STORIA: 25 APRILEdi Antonio Li Gobbi |
Luglio 2024 |
Ogni 25 aprile sembra che la Resistenza e la Liberazione nazionale siano
state ottenute grazie solo a formazioni partigiane comuniste che strizzavano
l’occhio a Stalin.
Questa narrazione distorta viene portata avanti sia da alcuni esponenti della
sinistra post-comunista (per appropriarsi di un’eredità che era anche comunista
ma che non era soltanto di una parte politica) sia da nostalgici della RSI, per
screditare la Resistenza e la Guerra di Liberazione agli occhi dei cittadini di
orientamento politico moderato.
Così non è stato! Intanto, senza l’Italian Campaign alleata (voluta
essenzialmente da Winston Churchill) e senza il massiccio intervento militare
anglo-americano non ci saremmo liberati della Germania nazista e del fascismo.
Intendiamoci, inglesi, americani, canadesi, indiani, truppe coloniali francesi,
polacchi, Brigata ebraica e i tanti altri che da luglio 1943 ai primi di maggio
1945 hanno contribuito con il loro sangue a liberarci dal giogo tedesco non lo
hanno fatto per disinteressato altruismo nei nostri confronti, ma perché l’Italian
Campaign era funzionale alla sconfitta della Germania.
Un considerevole contributo all’Italian Campaign fu fornito anche dalle Forze
Armate regolari italiane cobelligeranti con gli anglo-americani.
Ci fu poi la guerra partigiana, il numero dei cui aderenti era, soprattutto
all’inizio, decisamente contenuto e che ha avuto, militarmente, un effetto
abbastanza limitato sull’andamento delle operazioni generali. Ma che è stata
sicuramente la forma di lotta più difficile e pericolosa e forse quella di
maggior valenza spirituale.
Poi ci furono le moltissime forme di resistenza disarmata (degli internati
militari, degli scioperi operai, della società civile).
Oggi, purtroppo, sembra che si voglia se non negare almeno ignorare il ruolo
determinante che hanno avuto i Soldati italiani in quei venti mesi di lotta per
liberare l’Italia, chi combattendo nelle rinate Forze Armate a fianco degli
Alleati, chi nelle formazioni partigiane di ogni colore, chi, infine, offrendo
una orgogliosa resistenza disarmata nei campi di concentramento
Intendiamoci, l’8 settembre del 1943, le nostre Forze Armate non erano
sicuramente in condizioni ottimali!
Erano state impegnate per tre anni (con armamenti ed equipaggiamenti non sempre
adeguati alla situazione) in campagne dispersive, condotte senza una chiara
visione strategica degli obiettivi nazionali. Inoltre, dalla fine del 1942 i
nostri reparti erano, di fatto, in ritirata nei due fronti principali (quello
africano e quello russo).
Considerando anche la gestione politica molto discutibile del periodo 25
luglio-8 settembre e l’assoluta impreparazione con cui si affrontò l’armistizio,
ci si poteva aspettare che le nostre Forze Armate si sciogliessero come neve al
sole di fronte alla macchina da guerra nazista. Così non è stato!
Galli Della Loggia ha definito l’8 settembre la “morte della Patria”.
Non concordo.
Non è stata la morte della Patria: è stata la fine di uno Stato, di
un’organizzazione statuale, la perdita di credibilità dell’intera classe
dirigente, sia quella fascista sia quella monarchica. Però l’8 settembre è stato
soprattutto l’inizio della riscossa del popolo italiano e della “guerra di
liberazione” dall’occupazione tedesca.
Una guerra che non esiterei a definire 5^ Guerra d’Indipendenza nazionale.
Riscossa che ha assunto una molteplicità di forme, in tutte le quali gli uomini
“con le stellette” hanno avuto un ruolo importante e trainante, anche se troppo
spesso sottostimato e, a volte, addirittura ignorato.
