SANTE DORIGO: la prima Medaglia d'ORO della Sezione


Luglio 2023

La leggendaria storia di un eroe discreto
di Mario Altarui

Figlio di Giovanni e di Simon Maria, Sante Dorigo nacque a Soligo di Farra il 22 febbraio 1892 e - compiuti gli studi ginnasiali - si arruolò volontario venendo assegnato, il 5 settembre 1912, al Battaglione «Feltre» del 7° Alpini; compiuto il periodo di addestramento, il 18 gennaio 1913 si imbarcò a Napoli per la Tripolitania e Cirenaica.
Il «Settimo» aveva già mandato 255 alpini in Libia alla fine di settembre del 1911 (aggregati al Battaglione «Saluzzo») e, due mesi dopo, altri cento alpini destinati a costituire il Battaglione «Fenestrelle»; poi in gennaio del 1912 fu la volta di quaranta alpini per l’«Edolo» e ottanta per il «Verona». Partì anche il comandante del 7°, col. Luigi Dalmasso, seguito nel settembre del 1912 dall’intero Battaglione «Feltre». Il 13 ottobre 1912 era stata stipulata la pace con la Turchia ma la lotta in Libia continuò accanita a causa dell’aggressività delle bande ribelli principalmente capeggiate da El Baruni; il «Reggimento Alpini Speciale» agli ordini del col. Antonio Cantore, al quale apparteneva il «Feltre» comandato dal ten. col. Aldo Barbieri, si trovò frequentemente impegnato.
Dorigo partecipò tra l’altro, compiendo sette assalti alla baionetta, alla battaglia di Assaba svoltasi il 23 marzo 1913 - giorno di Pasqua - e che valse il conferimento della medaglia d’argento alla bandiera del 7° per l’eroica prova del Battaglione «Feltre».
Risolta la questione libica - con il conclusivo inseguimento degli avversari fino a Nalut, presso il confine tunisino - gran parte delle nostre truppe rientrò in patria.
Sante Dorigo era stato promosso caporale il 31 agosto, caporale maggiore il 30 novembre dello stesso 1913 ed ebbe l’incarico della contabilità dal 31 maggio 1914.
Il Battaglione «Feltre» si apprestava al rientro in Italia, e anche Dorigo si imbarcò il 17 agosto 1914 sul «Valparaiso» giungendo tre giorni dopo a Napoli.
Col diritto al computo di due campagne per la guerra italo-turca, e autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa, Dorigo (che dal 31 ottobre era cessato dalla carica di contabilità) venne trattenuto alle armi dopo un breve periodo di riposo in famiglia.
Giunse infatti la guerra mondiale e, promosso sergente il 15 novembre 1915, Sante Dorigo venne ammesso (il 14 marzo 1917) al corso allievi ufficiali al fronte presso il 6° Reggimento Alpini; il 14 giugno era aspirante presso il Battaglione «Val Brenta» presso il quale conseguì la promozione a sottotenente il 15 agosto con anzianità 15 luglio; il 27 agosto passò al Battaglione «Monte Pasubio » (pure del 6°) che era comandato dal magg. Emilio Battisti il futuro comandante della «Cuneense» in Russia.
Il quel tempo il «Val Brenta» - alle dipendenze della 15° Divisione - era in linea a forcella Magna, dopo essere stato a Tezze Valsugana, Cinte Tesino e Malene; il 14 settembre era sceso a malga Sorgazza concorrendo ad attacchi dimostrativi prima del ritorno a forcella Magna.
