ALPINI IN CINA |
Giugno 2019 |
ALPINI IN CINA E UNA COLONIA DI 46 ETTARI
Truppe dell'Alleanza delle otto nazioni nel 1900.
Da sinistra Gran Bretagna, Stati Uniti, Australia, India britannica, Germania, Francia, Austria-Ungheria, Italia, Giappone
Quanti ricordano che l’Italia ha mantenuto una presenza in Cina per
quarant’anni ininterrotti?
Ecco una delle storie del Corpo degli Alpini che pochi conoscono: la presenza di
fanti e artiglieri alpini in Cina nei primi del secolo scorso.
Nell'anno Domini 1900, con la "ribellione dei Boxers”, fomentata
dall'imperatrice Tseu-hi, l’Italia fu coinvolta in una spedizione internazionale
di “pacificazione”.
I disordini anti-europei di quel periodo portarono a stragi d’inermi:
missionari, commercianti, semplici cittadini occidentali e migliaia di cinesi
cristiani.
Le sette segrete che governavano l’enigmatico paese asiatico, capeggiate dalla
“I-ho-Ciuan” (Pugno della Celeste Armonia), non gradivano il sempre maggiore
potere che le grandi potenze esercitavano sul “Celeste Impero”.
La situazione precipitò e le legazioni internazionali furono prese d’assedio nel
quartiere diplomatico di Pechino, ma partiamo dall’inizio.
Nella Cina di fine ottocento la presenza straniera era diventata sempre più
motivo di risentimento per gran parte della popolazione. Dopo le rovinose guerre
dell'oppio, contro Gran Bretagna e Francia, dopo l'aspro conflitto contro il
Giappone, la potenza dell'impero cinese andava sgretolandosi sempre più. Le
dogane erano in mano straniera.
Nelle regioni orientali dello Hebei-Shandong, a sud di Pechino e Tianjin,
cominciarono a fiorire una serie di società segrete accomunate dallo stesso odio
per la presenza straniera.
Particolare seguito ottenne la "Società del Pugilato Giusto e Armonioso" (Yihequan),
conosciuta in Europa come "Boxer", laddove il termine inglese (con diretto
riferimento allo sport praticato in occidente) rappresentava una semplificazione
di una ben più complessa dottrina cinese. I Boxer rifiutavano l'uso delle armi
da fuoco, ma praticavano il pugilato e le arti marziali come disciplina per
poter affrontare il nemico, convinti che i loro amuleti e la boxe li avrebbero
resi invincibili alle pallottole.
Motivati da un fortissimo sentimento nazionalistico, i Boxer si sollevarono
contro i “diavoli stranieri”. Si stima che, nelle varie regioni, abbiano ucciso
48 missionari cattolici, 18.000 cattolici cinesi, 222 cinesi ortodossi, 182
missionari protestanti e 500 cinesi protestanti.
Le rivolte in breve raggiunsero presto la capitale. Il 13 giugno dello stesso
anno, alcuni gruppi di combattenti Boxer entrarono in Pechino, congiungendosi
con i ribelli che si erano già organizzati nella città.
La sera stessa i Boxer incendiarono le chiese e uccisero i cristiani lì riuniti.
L'imperatrice Cixi invitò il corpo diplomatico a lasciare la capitale,
garantendo loro la sicurezza fino a Tianjin. Ma la mattina del 20 giugno, i
rivoltosi, anche qui sostenuti dall'esercito, raggiunsero la sede della
diplomazia tedesca, dove uccisero il capo della delegazione Clemens August
Freiherr von Ketteler.
Il 21 giugno Cixi proclamò la guerra contro le potenze europee, Stati Uniti e
Giappone.
Assediato nella capitale, il corpo diplomatico internazionale, composto da 473
civili, per circa due mesi resistette grazie all'aiuto di 451 militari stranieri
(i famosi "55 giorni a Pechino", tanto raccontati dal cinema hollywoodiano) dei
quali 25 erano marinai del “Marco Polo al comando del Tenente di Vascello
Paolini.