Possiamo dire che l’evento simbolo dell’avvio di questa riscossa sia avvenuto a
Roma, dove nei giorni 9 e 10 settembre 1943, d’iniziativa e senza ordini,
ufficiali e soldati di tutte le armi dell’Esercito Italiano hanno ingaggiato
contro i tedeschi una lotta impari, che sapevano essere senza speranza, e per
questo ancor più eroica. A loro si sono uniti uomini e donne di tutti i ceti
sociali e di tutti i credi politici, a dimostrazione che in quella situazione di
caos e di generale perdita di punti di riferimento, le Forze Armate, nonostante
la crisi della politica e nonostante tre anni di guerra disastrosa, erano ancora
ritenute, da buona parte dei cittadini italiani, le uniche rappresentanti della
Nazione e dell’unità nazionale. Non si trattò certamente di un evento bellico
memorabile dal punto di vista militare, ma è stato un magnifico esempio di
coesione del Popolo con il “suo” Esercito.
Non si trattò solo di Roma! Eventi simili, anche se di minor portata, sono
avvenuti in tutto il Paese così come nei territori esteri ove i nostri soldati
erano dislocati.
Non starò a citare tutti i numerosi esempi, ma sappiamo che i reparti
abbandonati da una politica miope in isole sperdute dell’Egeo o nei Balcani,
spesso hanno resistito o hanno tentato di resistere contro i tedeschi,
nonostante fossero in grave soggezione di forze.
Conosciamo i fatti di Cefalonia, grazie soprattutto all’attenzione che ha
rivolto all’evento il Presidente Carlo Azeglio Ciampi, ma non c’è stata solo
Cefalonia! Fatti analoghi si verificarono in altre isole greche (Corfù, Rodi,
Lero), così come in Corsica, e nei Balcani.
La sensibilità al riguardo del Presidente Ciampi è anche dovuta alla sua storia
personale: era anche lui un giovane Tenente dell’Esercito quel tragico 8
settembre 1943.
Circa 640 mila soldati (sorpresi dall’8 settembre) furono catturati dai
tedeschi, in Italia o all’estero, e internati in campi di concentramento.
Non godevano dello “status” di “prigionieri di guerra” (cui le Convenzioni di
Ginevra riconoscevano alcuni diritti), in quanto non considerati “belligeranti”,
non avendo il governo italiano ancora dichiarato guerra alla Germania.
Furono sottoposti a trattamenti spesso disumani, cui avrebbero agevolmente
potuto sottrarsi aderendo alla RSI.
La maggior parte di loro decise di resistere e di non aderire alla RSI,
nonostante fossero consci che sarebbero probabilmente morti nei lager (sorte che
toccò a oltre 40 mila di loro).
Nei Balcani, in Francia, nelle isole, migliaia di militari italiani sfuggirono
alla cattura da parte dei Tedeschi e parteciparono ai locali movimenti di
liberazione nazionali, unendosi ai partigiani locali. Particolarmente
significativo fu il caso delle Divisioni “Taurinense” e “Venezia”, che si fusero
nella Divisione “Garibaldi”, mantenendo in gran parte intatta la propria
organizzazione gerarchica e ordinativa e combattendo a fianco dei partigiani
jugoslavi fino alla fine della guerra.
La “resistenza” degli internati militari e quella dei reparti italiani
all’estero era la “resistenza” di chi pur lontano dall’Italia e privo di
qualsiasi informazione sulla situazione, sentiva che la Patria non era morta e,
in prigionia o in territori lontani, continuava a combattere per essa.
Nel Mezzogiorno, dopo la dichiarazione di guerra alla Germania da parte del
Governo Badoglio (ottobre 1943) e il tormentato riconoscimento all’Italia dello
status di cobelligerante da parte alleata, le Forze Armate. italiane,
ricostituite al Sud, parteciparono attivamente alle operazioni a fianco degli
Alleati.
Nonostante le resistenze politiche anglo-americane (tendenti a limitare il
contributo italiano a sostegno logistico e lavoro nelle retrovie, al fine di non
doverci riconoscere meriti di cobelligeranza), il primo nucleo di tali forze
ebbe il battesimo del fuoco nella battaglia di Montelungo (dicembre 1943), dove
s’immolò quasi al completo il 51° Battaglione allievi ufficiali dei Bersaglieri.
