Storie dei nostri veci |
|
GIORDANO DE FAVERI |
Maggio 2013
Il 31 dicembre del 2012, sono stato invitato a casa di un nostro paesano,
l'alpino combattente reduce della seconda guerra mondiale GIORDANO DE FAVERI di
95 anni portati splendidamente che mi ha raccontato con lucidità veramente
sensazionale un periodo di vita vissuta durante la guerra.
Giordano, figlio di Annibale De Faveri di Soligo e Teresa Mazzero di Solighetto,
è il quarto di sei fratelli (Maria - Antonio - Giovanna - Giordano - Giacomo -
Gigetto) nato il 07 giugno del 1917, oggi è ancora presente tra noi insieme al
fratello Giacomo del 1919.
Venne arruolato nella 22° Batteria del 5° Rgt Artiglieria Alpina “PUSTERIA” del
Gruppo “Belluno” dopo aver superato le visite mediche presso il Distretto
Militare di Treviso, era l’11 maggio del 1935.
Durante il Servizio Militare, della durata di 18 mesi, partecipò a 5 campi
estivi e 4 campi invernali: ogni giorno camminavano per 40/50 km a piedi con lo
zaino in spalla e durante l'ultimo campo estivo Giordano fu scelto insieme a
nove suoi commilitoni per portare il cannone presso la Cima Grande di Lavaredo
agli ordini dell'allora Capitano Zaccherini.
I muli portarono il cannone fino alla base della Cima Grande di Lavaredo e poi i
relativi pezzi smontati furono portati in spalla dai militari con non poche
difficoltà seguendo le direttive dell'allora capo cordata Antonio Rizzardi di
Auronzo, pezzi che pesavano come macigni: la bocca di fuoco era pesante 106 kg,
la testata 117 kg e la coda con le relative ruote 107 kg.
La sosta sulla Cima durò sette giorni dove furono sparati dei colpi a salve
dopodiché rientrarono alla base non prima di aver scolpito il loro nome proprio
sulla Cima (ancora oggi mi racconta Giordano, il suo nome è scritto insieme a
tanti altri che in quei periodi giunsero su quella vetta).
Passati i canonici 18 mesi, tutti erano pronti per il saluto di congedo per
rientrare nelle loro case ma la classe del 1917, di cui Giordano faceva parte,
non fu congedata regolarmente ma mandata ai lavori senza che nessuno sapesse il
motivo.
Presso la loro caserma, furono estratti i nominativi di 20 persone che dovevano
partire immediatamente per una destinazione ignota, Giordano fu proprio uno di
loro. Portati alla stazione ferroviaria di Belluno e caricati su un vagone merci
di un treno che giungeva da Calalzo il giorno successivo giunsero a Vipiteno
alla caserma di Artiglieria Alpina della Divisione Tridentina dove sostarono per
circa 10 giorni. Furono svestiti degli abiti militari e vestiti con abiti civili
prima di essere collocati su un vagone di un treno proveniente da Monaco
all’oscuro di quale fosse stata la loro meta.
Al porto di La Spezia salirono sulla nave mercantile “Umbria” con destinazione
Barcellona ma non arrivarono mai a Barcellona perché furono dirottati a Cadice
dato che in quel periodo in Spagna era in atto la Rivoluzione di Francisco
Franco, Generale che manifestava idee filofasciste grazie anche ai consistenti
aiuti della Germania nazista e dell’Italia fascista e che di lì a poco diede
vita alla dittatura franchista.
La guerra civile fu il banco di prova dello scontro che avrebbe di lì a poco
contrapposto le dittature nazi-fasciste alla dittatura comunista dell’Unione
Sovietica ai paesi democratici dell’occidente.
Dopo 4/5 mesi trascorsi tra Valencia e Cadice, Giordano fu costretto dalle
milizie del posto ad indossare la divisa “coloniale”.
