonia. Mentre fuori dalla sacca di Stalingrado i resti dell'ARMIR iniziano la lunga marcia per tentare di fuggire alla morsa sovietica, intorno agli autieri del 127° e del 248° il cerchio si stringe sempre di più.
I tedeschi continuano a combattere nonostante la situazione sia senza scampo, senza ritirarsi dalle posizioni più avanzate per cercare di sfondare il cordone che si è costruito intorno a loro. I tentativi di rifornire i soldati con un ponte aereo naufragano nel nulla. I nostri cadono prigionieri insieme a circa 200.000 tedeschi, che in gran parte non vedranno più le loro case. Inizia il calvario delle infinite marcie nella neve, i russi si vendicano sugli sconfitti catturati. Nei campi di prigionia, talvolta hanno la ventura di incontrare ex prigionieri e militanti del PCI impegnati in operazioni di propaganda ideologica tra i prigionieri.
Dei 77 italiani prigionieri nella sacca solo in due riusciranno a tornare in Italia.
I corpi degli altri giacciono sotto la terra di Russia.

Simone Algeo