Con il «Monte Pasubio» (che era stato costituito su tre compagnie a Staro alla fine di giugno del 1917, mediante la fusione di quattro compagnie sciatori, oltre a tre sezioni mitragliatrici e una sezione lancia bombe) Sante Dorigo fu nella zona di Peternel (oltre valle Iudrio), in val Lagarina, in val Posina sulle posizioni di Monte Calgari, e poi a Caltrano; determinato il ripiegamento a causa degli infausti avvenimenti dell’Isonzo, il battaglione venne autotrasportato l’11 novembre a Foza attraverso Bassano, la Valsugana e Valstagna. Fu in quella tragica situazione che Sante Dorigo passò, il 14 novembre, al XXIX reparto d’assalto. Era un reparto alpino autonomo, come gli altri reparti 3° e 52° «Fiamme Verdi», e il 6° reparto d’assalto. Già encomiato solennemente dal comando della 15° Divisione per il fatto d’armi di quota 1924, e dopo aver meritato una medaglia di bronzo della quale è andata purtroppo dispersa la motivazione, il sottotenente Dorigo si profuse appassionatamente nella disperata lotta per impedire al nemico un troppo compromettente consolidamento delle posizioni nella zona di Mori situata tra l’Altissimo e Rovereto.


Sante Dorigo in divisa dopo il rientro in Italia.
Sopra il busto dello scultore Carlo Balljana sito nei pressi
della scuola elementare G. Zanella di Soligo

Fu appunto a Sano di Mori che Dorigo meritò la medaglia d’argento al valore militare con la seguente motivazione: "Guidava con calma e sangue freddo il proprio reparto sotto le difese nemiche, senza destare l’attenzione dell’avversario, e dopo aver superato tre linee di reticolato elettrizzato, irrompeva in una caverna da dove il nemico ingaggiando contro di esso, e con dieci uomini, aspra e sanguinosa lotta catturando sei uomini di cui un ufficiale e uccidendo altrettanti nemici. Sano, 19 gennaio 1918".
Dorigo ebbe le sue grane anche con il tribunale militare di Verona al quale era stato deferito perché i suoi alpini non volevano saperne delle maschere antigas; vestiti di bianco per meglio occultarsi tra la neve, andavano verso le linee nemiche muniti di pinze tagliafili e con il tascapane traboccante di bombe a mano, ma niente maschere antigas. Interrogato al riguardo, affermò con orgoglio: "Voglio guardare in faccia amici e nemici e, soprattutto, voglio respirare a pieni polmoni l'aria pura delle nostre Alpi!" Dorigo seppe difendere i suoi alpini e se stesso, e il tribunale lo assolse senza alcuna riserva: e gli alpini poterono avere la soddisfazione di agire con la propria testa e non con quella dei najoni dei comandi di retrovia.
Il 23 marzo 1918 l’imperatore Carlo approvò il progetto di offensiva contro l’Italia che gli era stato presentato dal capo di Stato Maggiore von Arz; esso prevedeva l’attacco in maggio con l’obiettivo di giungere all’Adige. Il maresciallo Conrad von Hötzendorf - comandante delle armate del Trentino situate dallo Stelvio al Grappa - aveva già studiato un piano di offensiva che prevedeva un attacco principale sull’altipiano di Asiago con azioni secondarie lungo la valle dell’Adige e verso il Grappa. In attesa di ciò si presentava l’opportunità, per l’avversario, di assicurarsi alcuni punti salienti sulla fronte trentina, uno dei quali era rappresentato dalla cima di Coni Zugna e dalle varie posizioni di Zugna Torta e di Col Santo. Gli attacchi si intensificarono contro queste posizioni, con azioni di truppe audaci e preparate; verso il 20 maggio l’avversario giunse alla Zugna Torta ingaggiando un’implacabile lotta anche con il reparto comandato da Sante Dorigo. Gli assalti e contrassalti si susseguirono senza alcuna tregua per tre giorni e tre notti, con grande eroismo e rilevanti sacrifici delle forze contrapposte. Quando il Battaglione «Feltre» - con i superstiti del XXIX reparto d’assalto agli ordini del capitano Gambara, gli artiglieri del X Gruppo da montagna e gli alpini del «Monte Pavione» - risalì i costoni di Coni Zugna dopo alcuni mesi, poco prima della conclusiva vittoria, i combattimenti del mese di maggio avevano lasciato segni inconfondibili di una lotta suprema.