Rientrato in Italia sempre con la nave “Umbria”, giunse al porto di Napoli e
sostò per un periodo presso la caserma di Castellamare di Stabia prima di
rientrare nuovamente a Belluno. Da qui, dopo un paio di giorni, dovette
ripartire con destinazione Albania, dove era in corso la guerra.
Dopo un viaggio travagliato in treno fino a Brindisi e poi in nave fino al porto
di Vallona, non potendo attraccare in quanto erano in atto dei bombardamenti,
per giungere sulle rive dell’Albania, fu costretto a salire su un barcone.
Lo scopo della missione sua e dei suoi “compagni di viaggio”, era quello di
andare in aiuto ai soldati della Brigata Julia. Giunti ai piedi di un colle,
montarono le loro tende e fu proprio qui che un bel giorno, all’ora del rancio,
Giordano scorse degli aerei inglesi che passavano a bassa quota per bombardare.
Tra loro ci furono due vittime, un Sottufficiale ed un Sergente Maggiore; anche
Giordano fu colpito (ancora oggi porta i segni di una scheggia conficcata sul
collo) ma riuscì a scappare e a nascondersi.
Successivamente assistette a diversi attacchi ed in particolar modo il ricordo
di Giordano si sofferma su un fatto tragico accaduto ad un militare suo coetaneo
di Altivole che dopo essere stato colpito, senza una mano e senza una gamba, fu
portato proprio da Giordano nei pressi dell’ospedale da campo e sul punto di
morte disse a Giordano di non dire niente a casa e poi spirò. Nel ricordo di
questo fatto, ancora oggi gli occhi di Giordano diventano lucidi e una lacrima
scende sul suo viso.
Dopo l’Albania, ecco un nuovo ordine, partire per il Montenegro dove partigiani
e ribelli, stavano combattendo contro le truppe di Mussolini e di Vittorio
Emanuele III.
Inverno freddissimo: Giordano ricorda che durante le notti sfioravano i 40°
sotto lo zero, mangiavano poco e male, in assenza di igiene.
Con le lacrime agli occhi, Giordano mi racconta di un altro paesano incontrato a
Plevia sul Montenegro che era ridotto pelle e ossa.
Ogni giorno scene di guerra, di strazio, numerosi alpini uccisi e sepolti in una
fossa comune con una croce a testimonianza di un ricordo.
Rientrò in Italia presso Venaria Reale in provincia di Torino dove in quel
periodo si era trasferita la sua Batteria per una licenza che durò circa un mese
e anche quel viaggio di ritorno fu un’odissea: il treno dove viaggiava fu preso
d’assalto e il vagone dove lui stava fu uno dei pochi a non subire dei danni.
Successivamente ripartì per Ventimiglia e la Costa Azzurra.
L’8 settembre del 1943 data dell’Armistizio, Giordano riprese il treno per
l’Italia, e prima di giungere al suo paese, fu vittima di diverse rappresaglie,
si nascose diverse volte all’interno di qualche stalla. Fortuna volle che
finalmente un bel giorno bussò alla porta di casa e scoppiò in lacrime, era
davvero rientrato al suo paese, era a Soligo.
Si sposò e dal matrimonio nacquero tre figli, Renzo, Maria Grazia e Virginio.
Anche il dopoguerra non fu un periodo dei più facili ma l’aver vissuto anni con
l’angoscia e la paura di morire o a causa di un bombardamento o per stenti,
hanno rafforzato l’animo di Giordano che per racimolare qualche soldino, emigrò
all’estero in Francia dove lavorò diversi anni in un’impresa con la qualifica di
carpentiere.
Oggi Giordano alla nobile età di 95 anni attorniato dal sottoscritto e dal
Capogruppo Carlo Dal Piva, ha ripercorso gli anni della guerra e vi garantisco
che è stata un’emozione grande sia per lui che ce l’ha raccontata, sia per noi
che l’abbiamo ascoltata.
Valter Ballancin