Fiamme Verdi in lutto |
![]() Giugno 2016 |
Quando lo incontravo, mi piaceva chiamarlo Diretor, facendo il segno di
mettermi sugli attenti.
E lui, Renato Brunello, sorrideva sornione, compiaciuto di quel
riconoscimento ironico ma rispettoso dei 25 anni trascorsi alla guida di Fiamme
Verdi.
Era una pacca sulla spalla per dirgli: "Renato hai fatto il tuo dovere per un
quarto di secolo".
Lui mi ricordava le tante sere passate a impaginare il giornale incollando le
strisciate della tipografia; io a dirgli che non avrei mai avuto il tempo di
fare quel lavoro certosino e che mi limitavo a disegnare la pagina su una
apposita griglia e a trasmetterla via internet alla tipografia.
Quando, nel 2004, ha lasciato la direzione di Fiamme Verdi, Renato non ha
abbandonato il giornale. Ha continuato a seguire la spedizione, a curare quella
parte burocratica fondamentale per far arrivare la nostra rivista nelle case
degli alpini, sia in Italia che all'estero, nel più breve tempo possibile.
A volte era necessario telefonare agli uffici postali di questo o quel paese
perché dagli alpini piovevano proteste per il mancato recapito della rivista,
quando altri già ce l'avevano a casa da un pezzo.
Nell'editoriale di commiato dalla direzione di Fiamme Verdi (2004), Renato non
si è dimenticato delle penne mozze della nostra Sezione, come non si è
dimenticato di chi (Mario Altarui) la rivista l'ha voluta e fondata. Ora anche
Renato è una penna mozza, sempre fiero del suo essere alpino e cittadino
perbene.
Ebbe a dimostrarlo fin da giovane, sul finire della seconda guerra mondiale,
quando si trovò a scegliere da che parte stare e la sua scelta fu chiara, dalla
parte della libertà, contro la dittatura e il nemico invasore.
Insomma dalla parte giusta! Questo lo sanno in pochi, come in pochi sapevano
della sua partecipazione alla Resistenza e io sono tra questi.
Non me ne aveva mai parlato e del suo passato di patriota, come detto pochi
sapevano.
Non diceva che a soli 17 anni a casa sua, a Posmon di Montebelluna, era stato
ospitato un disertore dell'esercito tedesco, un polacco che aveva consegnato le
armi ed era stato nascosto e sfamato.
Renato aveva raccolto le armi in un borsone e si era diretto al comando
partigiano per consegnarle. Lungo la strada si era imbattuto in un posto di
blocco tedesco che aveva superato con grande sangue freddo, a rischio della sua
vita.
Dai registri dell'ANPI, Renato Brunello risulta in forza alla Brigata Montello,
ma quando gli fu proposto di ritirare il diploma Alexander degli ex combattenti
non ne volle sapere.
"Ho fatto poco, non sono stato un combattente" - aveva detto.
Per la verità qualche colpo sui Tedeschi in fuga dal campanile della chiesa di
Montebelluna lo aveva sparato, ma aveva mirato ai cavalli, mai agli uomini -
come aveva confidato.
Aveva poi visto cadere vicino a sé un partigiano ex carabiniere e questo lo
aveva molto impressionato.
Renato è stato un tutt'uno col suo lavoro, con la sua famiglia, con la sua
passione per lo sport e per il civico impegno.
E' stato un tutt'uno col "suo" giornale, lo ha amato e lo ha guidato fino a che
si è reso conto che era meglio lasciarlo, dopo tanti anni di responsabilità.
lo ho raccolto il testimone passatomi da Renato, anche se a fatica lo tengo
stretto, con orgoglio, anche in memoria sua e del suo impegno.
Antonio Menegon