Storie dei nostri veci

ANGELO MORAS

Luglio 2010

ANGELO MORAS, reduce di Albania e Grecia, si racconta

Con il comitato del 50° di fondazione del Gruppo, avevamo deciso di fare un’intervista ad un Reduce di guerra per proiettarla durante la mostra video-fotografica. E’ stata questa l’occasione per incontrare uno dei nostri soci più “veci”: Angelo Moras classe 1912, artigliere della 15a batteria del Gruppo Conegliano, combattente prima in Albania e poi in Grecia con l’incarico di zappatore.
Avevo sentito spesso parlare di lui, soprattutto dopo che, nel gennaio 2009 era venuto a mancare suo fratello Ugo, come lui, socio fondatore  del Gruppo. Qualche telefonata e la famiglia ci ospita.
Angelo con lucidità comincia a raccontare:

Ero partito con altri due fratelli.
“Nani”, che faceva il cuoco negli zappatori, è stato poi deportato in Germania come prigioniero, dove riuscì a conquistarsi la fiducia delle donne del paese che gli procuravano il vestiario per i nostri prigionieri dei tedeschi;
“Gino”  era stato inviato in Francia, e ci rimase per nove lunghi anni, fino alla fine della guerra senza mai tornare a casa;
Io avevo una mula, sulla quale caricavo gli attrezzi del mestiere e, sempre davanti a tutti, insieme ai commilitoni preparavamo le strade ed i passaggi per l’esercito.

(La nuora, che insieme a noi lo ascolta, nomina Angelo Bet, suo commilitone della 15 e lui con molta naturalezza ci racconta).
Il mio compagno Angelo Bet si congelò le gambe. Ci avevano mandato ad Osoppo. Eravamo i primi ad arrivare, e subito ci “spedirono” in prima linea, ma non eravamo attrezzati per il freddo, non c’erano indumenti, calze, scarpe, maglioni - nei magazzini non c’era niente - tutto il contrario di quanto facevano credere i giornali dell’epoca.
Avevamo in dotazione il 75/13, era il nostro obice, il suo munizionamento era una granata mod.32 carica di tritolo. Il lancio veniva graduato su indicazione dei calcoli sulla distanza e del tiro che il comando ci passava. Il 75/13 era uno Skoda austro-ungarico di preda bellica della prima guerra mondiale, e veniva scomposto in 7 pezzi e trasportato da muli e da artiglieri alpini; anche le munizioni erano trasportate a soma, ed ogni mulo portava 4 cassette.
La vita si svolgeva sempre nelle trincee, mai fuori: oltre la trincea si rischiava la vita, si usciva solo quando si era chiamati all’offensiva. Solo se comandati si usciva dalla trincea e si andava all’assalto del nemico. La gavetta ed il cucchiaio, insieme all’arma, erano gli “amici” che ti seguivano per tutto il periodo della Guerra.

Il ricordo va ora a suo padre combattente nella Grande Guerra, partito insieme al suo testimone di nozze per il Grappa e ritornato a casa dopo tre anni).
Una volta ritornato a casa, a mio padre si gonfiò una gamba per un’infezione non curata bene: in guerra non c’era il tempo per curare le piccole ferite, si doveva combattere, le medicazioni passavano in secondo piano e non avendo mai fatto un giorno in ospedale non gli fu neppure riconosciuto alcun indennizzo.
Durante la ritirata, gli austroungarici avevano l’ordine di portare via tutto il possibile: cibo, bestiame, qualsiasi materiale utile per eventuali attacchi.
(Angelo si commuove ed ha le lacrime agli occhi)
Il padre di un mio amico d’infanzia uccise un nemico per difendere le sue proprietà, e subito un altro lo uccise per vendetta, mentre teneva ancora in braccio il figlio.
Angelo conclude la sua narrazione con un sorriso tra le labbra: “mi fioi non ho pi nient da dirve, ve ho dita quel che ho fat, a dir el vero, a me età - e son stat via 18 mesi - non ho conosest né dotori né nessun”.

Durante la mostra, la gente che scrutava i vari pannelli con le fotografie, quando passava davanti al video, si fermava e con molta commozione ascoltava la narrazione della storia di Angelo, e le sue parole talmente commoventi ti immergevano nella storia tanto che ti sembrava di riviverla.
Anche se tutti dicevano che era una persona “lucida”, non immaginavo che i ricordi fossero ancora così  vivi nella sua mente. Con Angelo, abbiamo approfondito un pezzo di storia che poco conoscevamo.

Loris Cescon
MarcoMarcon