CIMAVALLONA |
Settembre 2014 |
Domenica 29 giugno 2014 è stata commemorata la strage di Cima Vallona accaduta il 25 giugno 1967. Sono passati 47
anni da quando un duplice attentato sconvolse quella splendida parte del Comelico superiore che a ovest confina con il
Trentino Alto Adige, a est con il Friuli Venezia Giulia e a nord con l'Austria.
Sono luoghi meravigliosi che la mano viscida e assassina ha profanato in tempo di pace quando gli echi della guerra si
erano spenti da tempo. Questi posti meritavano e meritano di essere famosi per la bellezza del paesaggio e non per ciò
che qui successe. Nello stesso tempo è necessario non dimenticare per rispetto di quei servitori dello Stato morti
dilaniati e perché la barbarie più subdola sia sempre considerata tale e non si lasci spazio all'oblio che talvolta
scende inarrestabile. A Cima Vallona persero la propria giovane vita quattro uomini in divisa. Per primo cadde l'alpino
Armando Piva del Btg. Val Cismon, colpito dalla deflagrazione di un ordigno quando con una pattuglia mista di alpini e
artificieri e finanzieri comandata dal capitano degli alpini Alamari stava perlustrando i pressi del Passo di Cima
Vallona ove due ore prima un attentato terroristico aveva abbattuto un traliccio. Morì in tarda serata dopo una lunga
agonia causata dalle terribili mutilazioni subite. Alcune ore dopo la seconda esplosione giunse in elicottero da Bolzano
una squadra della Compagnia Speciale Antiterrorismo chiamata a raccogliere gli indizi utili a delineare i contorni su
cui sviluppare l'indagine sulle esplosioni. Quando ormai era stato espletato questo compito ed erano sulla via del
ritorno per riprendere l'elicottero, un altro ordigno posizionato diabolicamente scoppiò uccidendo sul posto il capitano
Francesco Gentile, carabiniere paracadutista del Tuscania, il sottotenente Mario Di Lecce ed il sergente Olivo Dordi,
paracadutisti incursori del Col Moschin. UN altro appartenente al Col Moschin, il sergente maggiore Marcello Fagnani,
rimase gravemente ferito e tuttora porta i segni inequivocabili di quel giorno. Seguirono indagini ed inchieste e si
arrivò alla conclusione che la matrice dell'attentato fosse una cellula terroristica riconducente al B.A.S., Befreiungs
Ausschuss Sudtirol, comitato di liberazione del Sud Tirolo. In contumacia, furono condannati all'ergastolo 3 altoatesini
ed un quarto a 24 anni. Non scontarono mai la pena fuggendo in Austria e Germania protetti dai complici di oltreconfine.
Fu dunque un'ennesima strage impunita. Adesso dall'Alto Adige giungono altre versioni sui fatti ma sinceramente ci
sembrano alquanto fantasiose.
La cronaca di domenica 29 giugno 2014
Come di consueto per poter essere attorno alle 8,30 ai 2362 metri del Passo Cima Vallona si deve partire presto: ore
4,30.
La levataccia non pesa perché è forte il desiderio di salire lassù e partecipe a quegli attimi di profonda commozione
davanti al piccolo sacello eretto diversi anni fa nei pressi di dove lo scempio delle vite umane venne commesso. Si
arriva con i 4x4 sino al 1800-1900 metri poi si sale a piedi lungo una serpentina a volte assai ripida, con i margini
meravigliosamente segnati da fiori spontanei di montagna. La mattinata è avvolta da una nebbiolina che conferisce una
ulteriore suggestività all'ambiente già ricco di bellezza. Una volta arrivati davanti al sacello vengono lette le
preghiere del carabiniere, del finanziere, del paracadutista e dell'alpino.
Non siamo in tanti quassù, forse in trenta. Assieme alle bandiere delle altre associazioni d'arma ci sono 6 gagliardetti
fra i quali quello di Santa Lucia di Piave e i vessilli sezionali di Cadore, Conegliano e Valdobbiadene. E' la quarta
volta che salgo quassù e di vista conosco le persone presenti tra cui i fratelli di Olivo Dordi , Gabriella la sorella
di Armando Piva, il presidente emerito della sezione Cadore Antonio Cason ed il sindaco di San Nicolò Comelico Giancarlo
Ianese. Sopra il sacello si vedono le croci dei martiri che qui sono saltati in aria e gli occhi di tutti diventano
lucidi. Dopo le parole del sindaco è già tempo di scendere a Sega Digon alla Cappella Tamai per le allocuzioni ufficiali
ma un pezzo di noi stessi rimane qua. Davanti alla Cappella Tamai scorgiamo un po' meno partecipazione del solito forse
per il maltempo annunciato che poi effettivamente non ha inficiato la manifestazione. Il colpo d'occhio è comunque
notevole. Sono presenti diversi associati della nostra sezione con i gagliardetti di Maset, Pieve di Soligo e
Solighetto. Tra i tanti discorsi ci colpisce, non per partigianeria, l'intervento del vice presidente ANA Ferruccio
Minelli, che con parole accalorate porge tutta la vicinanza dell'ANA al dramma di 47 anni fa che tutt'ora rivive nei
famigliari delle vittime. Come l'anno scorso registriamo l'assenza della rappresentanza delle autorità altoatesine alla
commemorazione.
Conclusa la cerimonia ufficiale con il capogruppo di Santa Lucia Claudio Bernardi e mio figlio Marco ci rechiamo al
Passo S. Antonio presso lo chalet di Carlo Sala, il quale come ogni anno ci aveva precedentemente invitato a pranzo. Lì
troviamo oltre a Carlo, padrone di casa, il caro Lionello Frare e il presidente Giuseppe Benedetti, il vice pres.
Vicario Narciso De Rosso, il già vice pres. Luciano Giordan e Nino Geronazzo in una delle prime uscite da semplice
associato alpino. Prima di iniziare a gustare il saporito pranzo preparato dalla sig.ra Sala assieme ad alcune signore
mogli degli alpini precedentemente citati, abbiamo voluto rivolgere il pensiero ad un alpino per molti anni nostro
commensale in questa occasione andato avanti nei primi mesi del 2014 dopo una dolorosa malattia: Alfeo Tabacchi, caporal
maggiore del 1° nucleo alpini paracadutisti della Cadore, classe 1934, nativo di Pieve di Cadore, trasferitosi a San
Candido era assunto per diversi anni alla carica di capogruppo della locale entità alpina. Era un sincero amico della
sezione di Conegliano, legato alle nostre zone anche perché la moglie è originaria di San Vendemiano. Aveva una ironia
ed un modo scanzonato e simpatico di porgersi agli altri che ci mancherà.
Dopo questo momento triste abbiamo fatto onore alla buona tavola come avrebbe voluto il caro Alfeo.
Renzo Sossai