Triveneto di un alpino e del suo nipotino |
Luglio 2015 |
"Nonno, quanti sono?”
“Sono come le margherite in un grande prato, sono così tanti che non si possono contare”.
“Portano il cappello come il tuo, quello con la penna”.
“Ricordi che quando eri piccolo e volevo mettertelo in testa ti impaurivi e non volevi?”.
“Ora non ho paura, non più”
“Vedi piccolo mio, il cappello è quello degli alpini, solo loro possono portarlo”.
“Perché?”
“Una volta, sul cappello, tanti anni fa, i primi alpini mettevano una penna di aquila, poi le aquile non bastavano più
ed ora la penna sul cappello è di qualche altro uccello”.
“Ma cosa facevano gli alpini?”
“Quando c’era una guerra, una battaglia contro un nemico che voleva incendiare le case e portare via il raccolto
bisognava combattere; tanti uomini che abitavano sulle montagne e le conoscevano bene erano pronti a farlo perché
sapevano scalarle per fermare il nemico prima che arrivasse alle case e senza paura di precipitare”.
“Non voglio ci sia una guerra”
“Non ci saranno più guerre, non devi neanche pensarlo”.
“Ma ci sono perché le vedo in televisione”
Pensavo che mi
ero messo da solo in un angolo e dovevo cambiare discorso con questo mio nipotino di quasi quattro anni. Come potevo
pretendere
di fargli capire cos’erano gli alpini?
“Vedi quanti sono? Oggi sono qui tutti assieme per fare una grande festa, loro la chiamano adunata. Si trovano e anche
si divertono a cantare le canzoni di montagna, a bere e a mangiare in compagnia. Non sono come te che bisogna correrti
dietro perché mangi un poco di bistecca”.
Mi sono fatto largo fra centinaia di persone, il cappello come lasciapassare e la conoscenza delle strade a sud di via
24 Maggio, e l’ho portato sulle spalle, come dire a cargamussa, lui ora con il mio cappello addosso, fino alla
passerella sul Monticano.
“Ma gli alpini sono bravi e compiono molte buone azioni, la guerra l’hanno fatta tanti anni fa”.
“Dimmele!”
“Vedi piccolo mio, questa passerella piena di fiori, e oggi di bandiere tricolori, l’hanno costruita gli alpini per
rendere bello questo tratto del fiume”.
“Questo me lo avevi già detto ma non sapevo chi erano gli alpini, sentivo parlarne da te solo quando in casa ti mettevi
il cappello per farmi un po’di paura o per scherzare”.
“Nonno, ti ricordi come mi è sempre piaciuto correre sulla passeggiata? Mi piace il rumore dei miei passi sul legno:
rimbombano”.
“Poi volevo raccontarti di un altra cosa bella che hanno fatto gli alpini”.
“Dimmi”.
“Tanti anni fa gli alpini hanno combattuto in Russia. Sai dov’è questo paese?”
“In Russia è dove fa molto freddo?”
“Proprio”.
“Pensa che solo pochi anni fa, prima che tu nascessi, tanti alpini di Conegliano sono partiti e sono andati in Russia
per costruire un asilo come il tuo per i bambini poveri di lassù”.
“Davvero?”
“Il nonno ti racconta mai bugie?”
“No!”
“Domani, quando tutti saranno tornati nelle loro case, ti porterò in un altro posto che gli alpini hanno reso bello
lavorando senza chiedere nulla in cambio”.
“Cosa dovrebbero chiedere?”
“Vedi, piccolo mio, esiste una parola chiamata generosità”.
“L’ho sentita ancora, ma cosa vuol dire?”
“Significa aiutare gli altri, costruire solo per dare piacere alle persone, e dedicare loro il proprio tempo perché
possano essere felici e… caro il mio bambino, farlo con un sorriso”.
“Mi porti davvero?”
“Domani ti vengo a prendere e saliremo al Castello per una stradina in pietra e vedrai una chiesetta che stava cadendo,
tutta diroccata, e che gli alpini hanno messo a posto. Si dice anche restaurata”.
“Ora nonno, mettimi giù, ci mettiamo lungo la strada per vederli passare, tu hai detto sfilare, e io starò vicino a te
ma tu tienimi stretto. È meglio che il cappello lo metta tu, a me basta stare vicino al mio nonno alpino”.
I nonni, i nonni alpini poi, possono commuoversi e se piangono senza singhiozzi, in silenzio, non si devono vergognare.
L.B.