A TOLMEZZO UN TRIVENETO DA APPLAUSI |
Dicembre 2019 |
Il calore dell’accoglienza e degli applausi riservati agli alpini in occasione
del “Triveneto” di Tolmezzo ha battuto nettamente quello del sole cocente di
metà giugno che ha caratterizzato il raduno delle penne nere di Veneto, Trentino
e Friuli nella cittadina friulana. Ennio Blanzan, presidente della Sezione
Carnica, ha preso per tempo contatti con tutte le Sezioni ANA del Triveneto ed è
riuscito a coordinare al meglio la logistica per accogliere le migliaia di penne
nere accorse a Tolmezzo. Con il sindaco Francesco Brollo ha fatto sì che
venissero posti in essere tutti i servizi, i blocchi stradali, le aree di sosta
e campeggio, i mezzi di soccorso e di protezione civile, gli sportelli
informativi e la sicurezza.
Tolmezzo, cuore di quella Carnia carica di ricordi per chi ha indossato il
cappello con la penna nera durante la leva militare ma anche terra di grande
storia e memoria alpina, ricca di monumenti e luoghi simbolo. Tra questi,
sicuramente l’Ossario e il Museo della Grande Guerra di Timau di Paluzza dove i
numerosi reperti bellici italo-austriaci, le migliaia di documenti inediti di
straordinario valore storico, le fotografie e gli armamenti, documentano le
drammatiche vicende che videro la Carnia fronte di combattimento nella Grande
Guerra. Non solo, anche i monti del Pal Piccolo, Pal Grande e Fraikofel, luoghi
dove si combatté il conflitto del 1915–1918, e Casera Malpasso, dove nel 1917
venne ferita a morte la portatrice carnica, medaglia d’oro al valor militare,
Maria Plozner Mentil.
Molte le aspettative di chi, presa la propria macchina o la corriera del Gruppo,
è partito con entusiasmo per quella terra piena di valori e di memoria passata e
recente. Già lungo la strada per raggiungere Tolmezzo i tricolori esposti ai
balconi delle case, dapprima sporadici, poi sempre più fitti man mano che si
cominciava a respirare l’aria della Carnia, lasciavano intendere che il Friuli,
come sempre, avrebbe fatto la sua parte e dimostrato quell’affetto storico e
sincero verso gli alpini, maturato in tanti anni di convivenza con quei ragazzi
venuti da ogni parte della penisola a presidiare i confini ad Est dell’Italia, a
riempire di gioventù i paesi segnati dall’emigrazione e a rallegrare i bar
gestiti da pochi anziani e da qualche ragazza.
Le caserme rappresentavano una parte importante dell’economia della Carnia;
molti alpini si sono fermati perché lì hanno trovato la morosa, tutti hanno
conservato nel cuore quelle montagne avare, faticose da salire per sentieri dove
il sudore delle marce si mescolava all’odore dei muli e alle bestemmie.
Poi, nel 1976, c’è stato il terremoto e tutto è cambiato. Tutto, tranne
l’affetto degli alpini per quella terra che per circa un anno è stata la loro
casa, così come è rimasto intatto l’affetto della gente della Carnia per i loro
alpini.
Lo si è visto sfilando per le strade di Tolmezzo domenica 16 giugno. Una città
imbandierata e festosa era pronta già alle otto del mattino con la gente
assiepata all’ombra dei palazzi che costeggiano le vie del centro in previsione
di una giornata di fuoco (meteorologico). Di buon’ora, già fioccavano gli
applausi per i gruppetti di alpini che gironzolavano in lungo e in largo, col
cappello in testa, in attesa dell’ammassamento. E lì, tra le viuzze a Nord
dell’abitato si è consumato, ancora una volta, il rito degli incontri, complice
l’accumularsi dell’ormai tradizionale ritardo con cui è iniziato lo sfilamento.
In soccorso delle penne nere, per fortuna, sono arrivati alcuni chioschi
prodighi di acqua e di birra, posizionati nelle laterali destinate
all’ammassamento.
E così tra una battuta e un incontro, un “ti ricordi” e una foto di gruppo, è
arrivato anche per la Sezione di Conegliano l’ordine di serrare i ranghi e di
mettersi in marcia.
Il passaggio tra le ali di folla dello sfilamento alpino è stato un susseguirsi
di applausi, di “bravi alpini!”, di saluti sinceri e di sventolio di tricolori.
Dentro ognuna delle penne nere la sensazione di essere in famiglia, tra gente
come te, che condivide valori e modi di vivere di quella terra.
Poi, mano a mano che lo schieramento alpino della Sezione di Conegliano si
avvicinava alla tribuna d’onore la voce di Nicola Stefani, già provata dalla
fatica, riprendeva tono e con un “Ecco la Sezione di Conegliano” urlato a
squarciagola, lo speaker scatenava la valanga di parole, di citazioni, di slogan
e di appelli che sanno sempre emozionare gli alpini del Piave.
