PRIMO FELTRIN |
Dicembre 2018 |
Venerdì mattina del 5 ottobre 2018, dopo aver fatto colazione con il genero
Ennio, si è dolcemente assopito per l’ultimo sonno terreno, l’artigliare alpino
Giacinto “Primo” Feltrin, già appartenente alla 14° batteria del gruppo
Conegliano del 3°Rgt Artiglieria da Montagna Divisione Julia, reduce della
campagna di Russia. La vita gli ha riservato un lungo percorso duro e pieno di
difficoltà ma felice, perché lui paziente e pieno di forza e tenacia, ha saputo
affrontarlo con grande dignità ricevendo amore e stima da chi lo ha conosciuto.
A Giacinto “Primo” Feltrin detto anche “Tete” dai più intimi fra parenti e
amici, mi legava un affetto particolare. Egli era davvero una bella immagine
della mia infanzia. Ricordo con commossa emozione quelle volte che, assieme a
mio padre, lo incontravamo appena finito il suo lavoro di pasticcere della ditta
Francescato. Alto e magro con i baffi scuri e il basco, provato per la
stanchezza ed il caldo per l’ambiente lavorativo, mentre fumava una cicca
improvvisamente si accorgeva di noi e ci salutava con grande cordialità,
ordinando all’oste due spritz per lui e per mio padre e comprando per me un
pacchetto di caramelle. E lo stesso in tempi più recenti lo ha fatto con mio
figlio bambino allora ed ora ventiquattrenne. Aveva quel sorriso da ottimista
che infondeva positività quando lo incrociavi in bicicletta. Non sapevo che era
stato uno dei “Leoni del Gruppo Conegliano” del Tenente Colonnello Rossotto. Lo
seppi più tardi e volli chiedergli notizie sulla sua vita militare.
Era nato a
San Fior il 27 agosto 1922, venne arruolato il 1° febbraio 1942 e accentrato ad Osoppo (Udine) per essere inviato con al 14° e le altre batterie del
“Conegliano” nell’”Inferno Russo” ad agosto, con la tradotta partita da Gorizia.
Oltre a queste note non volle più scendere nei particolari, facendomi capire che
il dolore di ricordare era troppo grande e di non volerne parlare per pudore e
rispetto di chi non è tornato. Riuscii in varie volte a ricostruire qualcosa. Mi
parlò del sentore “di carne bruciata” presumibilmente riconducibile ai
cannoneggiamenti dei Russi sulle postazioni italiane fatte scempio con assoluta
violenza. L’isba russa, ove probabilmente trovò ristoro e forza per camminare
nell’interminabile steppa era un ricordo presente. Infine il suo sdegno per il
trattamento ricevuto dal regime fascista al ritorno in Italia, un macigno enorme
da digerire. Nonostante tutto ciò, “Primo” non ha fatto pesare il suo passato
così intriso di tristi e drammatiche vicissitudini e sempre si è mostrato buono
nei confronti degli altri, come lo stesso Don Paolo ha ribadito nell’omelia al
suo funerale. Io credo che Dio l’abbia lasciato in vita così tanto perché nei
suoi novantasei anni potesse testimoniare con il suo esempio che il bene vince
sul male che ad ogni dolore sopravvive la speranza e il sacrificio umano di quei
ragazzi ventenni o poco più, non debba mai cadere nell’oblio. “Primo” due volte
vedovo lascia le figlie Emanuela e Luigina, i generi Gianni e Ennio, i nipoti
Giulia, Nicole, Gianluca e Lisa. I suoi amati alpini erano in massa ad
accompagnarlo all’estremo viaggio in terra. Ad onorarlo una trentina di fiamme
dei Gruppi e il Vessillo Sezionale portato dal Consigliere Alessandro Cenedese e
scortato dal Vice Presidente Simone Algeo. Ora è lassù nel Paradiso di Cantore
assieme ai suoi cari che lo hanno preceduto e agli alti “Leoni” mai dimenticati.
Ciao “Primo”.
Renzo Sossai