BOSCO DELLE PENNE MOZZE |
Dicembre 2021 |
Del
Bosco delle Penne Mozze quest’anno, grazie alla particolare solennità,
giustamente e doverosamente si è scritto e parlato molto, tanto da metterci un
po’ in difficoltà, cosa potevamo aggiungere noi? Doveva essere un testo basato
non tanto sulla cerimonia ma sui sentimenti che ci pervadono quando camminiamo
lungo i sentieri del Bosco, attorniati da migliaia di stele ricordo ed immersi
nella natura.
Casualmente, scorrendo le pagine di un noto social, ci siamo imbattuti in una
storia scritta dal Generale Italico Cauteruccio. Dopo averla letta con molta
attenzione abbiamo capito che quelle righe erano esattamente quanto stavamo
cercando. Contattato l’autore abbiamo avuto il consenso a pubblicare l’articolo
che potete leggere di seguito. Approfittiamo di queste pagine per ringraziarlo
pubblicamente.
A Cison di Valmarino, nelle prealpi trevigiane, esiste un tempio a cielo aperto dedicato ai Caduti alpini di quella provincia. È il Bosco delle Penne Mozze, nato 50 anni fa, nell’ intento di ricordare nel pieno della natura montana con un segno, una stele ognuno di quegli Uomini che hanno compiuto, sino all’estremo, il loro dovere di Soldati. E proprio per questa sua caratteristica che ha un significato particolare e va assumendo, come per tutte le cose valide e genuine, sempre più prestigio con il passare del tempo. Per tale motivo, quest’anno si è voluto celebrare il suo cinquantenario con particolare solennità.
Quando iniziò la sua vita erano i primi anni ’70 e il corpo degli Alpini festeggiava il suo centenario. Sin dagli albori colpì per l’originalità dell’idea, per la finalità così semplice e pulita, per il suo evidente valore morale. Era un’epoca di fermenti e di virulente ideologie che caratterizzarono, con il marchio della contestazione, quegli anni così staccati e già lontani da quelli della guerra, nefasta come tutte le guerre, per giunta perduta e anche male. E come se quel passato non fosse stato della gente, tutto quanto faceva riferimento ai sacrifici del periodo bellico, alle sofferenze vissute, era tacciato di retorica talvolta con aperto disprezzo. Persino il ricordo dei Caduti, nelle cerimonie che non fossero militari o delle associazioni d’arma, era confinato al minimo delle celebrazioni, quasi a vergognarsene, per lasciare spazio ad altri meriti e ad utopie d’importazione.
Ma, allora, si volle andare controcorrente. Ecco perché si fecero subito apprezzare il coraggio e l’alta sensibilità dell’alpino professor Altarui che ne ebbe l’intuizione e la propugnò sino a farne un’opera che era e rimane una espressione di altissima civiltà così rara in questo nostro tempo: un’iniziativa da alpini che, per intima norma, non seguono le mode, ma solo la loro coscienza e la fedeltà ai loro ideali. Profondamente poetica la concezione ed efficace l’insegnamento di sposare il ricordo di una vita spenta, perché dedicata alla Patria, con una nuova vita, quella di una giovane pianta quasi a perpetuare la continuità del vincolo di amore, l’attaccamento alla propria terra, simboleggiati dalle radici che si avvincono in una proda tanto amena e suggestiva.
Così l’iniziativa è venuta ad allinearsi, in modo più gentile e romantico, alla realtà solenne e severa dei Sacrari Militari che non mancano certo nella terra tra il Grappa, il Montello ed il Piave in onore dei nostri Soldati e della gente veneta. In sintesi, si tratta di un grande memoriale, esteso su un’area di oltre 16.000 mq di terreno, realizzato grazie all’entusiasmo ed alla determinazione degli alpini del luogo ed altri che insieme vi hanno dedicato generosamente tempo ed energie.
Sono state messe a dimora piante e realizzati tracciati dei sentieri, dedicati alle Medaglie d’Oro alpine trevigiane, che si sviluppano in un percorso dove spiccano gli stemmi delle sei Divisioni Alpine, Cuneense, Taurinense, Pusteria, Julia, Alpi Graie e Tridentina, e tre penne mozze, simbolo delle vite spezzate nelle varie guerre nazionali. Procedendo, si incontrano tra gli alberi le stele di oltre 2500 Alpini, opere dello scultore Simon Benetton, in cui sono trascritti il nome, le date di nascita e di morte, il reparto di appartenenza. Lungo il percorso si trovano inoltre la maestosa statua della “Madonna delle Penne Mozze” e numerosi monumenti e cippi dono della fraterna solidarietà delle altre associazioni d’arma. Nel 2001 è stata eretta anche una stele monumentale a forma d’albero sui cui rami sono apposte le targhe di adesione di numerose altre sezioni alpine, anche estere, così da divenire luogo della memoria degli alpini di tutta l’Italia. Per questo, il Bosco delle Penne Mozze vede, nella prima domenica di settembre di ogni anno, una sempre più numerosa folla di partecipanti alla cerimonia in onore e ricordo dei Caduti e si arricchisce di nuovi elementi. Ma l’effetto più pregnante lo si ottiene visitando il Bosco in solitario pellegrinaggio nel silenzio assordante della natura: vi si respira intima ed immediata spiritualità, un misto di ammirazione, pietà e rimpianto per quei Caduti e si avverte un monito toccante di esortazione e speranza affinché il dolore di tanti, di troppi, non sia stato inutile.
E soprattutto, lasciando la sacralità del luogo, rimane struggente l’esigenza di chiederci se noi, immersi e sommersi nel nostro presente, siamo ancora degni e se lo siamo
Italico Cauteruccio