Si trattava di “combattere” sia contro l’ex alleato tedesco, che non perdonava
quello che considerava un tradimento, sia contro i preconcetti del nuovo-alleato
anglo-americano, che voleva limitare il ruolo dei nostri combattenti per non
riconoscere all’Italia vantaggi politici post-bellici.
Nei successivi sedici mesi, le “nuove” Forze Armate italiane arrivarono a
contare più di mezzo milione [1] di uomini.
Non solo i 6 Gruppi di Combattimento (in pratica Divisioni, che gli Alleati non
consentirono di chiamare così solo per motivi politici), ma anche reparti
combattenti della Marina, dell’Aeronautica e le Divisioni Ausiliarie che furono
essenziali per consentire alle armate alleate di risalire la Penisola.
L’importanza non solo militare ma anche politica di tale impegno fu evidenziato
nel mirabile intervento di Alcide De Gasperi alla Conferenza di Parigi (10
agosto 1946).
Al Nord, i militari sono stati spesso i primi a darsi alla guerriglia e sono
spesso stati gli elementi catalizzatori che hanno tentato di dare
un’organizzazione e una qualche unitarietà al movimento resistenziale che stava
nascendo spontaneamente, ma disordinatamente.
Ciò perché alcuni reparti si sono dati alla macchia già subito dopo l’8
settembre, mantenendo spesso, almeno all’inizio, la propria organizzazione e con
quadri che avevano già molta esperienza bellica.
Luigi Longo, vice comandante del Corpo Volontari della Libertà e futuro
segretario del PCI, in proposito scrisse: “Vi erano soldati che fuggivano verso
la montagna guidati dai loro ufficiali. Fuggivano per un’ansia di ribellione, ma
con senso di disciplina e organizzazione. E fuggivano recandosi appresso la
propria arma”.
A Roma, non possiamo dimenticare il contributo fornito durante il periodo
dell’occupazione dal Fronte Militare Clandestino guidato dal Colonnello
Montezemolo.
Ricordiamo che dei 335 trucidati alle fosse Ardeatine, ben 69 erano uomini con
le stellette.
È stato così dappertutto e troppo lungo sarebbe citare tutti gli eroi con le
stellette della guerra partigiana! In tale contesto, vanno ricordate anche le
centinaia di missioni di ufficiali e sottufficiali italiani paracadutati oltre
le linee tedesche con compiti di collegamento con le formazioni partigiane,
addestramento delle stesse e organizzazione di aviolancio di armi e munizioni a
favore della “resistenza”.
Ben 87.376 militari italiani sono caduti per liberare l’Italia tra l’8 settembre
1943 e l’8 maggio 1945, alcuni all’estero, altri in Patria, chi in reparti
regolari chi in formazioni partigiane, ma tutti, indistintamente, tenendo fede
al proprio dovere.
Ben 365 militari sono stati decorati, quasi tutti alla memoria, di Medaglia
d’Oro al Valor militare per le loro attività nella Guerra di liberazione (di
questi 229 operavano nelle formazioni partigiane e 136 in reparti regolari).
In conclusione, sicuramente anche senza il sacrificio di tanti soldati e civili
che hanno combattuto la guerra di liberazione, i tedeschi sarebbero stati
ugualmente sconfitti. La differenza è che in quel caso noi, come popolo,
“saremmo stati liberati” invece di essere stati parte attiva di questa riscossa
nazionale, che ha portato a un’Italia repubblicana e democratica, che siede con
onore tra le nazioni europee.
In tutte le molteplici fasi e sfaccettature di questo processo che è stato
essenziale e fondante per la nostra Repubblica, gli “uomini con le stellette”
hanno avuto, sia individualmente sia collettivamente, un ruolo fondamentale.
Ruolo che, lo ripeto, oggi troppi vogliono far cadere nell’oblio per dare della
Storia una versione addomesticata ai propri interessi di parte.
NOTA: [1] In particolare: 400 mila dell’Esercito, 80 mila della Marina, 35 mila
dell’Aeronautica.
di Antonio Li Gobbi
Fonte: Report Difesa
Militari italiani internati
L’ingresso a Savona di soldati
italiani in battle dress (la divisa da combattimento) inglese.