A TOLMEZZO UN TRIVENETO DA APPLAUSI


Dicembre 2019

La città friulana di Tolmezzo ha ospitato il Raduno Triveneto dell’ANA nelle giornate del 14, 15 e 16 giugno 2019. Il Consiglio dell’ANA di Tolmezzo, forte del supporto dei 32 Gruppi della Sezione Carnica, ha accettato la sfida e messo in campo tutto l’entusiasmo e l’organizzazione possibili, centrando l’obiettivo

Il calore dell’accoglienza e degli applausi riservati agli alpini in occasione del “Triveneto” di Tolmezzo ha battuto nettamente quello del sole cocente di metà giugno che ha caratterizzato il raduno delle penne nere di Veneto, Trentino e Friuli nella cittadina friulana. Ennio Blanzan, presidente della Sezione Carnica, ha preso per tempo contatti con tutte le Sezioni ANA del Triveneto ed è riuscito a coordinare al meglio la logistica per accogliere le migliaia di penne nere accorse a Tolmezzo. Con il sindaco Francesco Brollo ha fatto sì che venissero posti in essere tutti i servizi, i blocchi stradali, le aree di sosta e campeggio, i mezzi di soccorso e di protezione civile, gli sportelli informativi e la sicurezza.
Tolmezzo, cuore di quella Carnia carica di ricordi per chi ha indossato il cappello con la penna nera durante la leva militare ma anche terra di grande storia e memoria alpina, ricca di monumenti e luoghi simbolo. Tra questi, sicuramente l’Ossario e il Museo della Grande Guerra di Timau di Paluzza dove i numerosi reperti bellici italo-austriaci, le migliaia di documenti inediti di straordinario valore storico, le fotografie e gli armamenti, documentano le drammatiche vicende che videro la Carnia fronte di combattimento nella Grande Guerra. Non solo, anche i monti del Pal Piccolo, Pal Grande e Fraikofel, luoghi dove si combatté il conflitto del 1915–1918, e Casera Malpasso, dove nel 1917 venne ferita a morte la portatrice carnica, medaglia d’oro al valor militare, Maria Plozner Mentil.
Molte le aspettative di chi, presa la propria macchina o la corriera del Gruppo, è partito con entusiasmo per quella terra piena di valori e di memoria passata e recente. Già lungo la strada per raggiungere Tolmezzo i tricolori esposti ai balconi delle case, dapprima sporadici, poi sempre più fitti man mano che si cominciava a respirare l’aria della Carnia, lasciavano intendere che il Friuli, come sempre, avrebbe fatto la sua parte e dimostrato quell’affetto storico e sincero verso gli alpini, maturato in tanti anni di convivenza con quei ragazzi venuti da ogni parte della penisola a presidiare i confini ad Est dell’Italia, a riempire di gioventù i paesi segnati dall’emigrazione e a rallegrare i bar gestiti da pochi anziani e da qualche ragazza.
Le caserme rappresentavano una parte importante dell’economia della Carnia; molti alpini si sono fermati perché lì hanno trovato la morosa, tutti hanno conservato nel cuore quelle montagne avare, faticose da salire per sentieri dove il sudore delle marce si mescolava all’odore dei muli e alle bestemmie.
Poi, nel 1976, c’è stato il terremoto e tutto è cambiato. Tutto, tranne l’affetto degli alpini per quella terra che per circa un anno è stata la loro casa, così come è rimasto intatto l’affetto della gente della Carnia per i loro alpini.
Lo si è visto sfilando per le strade di Tolmezzo domenica 16 giugno. Una città imbandierata e festosa era pronta già alle otto del mattino con la gente assiepata all’ombra dei palazzi che costeggiano le vie del centro in previsione di una giornata di fuoco (meteorologico). Di buon’ora, già fioccavano gli applausi per i gruppetti di alpini che gironzolavano in lungo e in largo, col cappello in testa, in attesa dell’ammassamento. E lì, tra le viuzze a Nord dell’abitato si è consumato, ancora una volta, il rito degli incontri, complice l’accumularsi dell’ormai tradizionale ritardo con cui è iniziato lo sfilamento. In soccorso delle penne nere, per fortuna, sono arrivati alcuni chioschi prodighi di acqua e di birra, posizionati nelle laterali destinate all’ammassamento.
E così tra una battuta e un incontro, un “ti ricordi” e una foto di gruppo, è arrivato anche per la Sezione di Conegliano l’ordine di serrare i ranghi e di mettersi in marcia.
Il passaggio tra le ali di folla dello sfilamento alpino è stato un susseguirsi di applausi, di “bravi alpini!”, di saluti sinceri e di sventolio di tricolori. Dentro ognuna delle penne nere la sensazione di essere in famiglia, tra gente come te, che condivide valori e modi di vivere di quella terra.
Poi, mano a mano che lo schieramento alpino della Sezione di Conegliano si avvicinava alla tribuna d’onore la voce di Nicola Stefani, già provata dalla fatica, riprendeva tono e con un “Ecco la Sezione di Conegliano” urlato a squarciagola, lo speaker scatenava la valanga di parole, di citazioni, di slogan e di appelli che sanno sempre emozionare gli alpini del Piave.
