GEMONA |
Giugno 2019 |
Ogni anno il 6 maggio nella Goi-Pantanali di Gemona si ricordano 55 secondi di terrore, ragazzi di 20 anni che scavavano a mani nude tra le macerie una maledetta notte di luna, 29 ragazzi di 20 anni travolti dal crollo della loro caserma.
Quella notte a scavare con le mani nude e rabbiose e l’inferno nel cuore, alla luce delle fotoelettriche c’era anche Alessandro Cenedese (Gruppo Colfosco) ora consigliere e alfiere sezionale. Tanti i presenti all’incontro, alpini, familiari e amici, fedeli a questo appuntamento anche quando le distanze sono impegnative.
Il nostro vessillo sezionale è sempre affiancato dai gagliardetti di tanti nostri gruppi, a ricordare che il terremoto presentò il conto anche alla nostra terra.
La Messa è sempre accompagnata dal canto di un coro di penne nere, sicché anche il Kyrie, il Sanctus e l’Agnus Dei sembrano tristi cante alpine, mentre qualcuno ricorda che ogni 6 maggio 29 dei 400 rintocchi della campana più grande del Duomo sono per gli Alpini Caduti sotto le macerie della Goi: da quella sera quei ragazzi sono diventati per sempre cittadini di Gemona.
Presente sempre il comandante della Julia, perché nessuno potrà dimenticare che dopo aver tirato fuori i loro commilitoni dalle macerie gli artiglieri della Goi non si fermarono a piangere ma uscirono dalla caserma per spostare con le mani altre macerie, coinvolti in pieno in tutte le fasi dell’emergenza e dei soccorsi alla popolazione. A ricordare che quella storia luttuosa divenne poi una delle pagine più belle tra quelle scritte dagli alpini. Sempre più numerosi, di anno in anno, i familiari dei caduti, a significare che quella ferita non si è mai rimarginata. E di anno in anno l’assenza, definitiva, di qualche papà o di qualche mamma, perché il tempo passa. La giornata finisce con un incontro conviviale, che sembrerebbe strano se non lo avessero voluto i parenti. Tornano i ricordi, le storie, c’è un anno da raccontare tra amici che si vedono solo in questa occasione. Tra gli alpini che si abbracciano c’è chi era rimasto sotto le macerie, chi porta ancora i segni di quella notte, chi quella notte ha scavato alla luce delle fotoelettriche.
Quella notte li ha fatti diventare amici per la vita. Li chiamano “quelli della Goi”, una associazione che non ha né nome, né presidente, né segretario. Un’anima ce l’ha, è Giuseppina, moglie di Arturo Virilli.
Se il terremoto del Friuli rappresenta una delle grandi storie degli alpini, la vicenda di Arturo Virilli né è un importante capitolo. Artigliere del Conegliano alla Goi, nel terremoto Arturo perse tutta la sua famiglia. Rifiutò poi il congedo per affiancare i commilitoni nelle operazioni del post terremoto. Fu proprio la moglie Giuseppina a far in modo che la memoria di questo tragico evento non andasse perduta. Lo fece per amore degli alpini, in congedo e in armi, per l’amore verso il suo Friuli, terra di alpini, per la sua città, quei 400 gemonesi, quei 40 bambini che rimasero bambini per sempre (il più piccolo era il nipote di Arturo). Lo fece per aiutare il marito, uscito devastato nell’anima da quell’esperienza, a ritrovare fiducia nella vita.
E così Arturo, assente per anni alla commemorazione, finì poi per collaborare, assieme alla figlia Flavia, all’organizzazione degli incontri. Martedì 2 gennaio 2019 è successo che “quelli della Goi” sono giunti a Gemona per un “fuori programma”: l’ultimo saluto a Giuseppina, andata avanti. C’era il numeroso gruppo di quelli che lei faceva incontrare a maggio in quell’immensa caserma che ora è solo un immenso cortile, giunti da ogni parte d‘Italia. C’erano tanti alpini dei nostri gruppi, particolarmente numerosa la presenza di penne nere di Colfosco, che la mattina stessa avevano dato l’ultimo saluto al loro Carlo Sala.
L’amicizia con Alessandro Cenedese, nata tra le vicende del terremoto, aveva finito per creare un gemellaggio con l’associazione guidata dalla famiglia Virilli. Giuseppina era amica aggregata del gruppo e con Arturo partecipava a tutte le manifestazioni degli alpini di Colfosco. Numerosissima la rappresentanza della Julia, che non ha mai dimenticato la vicenda di Arturo e l’impegno di Giuseppina.
Ed ha ingroppato le gole il discorso pronunciato in chiesa dal Colonnello Antonino Inturri:
Le mie sensazioni sono comuni a quelle di tanti colleghi che come me hanno avuto la ventura di incontrare e frequentare Giuseppina e la sua famiglia. Quello che colpisce di Giuseppina è proprio l’inesauribile forza di volontà e lo spiccato senso pratico. Più di qualche volta mi ricordava che la volontà smuove le montagne. E lo abbiamo toccato con mano ogni anno ad ogni nuova commemorazione di quel funesto 6 maggio 1976: una cerimonia all’inizio intima e riservata è diventata un evento sì raccolto e comunque discreto, ma sempre più coinvolgente, partecipato, voluto, con caparbietà anche a costo di scontrarsi con le Istituzioni restie a dare credito a questa donna minuta ma battagliera. E poi, un amore immenso per gli Alpini, in congedo e in armi. E io, noi, ci siamo fatti coinvolgere a pieno perché Giuseppina era un vulcano, dal carattere forte e volitivo che ha sempre voluto bene ai nostri ragazzi, incondizionatamente, aprendo le porte della sua casa e del suo cuore. Con spontaneità e immediatezza, con disponibilità e accoglienza, definendosi lei una stessa friulana atipica. “Qui vengono da Torino, dall’Abruzzo, da tanti posti diversi.”, diceva orgogliosa. Orgogliosa della sua famiglia, di Arturo e di Flavia, della piccola Vittoria, di quel papà mai fermo, sempre alle prese con un nuovo lavoretto, della mamma sempre presente, della sorella Manuela, amorevole e onnipresente, così come di tutti i suoi cari. E a questa famiglia appartengono anche i suoi ragazzi, quelli del ’76, con le loro mamme e le loro famiglie. Coraggiosa, tenace, un Alpino con la A maiuscola, la Giuseppina. Una combattente soprattutto in questi ultimi anni. “Antonino, bisogna andare avanti.”, godendo di ogni minuto della propria vita. Lo ha scritto nel suo profilo Whatsapp: “Godersi la vita ogni giorno. Domani è un altro giorno.”. Caro Arturo, alla notizia che Giuseppina era mancata, mi dicesti: “Sarà davanti al portone del Paradiso di Cantore. Sai, lei non è un alpino. Guarderà passare quelli che entrano”. Io sono certo che davanti al portone c’era il Gen. Cantore, con un cappello alpino in mano, ad aspettarla e, incontrandola, le avrà detto: “ Mettilo su ed entriamo, che c’è del lavoro da fare!”. Mandi Pina.
(GfDm)
La delegazione alpina in visita a Giuseppina Cargnelutti Virilli
Maggio 2019, come tutti gli anni l’omaggio ai Caduti della
Goi
Il pubblico presente alla caserma Goi-Pantanali di Gemona
Un ricordo di Giuseppina per ciò che ha fatto per quelli della Goi
Il Vessillo sezionale portato dall’Alfiere Alessandro Cenedese