ALPINI SULLA VETTA D'AUROPA |
Dicembre 2015 |
di Pieluigi Donadon, Gruppo Alpini S. Lucia di Piave
Alpino e alpinista hanno anche nel nome la radice profonda nelle
rocce, nei boschi, nelle vette, nella natura delle Alpi. Ci fanno da corona,
sono l'orizzonte di chi ci vive e di chi le frequenta, temute e amate: le
montagne sono simbolo di avventura ed emozioni intense, indimenticabili. Ogni
vetta raggiunta è diversa dalle altre, le sensazioni, comuni, sanno essere ogni
volta diverse e sorprendenti.
E allora passione per la montagna fa rima con
esplorazione e conoscenza, curiosità e voglia di confrontarsi, anzitutto con se
stessi.
È un sabato sera di fine giugno quando ci ritroviamo all'appuntamento
all'aeroporto di Venezia: due coneglianesi, tre vicentini e un trentino, pronti
al volo notturno per Mosca. La compagnia dei vecchi e dei nuovi amici (poi
scopriamo di essere tutti alpini, oltre che alpinisti) allontana i dubbi e aiuta
ad affrontare meglio la nuova avventura.
Mentre siamo in volo penso che è
strano andare verso la vetta d'Europa in direzione opposta alle Alpi. Da Mosca
altro volo verso Mineralnye Vody, nel Caucaso, dove incontriamo Yldrim Sekmen,
abile alpinista turco, quello che organizzerà tutto il necessario per la salita.
Ancora una volta il viaggio col pulmino ci mostra paesaggi per noi sconosciuti,
dove la natura è ancora preminente ed i bovini occupano tranquillamente la
strada. Dopo 180 km raggiungiamo Terksol e poi Azau. Siamo a 2000 metri e da qui
inizia la vera avventura. Con un lungo giro saliamo a piedi al Mir Meteo
Station, a quota 3500.
Quassù tutto è cambiato: la temperatura è molto bassa
e tutto intorno c'è moltissima neve. Cominciamo a capire come si starà al campo
base, a quota ancora più elevata (3700 circa). Lì alloggeremo nei famosi barrels
(caratteristici bivacchi di forma cilindrica allungata). Per fortuna ci sarà con
noi Irina, simpatica cuoca, incaricata di sfamarci: anche da lei dipenderà il
successo della spedizione.
Le prime salite di acclimatamento, che ci hanno
portato fino a 4700 m, danno esito positivo, nessun accenno a mal di montagna o
indisposizioni; possiamo predisporci, finalmente, alla salita vera.
L'Elbrus
ci aspetta: ramponi, piccozze, imbraghi, maschere e guantoni, tutto è pronto ed
efficiente. Le ore dell'attesa trascorrono pigre e lente, scandite dall'ansia
per la partenza: andrà tutto bene?
Alle 2 di notte del 2 luglio partiamo, ora
la mente e il corpo sono rivolti solo all'obiettivo, la vetta più alta del
Caucaso, della Russia e del continente europeo, inserita nel circus delle Seven
Summits, appagante e qualificante per il curriculum di ogni alpinista.
Ci
muoviamo sui pendii nell'oscurità, con la sola luce delle frontali. Dopo un paio
d'ore i primi bagliori del giorno portano il vento e un freddo intenso, le punte
delle mani e dei piedi cominciano a soffrire. Procediamo lentamente, man mano
che si sale la quota si fa sentire e le raffiche di vento tolgono il già
difficile respiro.
Tra le due cime della montagna una specie di pianoro
permette alle cordate di sostare per recuperare un po' di forza, necessaria per
l'ascesa finale, la più ripida ed esposta. Continuiamo.
Le raffiche di vento
a 80/100 km/h si abbattono contro di noi sollevando nuvole di neve ghiacciata
che ci colpisce come pallini sparati da un cannone. Il rumore è assordante e la
comunicazione difficile. La nostra cordata si divide in due per permettere un
passo diverso a chi fa più fatica.
A mandarci avanti è la forza di volontà,
sul tratto più esposto dobbiamo attaccarci alle corde fisse per non essere
sbalzati nel vuoto dalla forza del vento, ma quando queste finiscono cerchiamo
di mordere il ghiaccio con le piccozze.
La cima ormai non è lontana, quasi la
vediamo, i passi sono lenti e cadenzati, conquistiamo ogni metro con fatica e...
siamo sulla cima, non più grande di un salotto.
Lottando contro il vento
srotolo orgoglioso lo striscione del Gruppo Alpini di S. Lucia di Piave,
idealmente qui con me.
Rimanere in piedi è un'impresa, ma ci abbracciamo
felici e quando arrivano anche gli altri la gioia è ancora più grande: sei
alpini alpinisti sul tetto d'Europa, quota 5642.
Pierluigi Donadon