Storie dei nostri veci |
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AUGUSTO POMPEO |
Dicembre 2013
La vicenda di Augusto Pompeo è simile a tante, troppe altre vicende vissute
dai nostri militari, dai nostri alpini e dalla nostra gente a cavallo della metà
del secolo scorso.
Il 1943 è uno degli anni più infausti e bui della nostra storia. Quei giorni
appartengono al periodo storico in cui la farsa si mescola con la tragedia e
costituiscono la testimonianza della più alta prova di insipienza data dalla
classe dirigente italiana in tutto il corso della sua storia.
Il drammatico succedersi degli avvenimenti di quell’anno non risparmiò nessuno,
ma i più coinvolti furono senz’altro coloro che vestivano la divisa militare.
E così la vicenda di Augusto Pompeo (classe 1923, 3^ Artiglieria della Julia)
rischiò di intersecarsi drammaticamente con gli eventi di quel periodo.
Nella caserma in territorio jugoslavo dove si trovava da poco, dopo i tre mesi
di CAR a Gorizia, il 9 o il 10 settembre del ’43 successe come in tutte le
caserme d’Italia: soldati tedeschi, pochi ma organizzatissimi, circondarono
l’edificio e, dopo aver intimato la resa e la consegna delle armi, catturarono
tutti.
Dal portone spalancato i militari uscivano ad uno a uno, passando tra due
tedeschi con la pistola in pugno, gettavano il moschetto in un mucchio e
salivano sugli autocarri.
Quel mucchio, sempre più alto, prendeva via via la forma di una surreale
piramide di scheletri.
Il giovane Augusto ebbe il coraggio, la determinazione, la furbizia, o forse la
fortuna, di evitare il rastrellamento.
Raggiunse Colfosco dopo una fuga lunga e rocambolesca, saltando fossi, guadando
torrenti, nascondendosi tra le siepi, dormendo nei campi, evitando paesi,
borghi, case, contatti umani. Il premio del suo coraggio fu che, mentre migliaia
e migliaia di militari italiani, spesso stipati nei carri bestiame, prendevano
la difficile, e per alcuni tragica, strada della prigionia in Germania, lui si
guadagnava la libertà raggiungendo il suo paese e la sua casa.
Ma il 23 dicembre viene arrestato dai carabinieri e portato a Padova dove dopo
40 giorni (coraggio? fortuna?) riesce di nuovo a fuggire. Il 2 febbraio 1944
(certe date Augusto le ha incise indelebili nella memoria) comincia a lavorare a
servizio dei Tedeschi, poi arriva la liberazione. Augusto Pompeo racconta quello
che abbiamo sentito da tanti altri alpini.
Che fossero in guerra o prigionieri ricordano che il loro pensiero era tornare a
casa, per riunirsi alla famiglia e ricomunicare a lavorare. Lavorare. Si dice
sempre “Italiani, popolo di santi, poeti e navigatori”, ma il primo articolo
della nostra costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata
sul lavoro”. Sul lavoro, e quindi sul sudore, sulla fatica, sul sacrificio.
Verrebbe da dire: il Veneto, questa terra è fondata sul lavoro.
Qualcuno ha detto che qui il lavoro è una droga che ha il sapore della medicina,
nel nostro Veneto abbiamo sempre saputo che la parte peggiore del lavoro è ciò
che ti capita quando smetti di lavorare. Se non si capisce questo non si capisce
nulla di noi.
L’attaccamento al lavoro, che per i Veneti non è nemmeno un dovere ma il senso
stesso del vivere. Quello dei poeti, santi e navigatori per noi è uno stereotipo
fuori dal tempo.
Ecco, la vita di Augusto è stata una vita di lavoro. Successe poi che anche
nella sua terra, qui nella bellissima Colfosco, il lavoro non bastava.
E anche per Augusto fu tempo della “seconda naia”. Undici anni di Francia dove
per il suo impegno si meritò vari e ambìti riconoscimenti.
E memore di quanto è dura la vita lontano dalla propria terra e dal proprio
campanile, e perché non andasse dimenticato quale è stato l’apporto dei nostri
emigranti, Augusto Pompeo ha fondato la Sezione Susegana dei Trevisani nel
Mondo, di cui è tuttora presidente onorario.
Il suo 90mo compleanno gli alpini di Colfosco hanno voluto festeggiarlo in
maniera sontuosa.
Direttivo al completo, tanti soci del gruppo, madrina, labaro sezionale, una
torta “alpina” che era una vera opera d’arte, famiglia al completo, una schiera
di nipoti.
Abbiamo visto tanta commozione, il meno coinvolto pareva proprio Augusto, o
almeno così ci è sembrato…
Alessandro Soldan