Dall'altra parte della città proibita, nella cattedrale cattolica di Beitang,
Monsignore Alphonse Favier, vicario apostolico di Pechino, assieme a 3.000
membri della comunità cristiana cinese, riuscì a resistere grazie all'aiuto di
soli 43 marinai francesi e italiani.
I diplomatici cinesi negli stati europei, intanto, assicurarono che le sorti
delle delegazioni non dipendeva dalla volontà dell'imperatrice, ma dai Boxer, di
cui anche quest'ultima era prigioniera.
La strategia ambigua di Pechino non scongiurò un duro intervento armato a cui
presero parte 6 nazioni europee, Russia, Gran Bretagna, Francia, Italia, Austria
e Germania, più Stati Uniti e Giappone.
La coalizione prese il nome di Alleanza delle Otto Nazioni e fu guidata dal
maresciallo tedesco Alfred Graf von Waldersee.
Alla dichiarazione di guerra Germania, Austria, Francia, Italia, Gran Bretagna,
Russia, Stati Uniti e Giappone risposero inviando un corpo di spedizione di
circa 20.000 uomini, che occupò Tianjin (Tientsin, secondo la vecchia
traslitterazione).
Il Corpo di Spedizione Italiano (imbarcatosi a Napoli, salutato da Re Umberto I
il 19 luglio, dieci giorni prima di venire assassinato) era composto da uomini
per la maggior parte volontari, fu comandato dal colonnello dei bersaglieri
Vincenzo Garioni, e comprendeva:
• un battaglione di fanteria, comandato dal tenente colonnello alpino Tommaso
Salsa e costituito da quattro compagnie fornite da altrettanti reggimenti (la
10ª dell'8º Reggimento fanteria "Cuneo", la 10ª del 41º Reggimento "Modena", la
6ª del 43º Reggimento fanteria "Forlì" e la 12ª del 69º Reggimento fanteria
"Ancona");
• un battaglione bersaglieri "Estremo Oriente", comandato dal maggiore Luigi
Agliardi del 5º Reggimento Bersaglieri di Roma, composto da quattro compagnie,
una fornita dai reggimenti 5º e 9º (di stanza rispettivamente a Roma e a
Livorno), sulla quale poggerà lo Stato Maggiore del Corpo, una dai reggimenti 8º
e 1º (di stanza a Napoli e a Palermo), una dai reggimenti 4º e 11º (di stanza a
Bologna e ad Ancona) e una dai reggimenti 2º e 6º (di stanza a Milano e a
Verona);
• una batteria mitragliatrici, con quattro Gardner e personale d'artiglieria,
comandata dal capitano Alcide Vallauri;
• un distaccamento misto del Genio militare su tre drappelli (zappatori,
pontieri e telegrafisti ottici) provenienti dal 1º e dal 3º Reggimento,
comandato dal tenente Vito Modugno;
• un ospedaletto da campo con cinque letti;
• un drappello sussistenza con quattro forni mobili in ferro;
• un drappello di Carabinieri Reali (un maresciallo, un vicebrigadiere e sei
militi) alle dirette dipendenze del Comando. Quale ufficiale addetto alla
raccolta delle informazioni vi era il tenente Pietro Verri.
L'unità d’artiglieria alpina fu atipica rispetto al normale: denominata
“Batteria Mitragliatrici”, le fu assegnato un armamento consono a un reparto
mitraglieri. Infatti, la equipaggiarono con delle “Gatling” e “Gardner” a
manovella. Solo su insistenza del Garioni la marina gli fece avere dei cannoni
da sbarco.
La Regia Marina spedì in avanscoperta delle unità navali (l'incrociatore
Fieramosca e le R.N. Vesuvio e Vettor Pisani), cariche di quattro compagnie di
fanti di marina, il tutto al comando dell'ammiraglio Risolia.
Mentre parte del corpo di spedizione internazionale cercava di ripulire le
sacche di resistenza intorno a Tianjin,
Il «corpo di liberazione», al comando del generale inglese Gaselee, lasciava
Tianjin e marciava su Pechino incontrando una debole resistenza.
