Storie dei nostri veci |
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DOMENICO BASTIANELLO |
E' un pomeriggio di autunno, quando assieme ad un amico, mi reco a far visita a uno dei più anziani soci alpini del Gruppo Santa Lucia:
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Molto cordiale è l'accoglienza che ci riserva questo alpino classe 1919, sin
dai primordi della fondazione, iscritto al nostro Gruppo.
Lo spirito e lo sguardo è giovanile, anche se il fisico è sofferente già da
parecchi anni, di una grave forma asmatica, decisiva conseguenza de quasi sei
anni dedicati al servizio della Patria nell'ultimo conflitto mondiale.
Già, patria, questa parola ormai inusuale, sostituita quasi sempre da
"Paese" rimane invece ferma nell'animo di questi uomini quanto mai
rari, quanto mai veri.
Davanti a un generoso bicchiere di vino bianco, inizia la storia fatta di
ricordi drammaticamente limpidi, come quasi non fossero passati cinquanta,
sessant'anni.
BASTIANELLO DOMENICO è nato il 23 novembre 1919 a Vittorio Veneto. Viene
arruolato il 10 marzo 1940 nella 67° compagnia Battaglione Alpini Cadore 7°
Rgt Divisione "Pusteria".
Mandato subito al Fronte Alpino Occidentale nei pressi di Cuneo, impara i primi
rudimenti dell'addestramento militare.
Combatte in Francia sino all'autunno 1940 per poi essere inviato al Fronte
Greco-Albanese sino all'estate 1941.
Dopo la disfatta in terra albanese, nel luglio 1941, viene mandato al Fronte
Jugoslavo nella regione del Montenegro.
Infine nel dicembre 1942, il ritorno al Fronte Occidentale nella Francia
occupata nei pressi di LES MAINES in Provenza,.
Durante l'otto settembre 1943 viene fatto prigioniero nei pressi del Frejus e
consegnato ad un campo di concentramento provvisorio locale.
Abile al lavoro, viene mandato in Germania presso i vari campi di lavoro di GRAD
BECK, vicino ESSEN e di BOCHUM, nelle gallerie di GELSEN KIRCHEN e nella linea
ferroviaria di Dortmund.
Viene liberato dagli americani il 10 aprile 1945, tornando a casa solamente il
17 agosto dello stesso anno.
E' stato decorato con 3 Croci di Guerra al Valor Militare.
Tante sono le rimembranze, tra le quali spiccano gli episodi succedutisi durante
la Campagna di Grecia Albania, quando per colpa di macroscopici errori e
superficiali congetture, fu decimato, per la prima volta, il fior fiore delle
nostre truppe alpine.
"Rimanevamo sorpresi i primi giorni - dice con gli occhi lucidi - a veder
tornare nelle retrovie quelli della "Julia" così sparuti, così
mesti, stanchi nel fisico e nel morale, ma di lì a qualche tempo, dovemmo
ritirare anche noi lasciando sul campo di battaglia tanti dei nostri".
Il suo incarico di attendente porta ordini lo portò spesso ad aver rapporti
stretti con i vari ufficiali.
In un frangente di battaglia, presso i Roccioni di Selany, nel marzo 1941 venne
ferito alle gambe il proprio Comandante di Plotone Ten. Giacomini.
L'ufficiale, di notevole stazza fisica, dolente e impossibilitato a camminare,
fu caricato in spalle dal nostro minuto alpino Bastianello, che sfuggendo ai
colpi nemici, lo portò in salvo sino al primo posto di soccorso medico, situato
aldilà di una ripida eroe.
Oppure nella Campagna di Jugoslavia, nei pressi delle "Bocche di Cattaro"
ove i nostri alpini della "Pusteria" erano spesso facili vittime dei
cecchini/partigiani di Tito.
Il rifiuto ad aderire ed arruolarsi con la Repubblica Sociale di Salò lo portò
in Germania, prima a rimpiazzare i posti di lavoro lasciati vacanti dai soldati
tedeschi al fronte, poi a ricostruire e a tamponare i vari danni dei
bombardamenti aerei americani sino alle liberazione nell'aprile 1945.
Dice ancora Bastianello: "Partivamo molto presto, prima dell'alba, per poi
tornare qualche ora dopo l'imbrunire, le ore della giornata erano divise fra il
lavoro e le varie fughe, per portarsi in salvo quando, suonando la sirena,
veniva segnalato un attacco aereo e per poi ritornare velocemente al proprio
posto, all'appello, quando cessava l'allarme".
Finito il conflitto, ritornò al lavoro di muratore, partecipò alla vita
sociale del Gruppo sino ai primi anni ottanta.
Poi i problemi di salute lo tennero un po' in disparte, ma l'orgoglio e la
fierezza d'esser alpino, gli stessi che aveva al momento dell'arruolamento, sono
rimasti intatti.
Egli chiede solamente, assieme agli altri reduci, non più guerre, non più
sangue, ma pace e rispetto per la vita altrui.
Il rispetto, aggiungiamo noi, che dovrebbe esistere da parte dello Stato per chi
più di altri ha dato il proprio contributo durante la pagina più dolorosa dì
questo secolo e si vede ricompensato con poco più di trecentomila lire al mese
di pensione di guerra, cifra irrisoria e vergognosa, davanti al continuo aumento
del costo della vita.
E' quasi sera quando lascio il nostro alpino che con gli occhi intensi di
gratitudine mi saluta.
Dentro di me lo ringrazio per avermi fatto capire ancora una volta cosa sia in
sostanza il valore della vera "ALPINITA' "
Renzo Sossai, 1998