IV NOVEMBRE 2017 |
Dicembre 2017 |
La festa del 4 novembre a Conegliano non è stata solo la festa dell'Unità d'Italia e delle Forze Armate, ma festa dei ragazzi delle scuole cittadine che hanno fatto propria la manifestazione al punto tale da gestirla da protagonisti.
Una piazza Cima gremita come non mai ha ascoltato le orazioni degli studenti del liceo linguistico Da Collo (Emma Dal Mas, Erica Marullo, Martina Sartor, Erica Zanardo, Gioia Giacomin, Aurora Angione, Eleonora Freschi, Alice Zanchetta, coordinate dalle professoresse Anna Piaser e Novella Varisco). Ci sono state inoltre le premiazioni del concorso letterario a carattere socio-patriottico, voluto dalla Consulta delle Associazioni Combattentistiche e d'Arma di Conegliano: 1° Elena Tonon (scuola media Brustolon), 2° Riccardo Furlan (scuola media Grava), 3° Aurora Perin (scuola media Grava), 4° Joana Boathema (scuola media Grava), 5° Davide Dal Mas (scuola media Grava), 6° Gianluca Papi (scuola media Grava), 7° Thomas Cutruzzallà (scuola media Grava). La mattinata ha avuto inizio con l'onore ai Caduti in cimitero San Giuseppe, al monumento alla Resistenza e in piazza IV Novembre (monumento ai Caduti) e con l'alzabandiera. Il corteo si è poi sviluppato verso piazza Cima per le orazioni ufficiali degli studenti. La cerimonia si è conclusa con l'intervento del sindaco Fabio Chies, che ha esortato all'impegno e alla solidarietà, e con le premiazioni del concorso letterario 4 Novembre, riservato agli studenti di terza classe della scuola media. La cerimonia è stata accompagnata dalla Banda Musicale Regionale dell’Anc.
Fiamme Verdi pubblica, di seguito, l’orazione della studentessa Emma Dal Mas del Liceo Linguistico “Da Collo” quale esempio della sensibilità che i giovani hanno nei confronti della storia patria. L’impegno di noi adulti deve essere quello di non far mancare ai giovani le occasioni e gli stimoli affinché abbiano a studiare, ragionare, informarsi sulle vicende storiche della nostra Italia. Se noi facciamo la nostra parte i giovani non verranno meno alla loro. E l’intervento di Emma Dal Mas ne è la prova.
(A.M.)
Emma Dal Mas
Conegliano, sabato 4 novembre 2017 Se oggi siamo qui, è perché
qualcuno ha risposto al fuoco (nemico), perché qualcuno ha resistito nel nome
della nostra Nazione, perché qualcuno ha sofferto, ma soffrendo ha lasciato a
noi l’eredità di un paese unito e l’invito a non dimenticare.
Siamo qui oggi, per onorare questa memoria e perché, per quanto impossibile sia
ricordare ogni nome, ogni singolo essere umano che in guerra o a causa della
guerra ha perso la vita, è nostro dovere, dovere di tutta la collettività,
soffermarsi a pensare.
A pensare a come questi uomini hanno cambiato la nostra storia.
O meglio, a come l’hanno fatta.
Hanno fatto la storia, hanno creduto nell’Italia e nel bisogno estremo di
realizzarla prima e di difenderla poi, dopo Caporetto.
Tutti coloro che hanno alzato la testa e, mossi dall’orgoglio di essere
Italiani, dal senso del dovere, dallo spirito di appartenere ad una comunità in
pericolo, sono andati al fronte, e tutte coloro che sono rimaste a casa, a
mandar avanti un paese che oggi è florido ma che durante la guerra ha patito la
fame, sono eroi.
Eroi perché attraverso la loro carne e il loro dolore, ribadiamo ancora una
volta, è passata la storia.
Sono eroi, dunque, i caduti e i sopravvissuti della I guerra mondiale, che hanno
combattuto, andando in mezzo al filo spinato, hanno combattuto vivendo rintanati
nelle trincee, tra il fango e i pidocchi, spesso senza cibo o con cure mediche
insufficienti. 2017-1917, cento anni.
