Storie dei nostri vecii |
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GIOVANNI DALLA CIA |
FIAMME VERDI dicembre 1995
E' una fredda e cupa giornata di fine gennaio.
Sono da poco passate le tre del pomeriggio e Giovanni Dalla Cia scende
dal trattore con cui ha appena fatto il giro dei campi e rientra in cucina per
il primo dei rituali bicchieri del pomeriggio.
Osserva attraverso la
finestra la campagna: sembra ancora più desolata ora che il vento è cessato
e tutto è immobile. Per tutta la
mattina ha soffiato con rabbiose intermittenze, ricacciando gli scriccioli
infreddoliti nella siepe e annunciando imminente la burrasca.
Ora la calma
ed il silenzio sembrano quasi irreali.
Sono giorni che va avanti così qui
in Palù, giornate corte ma lunghe da passare.
Giovanni osserva il vigneto dietro casa: le viti sono potate e le
teorie dei filari ordinati aggiungono nuove geometrie alle geometrie dei campi
e delle siepi. Chissà come sarà
la prossima annata, chissà se il verdiso avrà lo stesso aroma di quello di
quest'anno, sublime ed ineguagliabíle...
Accende una sigaretta, la prima
delle tre "alfa" che si concede ogni pomeriggio (fanno parte
anch'esse del rituale pomeridiano) e butta l'occhio sulla foto incorniciata,
appesa al muro, che lo ritrae vigoroso e fiero trombettiere del Gruppo
Conegliano 55 anni fa. La memoria
indugia così sui "bei tempi", quando alla caserma
"Cantore" di Tolmezzo anche i muli si mettevano sull'attenti allo
squillo della sua tromba.
Sette anni in grigioverde, Campagna di Grecia,
Albania e Russia, da dove ritornò senza tromba ma vivo.
Fame, freddo, vicende inenarrabili, tragiche ma anche incredibili, come
quando venne catturato dai Russi assieme ad un gruppo di soldati Tedeschi:
accortisi che tra i prigionieri c'era un italiano, i Sovietici lo avevano
spinto fuori dal gruppo dicendogli «Italianski koroscir» (gli Italiani sono
buoni) e lo avevano lasciato andare dopo averlo rifocillato di pane e
sigarette. Ed è difficile spiegare come, dopo tante sofferenze e
vicissitudini, egli continui a ringraziare la fortuna per essere stata tanto
benevola nei suoi confronti. Forse
è solo umana pietà verso coloro che dopo aver combattuto come lui una guerra
incomprensibile, ora giacciono sotto una terra che non è la loro, senza un
fiore o addirittura una tomba.
Giovanni ritorna con lo sguardo sulla
campagna, sulle nuvole scure che compaiono all'orizzonte di un cielo plumbeo e
sulle montagne coperte di neve. Gli
amici con questo freddo se ne staranno rintanati in casa; sarà una serata
triste ed incolore...
Ma ecco una improvvisa animazione provenire dalla
parte dal cortile; un ragazzo corre sul suo campo, seguito da un altro ed un
altro ancora, in preda ad una strana eccitazione.
Esce in cortile e scopre che a decine si stanno dirigendo verso la sua
casa, chi in motorino, chi in macchina. E
mentre si chiede cosa stia succedendo, alzando gli occhi al cielo rimane
impietrito davanti allo spettacolo che gli sta davanti e che mai prima d'ora
ha avuto occasione di ammirare: un gigantesco pallone aerostatico dai,colori
sgargianti sta planando lentamente sul suo campo.
Lo spettacolare volo dell'enorme mongolfiera ha naturalmente attirato i
curiosi che da tempo ne stavano seguendo la rotta.
Per ammirarla sono giunti da Cordignano, Codognè, Orsago...
Ultimato
l'atterraggio i tre uomini che costituiscono l'equipaggio provvedono alle
complesse operazioni di recupero. A
queste partecipa anche Giovanni, sistemando nel rimorchio del trattore le
pesanti bombole di gas. Per il
recupero della cesta, del peso di nove quintali, è necessario far intervenire
il trattore di Rico, il vicino, provvisto di sollevatore.