Dorigo aveva profuso il suo eroismo fino ai margini dell’impossibile, meritando la medaglia d’oro al valore militare con la seguente motivazione: "Comandante la prima ondata, si slanciò con deciso impeto all’assalto di forti posizioni superandole con i suoi uomini, sotto il tiro della mitraglia nemica. Gravemente ferito, rimase al suo posto, alla testa dei pochi superstiti e strappati all’avversario degli spezzoni esplosivi, glieli lanciò contro infliggendogli gravi perdite. Colpito una seconda volta ed avuta spezzata una gamba, volle rimanere ancora con i suoi soldati per animarli alla lotta. Soccorso da uno di essi che cercava di trascinano al riparo e travolti entrambi dallo scoppio di una bomba nemica, benché nuovamente ferito in più parti e morente, lanciò fino all’estremo parole di incitamento ai suoi uomini; fulgido esempio di valore e di tenacia. Zugna Torta, 23 maggio 1918".
La motivazione non accenna però all’importante dettaglio dell’azione finale. Infatti, dopo essere stato ferito per la seconda volta, il sottotenente Dorigo si trovò a fronteggiare all’arma bianca il capitano austriaco che comandava il reparto avversario; gli si lanciò contro e, nella furibonda lotta corpo a corpo, ferì il capitano a colpi di pugnale. Il capitano cadde tra gli spezzoni di cui era disseminato il conteso terreno di Zugna Torta, mentre Dorigo veniva soccorso da un suo soldato; con un supremo sforzo il capitano austriaco raccolse uno spezzone e lo lanciò contro Dorigo, che stava per venire trascinato al riparo, procurandogli le più gravi ferite e travolgendo anche il suo soccorritore. La lotta cessò, e gli austriaci iniziarono la raccolta dei feriti mentre i cadaveri dei morti venivano buttati nel vicino burrone. Dorigo, sommerso dai corpi dei caduti, appariva morto e sarebbe finito giù nel precipizio se - facilitato anche dalla sua conoscenza della lingua tedesca - non avesse rivelato di essere ancora vivo.
Il nostro eroico ufficiale e l’ugualmente valoroso capitano austriaco, morenti per le assai gravi ferite, vennero sollecitamente medicati e poi trasferiti in un ospedale nella zona dei Carpazi. Fu il capitano austriaco a testimoniare l’eroismo di Sante Dorigo il quale era già conosciuto dai reparti avversari per le precedenti sue gesta sul fronte trentino. E la Croce Rossa Internazionale ha prontamente informato i comandi italiani, per cui la medaglia d’oro venne decretata già dal 13 giugno 1918: alla memoria, in quanto si riteneva che Dorigo non avesse potuto sopravvivere alle gravissime ferite. Proprio a riconoscimento di tanto valore, gli avversari dedicarono ogni premurosa cura per Sante Dorigo: poterono salvargli uno degli occhi, ed evitare l’amputazione della gamba frantumata dall’esplosione. Morì invece il capitano austriaco che, a conferma della sua convinta ammirazione, donò a Dorigo il proprio binocolo.
Quasi tutte le pubblicazioni - anche le più autorevoli, e sebbene edite dopo parecchi anni dalla fine del conflitto - continuarono a ripetere che Dorigo, insignito per il suo valore anche di una decorazione polacca, era caduto per il fatto d’armi di Zugna Torta. Sante Dorigo aveva intanto maturato, con anzianità 15 aprile 1918, la promozione al grado di tenente; rientrato al Corpo l’11 novembre, venne ricoverato all’Ospedale militare di Bologna ed affidato alle cure dei sanitari del reparto ortopedico Rizzoli.
Risorgeva la speranza nell’avvenire, di una tranquillità familiare dopo la tempesta della guerra; per Dorigo nacque l’amore per una giovane studentessa bolognese, Elvira Regoli, che sposò e gli diede i figli Ubaldo e, dopo alcuni anni, l’adorata Mariuccia.
Il 10 agosto del 1919 era stato inviato in licenza di convalescenza di due mesi, dopo di che venne nuovamente ricoverato per postumi di ferite; altri trenta giorni di convalescenza da metà ottobre ed altro ricovero alla fine di gennaio del 1920; venne infine dichiarato inabile permanentemente al servizio militare (25 marzo 1920) e inviato in licenza straordinaria in attesa delle determinazioni ministeriali, che si concretarono nel collocamento in congedo assoluto alla data dell’1 maggio 1921, ed iscritto nel ruolo speciale e poi nel ruolo d’onore.