Oggi rivolgiamo un pensiero in particolare a loro, ai morti della Grande Guerra,
la guerra che doveva essere lampo ma si è tramutata in una guerra di posizione,
di trincea, in un bagno di sangue: 8 milioni di morti, per lo più giovani che
sono caduti in prima linea.
(Come spesso accade, si sa quando si inizia, ma non si è sicuri di quando
finirà.)
(Questa guerra ha portato milioni di uomini a vivere in condizioni disumane, per
la sicurezza dei loro figli e del loro Paese.)
Nelle trincee si sentivano accenti diversi, sintomo di una coesione nazionale
che (mai si era vista prima) stava nascendo.
Dal Sud venivano “su al Nord” per combattere.
Combattevano assieme, senza sapere se avrebbero rivisto il loro paese, senza
sapere se avrebbero dormito di nuovo nel loro letto, senza sapere se avrebbero
rivisto l’alba del giorno dopo. Eppure, hanno risposto al fuoco (nemico), hanno
vissuto (continuato la loro vita) nelle trincee, strisciando verso la loro
sorte, attraverso cunicoli bui, che parlavano di morte, di tristezza, di sangue.
Hanno combattuto per le loro famiglie, per le nostre famiglie, per quella grande
famiglia che poi saremmo noi, l’Italia. Hanno combattuto per la patria, come lo
fecero gli Spartiati nel VII sec. a.C. incitati dai versi di Tirteo, di cui
leggeremo un breve frammento.
Se mi fermo un attimo a riflettere, se (rallento) metto in pausa questa vita
frenetica del 2017 e penso alla caducità, alla staticità di quella Guerra di
Trincea (del 1917), penso che (devo la mia vita) la comunità di cui faccio parte
è stata alimentata dal sacrificio di chi nelle trincee è morto e di chi non ha
smesso di crederci, mai.
Oggi, siamo sempre di corsa, siamo presi dentro a un vortice di eventi che
accadono velocemente. Lì, nelle trincee, c’erano momenti in cui si aspettava. Si
aspettava, pensando alla morte, pensando a chi non sarebbe tornato dal prossimo
attacco. E poi, arrivava l’ordine. E allora c’era frenesia, c’era lotta per la
vita, c’era lotta per tornare ad aspettare in quel buco.
Si sacrificavano, nella speranza di non essere poi solo un numero ma di valere
qualcosa per chi sarebbe venuto dopo.
E non importa quante medaglie al valore, o di che colore fosse la divisa.
Non sono dati significativi, quando si parla di morte.
Quando si parla di morte, ci sentiamo obbligati a ricordare tutti.
Perché ragazzi della mia età si sono trovati a combattere sul fronte del Piave,
dopo la rotta di Caporetto.
Perché è impossibile pensare che anche sull’altra sponda non vi fossero ragazzi
come loro o padri di famiglia.
E, come ci ricordano Orazio, Cicerone, morire per la patria è non solo doveroso
ma permette al mortale di trascendere o quasi la sua condizione, permette
paradossalmente di vincere la morte attraverso la memoria dei posteri, come
scrive Foscolo nei versi conclusivi dei Sepolcri.
Quando parliamo di guerra, ci sale un nodo alla gola.
L’Italia ripudia la guerra, articolo 11 della nostra Costituzione, ma vuole
ricordare con orgoglio, con riconoscenza ogni singolo essere umano che ha
combattuto per una causa: la causa della patria.
Questo discorso non vuol essere un elogio al conflitto armato.
Queste nostre parole vogliono mantenere viva e rinsaldare la fiaccola della
memoria collettiva, attraverso la narrazione di come la morte e la guerra sono
arrivate alle porte delle nostre case, quando i soldati sono stati chiamati al
fronte, e quando, dopo la rotta di Caporetto, i nostri territori sono stati
occupati.
Il rievocare l’esperienza della Guerra può insegnarci quanto vale ogni singola
vita.