Attraverso
l'interprete Dino, nipote di Giovanni, che si arrangia con il tedesco, i tre
si scusano per il disturbo: sono cittadini germanici; partiti otto ore prima
da una cittadina austriaca, sono stati portati fuori rotta da una violenta ed
improvvisa corrente di vento. Oltretutto
un guasto alla radio ha fatto perdere loro ogni contatto, e sono addirittura
sorpresi di trovarsi in territorio italiano.
«Mai paura» li rassicura
Giovanni, che mette a disposizione il suo telefono affinché possano
contattare gli amici in Germania. Ora
non resta che aspettare il furgone attrezzato su cui caricare la mongolfiera;
il suo arrivo è previsto fra cinque ore.
A questo punto l'avventura sembra
finita. Ma...
I tre chiedono informazioni su un ristorante per la
cena: non mangiano infatti da più di dieci ore.
Ma non sanno che nella loro discesa d'emergenza sono finiti nel campo
dell'alpino Giovanni Dalla Cia, che con logica personale e molto schietta
sostiene che essendo "al balòn" caduto sulla sua proprietà ora i
tre sono suoi ospiti: e per un alpino l'ospitalità è sacra!
Ed intanto la
signora Luigia ha attizzato il caminetto esterno alla casa e sulla stufa già
bolle la pentola. Tanto per
ingannare l'attesa, Giovanni mette in tavola una bottiglia di verdiso che i
tre degustano a piccoli sorsi. Consumato
il primo bicchiere vi mettono la mano sopra per impedire al padrone di casa di
riempirlo... ma la resistenza dei tedeschi è sempre più fragile e già le
bottiglie aperte sono due e tre.
Gli ospiti si sprecano in "gut!! gut!!"
e attraverso l'interprete confessano di non aver mai degustato un nettare così
buono.
Poi finalmente arriva in tavola la pastasciutta al pomodoro.
Gli ospiti apprezzano e sollecitati dalla signora Luigia, porgono il
piatto per il bis ed il tris. La
stessa confessa di non aver mai visto nessuno “magnar cussì de gusto”.
Intanto Giovanni non ci sta dietro a far la spola in cantina.
Poi arriva la carne alla brace con le patate ed i radicchi rossi di
campo. I tre ora non coprono più
il bicchiere con la mano quando Giovanni lo riempie.
Ed anche per la carne c'è il bis, e succede che ogniqualvolta la
Luigia entra con le portate Gustav l'abbraccia.
Ora Giovanni è passato al cabernet, che i tre definiscono ancora più
sublime del bianco. Ad ogni
bicchiere Joseph e Gunter si alzano ed esclamano «Johanne». Il clima si è
decisamente riscaldato. La signora Luigia, galvanizzata dal riconoscimento
internazionale della sua cucina, porta in tavola i suoi sottaceti ed i funghi
di bosco sott'olio: baci e abbracci, corali approvazioni.
Ora la presenza
dell’interprete è del tutto superflua. Dino saluta e si congeda.
Alle ventidue arriva il furgone dalla Germania con una coppia di amici
che subito vengono invitati ad unirsi a tavola all'allegra compagnia. E la
festa ricomincia.
Alla fine le bottiglie vuote saranno quasi… una
trentina! Anche perché il buon Giovanni, da bravo alpino, non si è certo
tirato indietro.
Poi il caffè con correzione, e correzioni varie senza caffè.
Il
congedo è sofferto ed i saluti ed i ringraziamenti interminabili.
Per
sdebitarsi i tre verranno un giorno a prelevare Giovanni per un viaggetto in
mongolfiera. Lui accetta, anche se dopo confesserà che "nel balòn"
non salirà neanche per tutto l'oro del mondo. Il furgone parte (Gustav vi è
stato caricato quasi di peso, Joseph vi è entrato disteso) ma si ferma alla
fine del viale che immette nel cortile per un altro saluto...
La luna questa
notte sembra una lampada lasciata accesa dal
padrone che non bada a spese, tanto risplende ora che il vento ha
ripreso minaccioso, spazzando via tutte
le nuvole.
Gianfranco Dal Mas