Storie dei nostri veci |
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DON GIUSEPPE TONON |
Capitano degli alpini e pluridecorato,
Don Bepi, essendo libero da impegni parrocchiali,
nel 1971 fu il secondo cappellano della Sezione di Conegliano in contemporanea
con la Sezione di Vittorio Veneto. Così troviamo scritto in Fiamme Verdi di
quell’anno:
“È terminato anche per la Sezione di Conegliano il periodo di Sede Vacante, per il
posto di Cappellano. Infatti, dopo la dolorosa dipartita dell’amato Mons.
Sartor, eravamo rimasti senza assistente spirituale e si andava, ad ogni
cerimonia, alla ricerca di un Sacerdote che celebrasse per noi funzioni e
benedizioni. A dire il vero però non abbiamo fatto tanta fatica, perché con gli
alpini tutti si trovano bene e vanno d’accordo. Ora esultate Alpini! L’abbiamo
trovato il Cappellano; un Cappellano tutto per noi e solo per noi, un cappellano
che ti assolve se scappa qualche... racchetta, un cappellano che ascolta
comprensivo le tue barzellette, un cappellano che sa bere con te nello stesso
gavettino perché ha vissuto vita, vicende, tragedie e glorie degli alpini. Chi è
costui? Ve lo presento: Don Giuseppe Tonon, nato a Conegliano, classe 1895,
Capitano Alpino e dopo Cappellano. È una presentazione semplice, ma che ci dice
tutto se a questa nota aggiungiamo la sua cordialità, la sua bontà, il suo
spirito e il suo sorriso paterno e benevolo. Egli ha accolto con piacere la
proposta del Consiglio Sezionale, l’ha accettata con entusiasmo, senza chiedere
permessi a nessuno perché è un Sacerdote... disoccupato e senza Parrocchia.”
Straordinaria la sua storia di uomo, prima in grigioverde e poi in abito talare.
Egli fu arruolato nell’autunno del 1914 come soldato semplice, fu assegnato al 7°
Reggimento Alpini, btg Cadore, 68ª Compagnia, seguendo il reparto nei suoi vari
spostamenti: Belluno, Padola, Col Quaternà. Data la sua preparazione scolastica
superiore frequentò un corso regolare per aspiranti ufficiali uscendone con il
grado di tenente. Nel gennaio del 1915 fu assegnato al Monte Argentera
del 2° Alpini per poi tornare ancora al 7°. Partecipò alla guerra 1915-18 nelle
azioni alpine d’alta quota sul Monte Cavallino e sull’Altissimo, e poi ancora al
Passo della Sentinella e nel calvario dell’Ortigara per finire sui Solaroli del
Grappa. Tutti luoghi che hanno visto nascere la leggenda delle Penne Nere. Venne
congedato nel novembre 1919 con il grado di capitano per indiscussi meriti di
Guerra.<
“Un
bel fegataccio, il suo!- continua l’articolista -e non poteva essere che così, se ora è diventato cappellano
della nostra Sezione.”
Nel primo dopoguerra, profondamente turbato dagli orrori e le sofferenze umane che aveva vissuto e visto, sentì imperiosa la voce del Signore che lo chiamava al suo servizio ed entrò nel seminario di Vittorio Veneto per la preparazione teologica al sacerdozio “…ed il resto a noi poco interessa.- conclude Fiamme Verdi -L’essenziale è che egli è un alpino come noi, un cuore aperto e generoso come noi, un sacerdote nel vero senso della parola, che alla Fede unisce l’amore per la Patria, il Tricolore e la Penna Nera. Salutiamo con fraterna amicizia e schiettezza e nel contempo con rispetto e formuliamo da questo giornale, al nostro caro Cappellano Alpino, gli auguri più affettuosi e più sinceri con la certezza che troverà in noi il ricordo dei suoi Veci.”
Venne ordinato sacerdote nel 1930 e dopo essere stato cappellano a Moriago, Ceggia, Codognè, Rua di Feletto e curato ad Arfanta, fu nominato parroco di Tovena, dove seppe pure dimostrare il suo coraggio a protezione del suo gregge minacciato dalle rappresaglie antipartigiane portate da violenti reparti nazi-fascisti nel periodo fratricida del 1943-45. Nel 1969 si ritirò nella mansioneria di Orsago. Accettando l’incarico di Cappellano sezionale, nel 1971, così si presentò ai suoi Alpini di Conegliano: “Riporto un pensiero di San Paolo: essendo libero da tutto, mi sono fatto servo di tutti per la salvezza di molti; dunque, io sono con voi, per voi partecipando alle vostre gioie, ma anche alle vostre sofferenze, al vostro dolore, perché è chiaro che la nostra vita è così intralciata. L’Alpino, di tutto questo è a conoscenza e ha una sua storia, come tutti gli uomini, una storia, però, con la propria libertà e responsabilità, con il proprio compito, con il suo fine. Non una storia solo di dimensione individuale, ma, essendo legato ad altri Alpini, ognuno porta la storia dell’intera famiglia, perciò ogni valore individuale, va ad accumulare il grande tesoro depositato nella storia della Famiglia Alpina. Alpini, difendiamo con coraggio, tenacia e perseveranza questi valori che sono accettati e graditi dalla nostra cara Patria l’Italia! Nelle nostre adunate di Gruppo, Sezione e Nazionali, noi vogliamo che il Tricolore garrisca al vento accanto alla selva dei nostri Gagliardetti sui quali fu aspersa l’acqua benedetta, perché vengano baciati e difesi da qualunque profanazione. Continuiamo con le nostre aperte e schiette dimostrazioni di fraterna amicizia, frutto di un amore che ci unisce e porta quella nota allegra che rende lieti gli animi a quanti ci stimano.”
Morì il 26 settembre 1977 dopo pochi giorni di malattia. Venne sepolto nel cimitero di Scomigo, accompagnato dal reverente saluto del presidente Vallomy: “La sua presenza tra noi, nelle cerimonie ufficiali e negli incontri con i nostri soci,- disse -è stata utilissima, sempre gradita, e meritevole di perenne riconoscenza.”