Non è mancato il richiamo di Stefani al motto del Gruppo Conegliano – “Devant al Conejan o se sciampe o se mur” – gridato al passaggio dei “nostri” davanti alla tribuna d’onore, per concludere un’arringa carica, come al solito, di emozione e partecipazione. Caserma Cantore e caserma Del Din, a Tolmezzo sono (erano) due le caserme alpine. Proclamata Città Alpina dell’Anno 2017, Tolmezzo sarà città degli Alpini per sempre. Sono tanti, tantissimi gli alpini che hanno sfilato orgogliosi e in questo lembo di Carnia si sentono a casa, avendo vissuto qui, o poco distante, la loro avventura un grigioverde.
Qui è nato il Battaglione Alpini “Tolmezzo”, il Terzo Artiglieria da Montagna ha la Cittadinanza onoraria di Tolmezzo e nei giorni del Raduno Triveneto anche l’Associazione Nazionale Alpini Nazionale è diventata cittadino onorario. Ogni sentiero, ogni cima che incornicia l’orizzonte della Carnia ha a che fare con gli alpini, perché tra la Carnia e gli alpini il legame è indissolubile. I freddi e accecanti bianchi campi invernali, quelli verdi smeraldo estivi, la perfetta sagoma triangolare del monte Amariana che veglia sulla piazza d’armi della Cantore e della Del Din, i gomiti consumati a ‘ravanare’ nel poligono dei Rivoli Bianchi: oggi si scatenano i ricordi per chi ha fatto il servizio militare a Tolmezzo e per chi lo ha svolto nei comuni della Carnia e del Tarvisiano.
E torna in mente l’arrivo in caserma dal CAR, nelle camerate dove i veci erano in attesa febbrile delle nuove reclute e gli zaini volavano alti. E l’odore inconfondibile che si sprigionava dalle scuderie, con l’abbeverata muli serale cui partecipavano tutti, anche gli imboscati, con quegli amati-odiati quadrupedi che quando scappava uno scappavano tutti ed era una guerra, poi, riportarli in scuderia. Poi le marce faticose, a volte massacrati, dietro a quel capitano che, come tutti i capitani degli alpini, ti faceva sputare sangue su per sentieri ripidi e impervi della Carnia, quella Carnia ricca di storia e tradizioni di cui finivi per innamorarti.
Il ricordo bello delle libere uscite, quando si aveva la sensazione di essere benvoluti, le bevute nell’osteria per festeggiare il congedo di qualche amico e quelle, a volte anche abbondanti, in cui non c’era nulla da festeggiare ma che erano parte della naia, e per alcuni il “battesimo del fuoco”. Il furtivo approccio con quella tosa (ma se ne vedevano sempre poche in giro) cui era seguita qualche improbabile promessa. E il salto qualche sera fuori Tolmezzo, in quella bettola dove si mangiava il frico, dove la curiosità si trasformava in delusione scoprendo che di nient’altro si trattava che di formaggio cotto con polenta, quello che a casa era normale mangiare a cena.
E poi “andare in fuga”, l’avventura più classica tra quelle che si potevano vivere sotto naia, un salto a casa anche in autostop quando non si era di servizio, di solito il sabato sera, per trovare la morosa, quando serviva la copertura della camerata. Le fughe, quelle riuscite e quelle finite male. E se non c’erano fughe da tentare e la libera uscita non proponeva granché, allora tutto si consumava dentro i muri della caserma, con le lunghe serate dedicate alle lettere della morosa, quelle da scrivere e quelle da leggere e rileggere, che a volte, succedeva sotto naia, venivano lette anche agli amici.
Poi arrivava il giorno del congedo, il giorno tanto atteso, una attesa che prima si misurava in mesi, poi in giorni, poi addirittura in ore, marchiate con stelline dorate all’interno del cappello. Quel giorno tutti presero la loro strada, ognuno andò a vivere il dopo-naia per conto suo, a rincorrere i suoi sogni, a percorrere i suoi sentieri, ben più difficili di quelli dei monti che incombevano su Tolmezzo... Mentre sfili tra gli applausi della gente per le strade di quella città, un po’ cambiata dalla maledetta sera di maggio del ’76, il tuo pensiero si perde a contare quanti anni sono passati e, nel caso personale, al compagno di scuola Pierantonio Mutti di Vazzola che in quel terremoto ci ha lasciato la giovane vita. Ma alla prima nota della fanfara, con la Sezione pronta a marciare, ti vengono alla mente, in una sola volta, i muli della caserma, quel capitano che ti faceva morire durante le marce e che oggi hai cercato per poterlo salutare, le bevute con gli amici, le mangiate di frico nell’osteria fuori Tolmezzo, le fughe, la neve del campo invernale, quella tosa incontrata una sera e mia più rivista.
Con un po’ di nostalgia, nostalgia di Tolmezzo, della Carnia e della sua gente, degli amici, dei compagni di avventura di un anno intero. Nostalgia anche della naia che hai odiato, ma soprattutto nostalgia di quando avevi 20 anni.

Antonio Menegon