Capitano con anzianità 1 gennaio 1932, ebbe l’avanzamento al grado di maggiore l’1 gennaio 1940. Autorizzato, dal Comando Deposito del 6° Alpini, a fregiarsi del distintivo d’onore per le ferite a Zugna Torta, ebbe computate quattro campagne di guerra dal 1915 al 1918 e autorizzato naturalmente a fregiarsi della medaglia commemorativa della Guerra 1915-1918, di quella a ricordo dell’Unità d’Italia, e della medaglia Interalleata della Vittoria.
Con brevetto del 15 settembre 1918 Dorigo venne insignito della croce di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia; quando fu posto in congedo assoluto si trasferì con la famiglia a Moriago della cui Amministrazione comunale fu a capo dal luglio del 1926 al febbraio del 1928. È di questo periodo l’erezione del Cippo all’Isola dei Morti, dovuto all’iniziativa di Dorigo e del generale Giuseppe Vaccari, alla cui inaugurazione intervenne anche Italo Balbo che era stato ufficiale del Battaglione «Cadore» del 7° Alpini.
A proposito di Balbo, il cav. Virginio Possamai di Treviso ricorda di aver partecipato, unitamente a Dorigo, all’inaugurazione del noto monumento del vecio e del bocia alla caserma «Salsa» di Belluno: “era il 23 maggio 1926, esattamente otto anni dopo la fulgida impresa di Dorigo sulla Zugna Torta, ed era presente anche Vittorio Emanuele III. Balbo, che col re aveva una buona dimestichezza, gli presentò Dorigo iniziando ad illustrare le gesta di cui era stato protagonista, ma il re lo interruppe prontamente dicendo: Lo conosco assai bene Dorigo, anche perché ho dovuto firmare la modifica al decreto di concessione della medaglia d’oro in quanto la decorazione era stata conferita «alla memoria»”.
Dorigo destava ammirazione ovunque, ma gli elogi lo mettevano a disagio insistendo egli col dire di aver fatto il proprio dovere e null’altro.
Col ritorno a Treviso, dove andò ad abitare a Porta Piave, erano più frequenti le occasioni per cerimonie di vario genere; Dorigo vi andava sempre di malavoglia perché era comprensibilmente al centro dell’unanime attenzione. Vi andava preferibilmente con la figlia Mariuccia che gli forniva una sbrigativa giustificazione per assentarsi alla svelta. E sempre evitò di parlare di se stesso. Anche il famoso giornalista Barzini, deciso ad intervistarlo, non ne ricavò nulla all’infuori di una cordiale bevuta di vino nostrano.
Dopo lunghe sofferenze, acuite dalle ferite di guerra, Sante Dorigo morì nella sua abitazione il 16 giugno 1942. Dalla camera ardente, allestita presso la sede dei combattenti in via Cornarotta, il feretro dell’Eroe  deposto sopra un affusto di cannone trainato da tre pariglie di cavalli - venne trasportato al Duomo per le esequie svoltesi il 18 giugno con l’intervento di innumerevoli bandiere, di una compagnia d’onore del Presidio militare di Treviso. Autorità ed associazioni tra le quali il Gruppo Medaglie d’Oro rappresentato dalla MO Pietro Gramigna di Bologna. Dopo il rito e la benedizione - impartita dal Vescovo di Treviso mons. Mantiero - si ricompose il triste corteo che, dopo una breve sosta per il saluto in piazzale Duca d’Aosta, raggiunse il cimitero maggiore di S. Lazzaro dove le spoglie di Dorigo sono tuttora sepolte.