Non è mancato il richiamo di Stefani al motto del Gruppo Conegliano – “Devant al
Conejan o se sciampe o se mur” – gridato al passaggio dei “nostri” davanti alla
tribuna d’onore, per concludere un’arringa carica, come al solito, di emozione e
partecipazione. Caserma Cantore e caserma Del Din, a Tolmezzo sono (erano) due
le caserme alpine. Proclamata Città Alpina dell’Anno 2017, Tolmezzo sarà città
degli Alpini per sempre. Sono tanti, tantissimi gli alpini che hanno sfilato
orgogliosi e in questo lembo di Carnia si sentono a casa, avendo vissuto qui, o
poco distante, la loro avventura un grigioverde.
Qui è nato il Battaglione Alpini “Tolmezzo”, il Terzo Artiglieria da Montagna ha
la Cittadinanza onoraria di Tolmezzo e nei giorni del Raduno Triveneto anche
l’Associazione Nazionale Alpini Nazionale è diventata cittadino onorario. Ogni
sentiero, ogni cima che incornicia l’orizzonte della Carnia ha a che fare con
gli alpini, perché tra la Carnia e gli alpini il legame è indissolubile. I
freddi e accecanti bianchi campi invernali, quelli verdi smeraldo estivi, la
perfetta sagoma triangolare del monte Amariana che veglia sulla piazza d’armi
della Cantore e della Del Din, i gomiti consumati a ‘ravanare’ nel poligono dei
Rivoli Bianchi: oggi si scatenano i ricordi per chi ha fatto il servizio
militare a Tolmezzo e per chi lo ha svolto nei comuni della Carnia e del
Tarvisiano.
E torna in mente l’arrivo in caserma dal CAR, nelle camerate dove i veci erano
in attesa febbrile delle nuove reclute e gli zaini volavano alti. E l’odore
inconfondibile che si sprigionava dalle scuderie, con l’abbeverata muli serale
cui partecipavano tutti, anche gli imboscati, con quegli amati-odiati quadrupedi
che quando scappava uno scappavano tutti ed era una guerra, poi, riportarli in
scuderia. Poi le marce faticose, a volte massacrati, dietro a quel capitano che,
come tutti i capitani degli alpini, ti faceva sputare sangue su per sentieri
ripidi e impervi della Carnia, quella Carnia ricca di storia e tradizioni di cui
finivi per innamorarti.
Il ricordo bello delle libere uscite, quando si aveva la sensazione di essere
benvoluti, le bevute nell’osteria per festeggiare il congedo di qualche amico e
quelle, a volte anche abbondanti, in cui non c’era nulla da festeggiare ma che
erano parte della naia, e per alcuni il “battesimo del fuoco”. Il furtivo
approccio con quella tosa (ma se ne vedevano sempre poche in giro) cui era
seguita qualche improbabile promessa. E il salto qualche sera fuori Tolmezzo, in
quella bettola dove si mangiava il frico, dove la curiosità si trasformava in
delusione scoprendo che di nient’altro si trattava che di formaggio cotto con
polenta, quello che a casa era normale mangiare a cena.
E poi “andare in fuga”, l’avventura più classica tra quelle che si potevano
vivere sotto naia, un salto a casa anche in autostop quando non si era di
servizio, di solito il sabato sera, per trovare la morosa, quando serviva la
copertura della camerata. Le fughe, quelle riuscite e quelle finite male. E se
non c’erano fughe da tentare e la libera uscita non proponeva granché, allora
tutto si consumava dentro i muri della caserma, con le lunghe serate dedicate
alle lettere della morosa, quelle da scrivere e quelle da leggere e rileggere,
che a volte, succedeva sotto naia, venivano lette anche agli amici.
Poi arrivava il giorno del congedo, il giorno tanto atteso, una attesa che prima
si misurava in mesi, poi in giorni, poi addirittura in ore, marchiate con
stelline dorate all’interno del cappello. Quel giorno tutti presero la loro
strada, ognuno andò a vivere il dopo-naia per conto suo, a rincorrere i suoi
sogni, a percorrere i suoi sentieri, ben più difficili di quelli dei monti che
incombevano su Tolmezzo... Mentre sfili tra gli applausi della gente per le
strade di quella città, un po’ cambiata dalla maledetta sera di maggio del ’76,
il tuo pensiero si perde a contare quanti anni sono passati e, nel caso
personale, al compagno di scuola Pierantonio Mutti di Vazzola che in quel
terremoto ci ha lasciato la giovane vita. Ma alla prima nota della fanfara, con
la Sezione pronta a marciare, ti vengono alla mente, in una sola volta, i muli
della caserma, quel capitano che ti faceva morire durante le marce e che oggi
hai cercato per poterlo salutare, le bevute con gli amici, le mangiate di frico
nell’osteria fuori Tolmezzo, le fughe, la neve del campo invernale, quella tosa
incontrata una sera e mia più rivista.
Con un po’ di nostalgia, nostalgia di Tolmezzo, della Carnia e della sua gente,
degli amici, dei compagni di avventura di un anno intero. Nostalgia anche della
naia che hai odiato, ma soprattutto nostalgia di quando avevi 20 anni.
Antonio Menegon