Il 13 agosto le truppe delle otto nazioni si trovavano sotto le mura della
capitale e l'indomani giapponesi, americani, francesi, russi e inglesi,
suddivisi in quattro colonne, lanciarono l'attacco finale, preceduto dal fuoco
di tutte le artiglierie.
Vinta l'ultima resistenza, entrarono in città lo stesso 14 agosto 1900,
liberando le legazioni e la cattedrale di Beitang.
L'imperatrice vedova Cixi, travestita da contadina, fuggì con l'Imperatore e i
più alti ufficiali dal Palazzo Imperiale per Xi'an, e inviarono Li Hongzhang per
le trattative di pace.
Nell'assedio alle legazioni persero la vita 76 combattenti (altri 150 avevano
riportato ferite), le perdite furono ben più gravi per gli assedianti.
Agli italiani vennero affidate diverse missioni per smorzare le ultime
resistenze all'interno della Cina. Si ricorda quella del 2 settembre,
consistente nell'espugnare i forti di Chan-hai-tuan: un incarico particolarmente
gravoso, se si considera che già altri reparti vi si erano cimentati invano, e
che nel frattempo agli assediati erano giunti due squadroni di cavalleria di
rinforzo. Gli italiani annoveravano 470 uomini su tre compagnie, due di
bersaglieri e una di marinai, e malgrado l'inferiorità numerica degli attaccanti
il nemico fu costretto dopo tre assalti a ritirarsi, abbandonando persino le
armi per correre più velocemente. In un'altra circostanza i francesi, in segno
di spregio agli ordini del feldmaresciallo tedesco, Alfred Graf Von Waldersse
avevano occupato il villaggio di Paoting-fu, che era stato affidato al controllo
degli italiani e dei tedeschi, prima ancora che questi potessero giungervi. Il
colonnello Garioni però, per nulla disposto a subire l'affronto senza reagire,
una notte, alla testa di 330 uomini, riuscì ad introdursi a Cunansien, una
cittadina in quel momento assediata dai francesi, e ad issare il tricolore nella
sua piazza principale.
La rappresaglia vendicatrice fu feroce. A seguito della presa di Pechino, truppe
della forza internazionale, eccetto italiani e austriaci, saccheggiarono la
capitale e persino la Città Proibita, così che molti tesori cinesi trovarono la
loro via per l'Europa.
Gli artiglieri alpini sarebbero rimasti laggiù a presidio degli interessi
nazionali fino a maggio 1902
Ne uscì il trattato ineguale (noto come “Protocollo dei Boxer”) tra l’impero
Qing e le otto nazioni vincitrici (Francia,Germania, Giappone, Impero
austroungarico, Italia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti). Gli italiani, ultimi
arrivati ma determinanti per sedare la rivolta soprattutto in alcuni quartieri
duri a cadere della capitale, si aggiudicarono una concessione territoriale oggi
misconosciuta.
Nacque allora la colonia tricolore di TIENTSIN.
Si trattava di un possedimento territoriale di appena 46 ettari che l’Italia
mantenne sulla carta fino al 1947, anno del trattato di Parigi, di fatto fino al
1943 con l’occupazione giapponese. La concessione era amministrata da un
governatore facente capo prima al Ministero degli Esteri, poi a partire dal 1912
al Ministero delle Colonie.
Durante il fascismo il governatore prese il nome di podestà e si verificò
un’amministrazione della città italiana in Cina decisamente particolare. I
consiglieri erano sia residenti italiani, in maggioranza, che cinesi.
Simone Algeo
Penna Nera del contingente italiano in Cina inviato per la repressione della
rivolta dei Boxers. Immagine tratta da Uniformi & Armi
MEDAGLIA COMMEMORATIVA DELLA CAMPAGNA IN ESTREMO ORIENTE CINA 1900-1901
TOMMASO SALSA Treviso 17.10.1857-21.09.1913