Angelo Manaresi (nella foto), indimenticabile valoroso ufficiale del «Feltre» e poi presidente nazionale dell’ANA, ci ha lasciato la seguente descrizione dei luoghi dove avvennero i combattimenti del maggio 1918 con il reparto comandato da Sante Dorigo:

"La strada saliva incassata per la valle, verso il crinale di Cima Salvata, e, da questa, per Passo Buole, con ampie svolte, a Coni Zugna che ergeva il suo cocuzzolo ad oltre 1800 metri di altezza, dominando, ad est, la Vallarsa, - a nord, il lungo dorso della Zugna, brullo e squarciato dall’orrida piaga delle sue frane declinanti su Rovereto ancora austriaca, - ad ovest, la Val d’Adige, ampia e costellata di paesi distrutti, dalla stretta di Serravalle all’ampio sbocco del solco di Loppio, terreno di ostinate battaglie.
Nella serenità dell’alba, la piccola chiesa di San Valentino, rimasta miracolosamente in piedi fra tanta rovina, appariva come oasi di tranquilla pace.
Di fronte, scuro e ferrigno, dominante Rovereto, il Biaena, nido di artiglierie austriache, baluardo insormontabile ad ogni nostro tentativo di avanzata. Dopo breve sosta, ripresa la marcia, passando presso lo storico Passo Buole, Termopili della Patria nel maggio 1916, raggiungevamo affine Coni Zugna, e, nella notte, vi davamo il cambio alle truppe in linea.
La cima di Coni Zugna, scavata da profonde gallerie, solcata di trincee, guarnita di nidi di mitragliatrici, popolata di baraccamenti, in gran parte però mal tenuti e cadenti, dava l’impressione di una vera e propria fortezza: dappertutto tracce della lunga permanenza di masse di truppe avvicendatesi, per oltre tre anni, nella zona.
Di lassù, si aveva la chiara visione della enorme importanza della montagna, caposaldo di difesa della sinistra Val d’Adige, come l’Altissimo lo era della destra; di lassù il più modesto alpino poteva rendersi conto della mirabile chiaroveggenza dimostrata dal non dimenticato «papà» degli alpini, dal Generale Cantore, che, di iniziativa, trasgredendo agli ordini ricevuti, occupata fulmineamente Ala, era balzato con le sue truppe su Coni Zugna, nei primi giorni della guerra, affermandovisi saldamente.
 Il pensiero ritornava riconoscente e commosso al grande Morto Alpino, caduto pochi mesi dopo, con una palla in fronte, alla Forcella di Fontana Negra, quando ancora il cuore gli bruciava di dolore per non aver potuto proseguire la garibaldina, fulminea marcia su Trento.
Dopo l’offensiva di Conrad, caduti in mano al nemico Roite, Col Santo, Monte Como, perduta la Zugna Torta, arretrate le linee di fondo alla stretta di Serravalle, il caposaldo di Coni Zugna era rimasto come formidabile saliente, cuneo piantato nelle linee nemiche, alta prora di nave irta di cannoni e guarnita da uomini sicuri, in un mare di austriaci. Ributtato il nemico, in feroci lotte corpo a corpo, giù per i burroni della Vallarsa, falciate, dalle nostre mitragliatrici, le masse avanzanti lungo il costone di Zugna, orrido e nudo, i nostri soldati avevano saputo febbrilmente creare, della cima, una inespugnabile fortezza: formidabile sul fianco destro e verso nord, per le asperità dei ciglioni della Vallarsa e per il dominio sulle quote più alte della Zugna Torta, la linea diventava assai più debole nel tratto dalla cima al fondo Val d’Adige, là dove correva quasi parallela e alla stessa quota della linea nemica, in qualche punto vicinissima alla nostra, scendendo poi a saldarsi allo sbarramento di Serravalle.
La vita, specie sui costoni della Zugna, non doveva essere troppo allegra, data l’estrema vicinanza delle posizioni e il dominio che, quasi dovunque, l’avversario aveva su di noi: dappertutto erano tracce di lotte furibonde, crateri di grossi calibri, teorie di croci, su fosse antiche e recenti: ora sulle linee nemiche dominava il silenzio, mentre, sotto di noi, i bei paesi di fondovalle, già ridenti e civettuoli, da Sacco a Rovereto, da Marco a Lizzana, mostravano al sole le occhiaie vuote delle case bombardate e pochi muri ritti, fra cumuli di macerie.