Storie dei nostri veci |
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GIOVANNI MORANDIN |
Giovanni Morandin è nato a Corbanese di Tarzo, il 13 febbraio 1922.
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Il 2 febbraio 1942, egli venne arruolato nel Regio
Esercito Italiano. I primi rudimenti d’addestramento gli furono impartiti a
Conegliano.
Artigliere della Punteria, nel giugno del 1942, fu inviato nel Kosovo e poi in
Albania, ove al proprio reparto, vennero assegnati compiti di presidio.
L’incarico del nostro Giovanni era quello di conducente e in subordine, quello
di portantino.
Prima dell’estate 1943 venne mandato in Montegro, nei pressi delle Bocche di
Cattaro, precisamente a Bielo Polie. I sui compiti erano sempre gli stessi, ma
in questa nuova destinazione, infuriava la guerriglia dei partigiani di Tito. Ai
soldati italiani pur occupanti, specialmente gli alpini, era facile
intrattenere, solari di carattere come erano, cordiali rapporti con la
popolazione locale.
Figurarsi il nostro Giovanni già di bell’aspetto che era sempre affabile e
sorridente. E così, scambiando alcuni viveri di conforto, otteneva spesso un
buon pasto e il lavaggio della biancheria personale. Non poteva però, pensare a
priori che in quella casa, presso la famiglia Popovie avrebbe trovato una bella
ragazza mora di Giovanna, che sarebbe diventata il grande amore di tutta la sua
vita.
La notizia dell’armistizio dell’Italia con le Forze Alleate, lo colse alle
ore 17 dell’ 8 settembre. Il comandante del suo reparto, vista la soverchiante
presenza delle forze tedesche,decise nella notte di far consegnare tutto
l’armamento in dotazione, al “nuovo” nemico. Iniziò così per Giovanni ed
i suoi commilitoni, la triste e devastante esperienza della prigionia. I
tedeschi si dimostrarono ancor più crudeli e irascibili che in altre occasioni,
essi sfogarono sui prigionieri tutta la rabbia per il tradimento.
Sistemati in ricoveri più adatti alle bestie che agli uomini, parecchi
internati furono trovati morti nel sonno, indeboliti dal misero rancio composto
da disgustose e puzzolenti brodaglie, sfiniti dalle quasi 20 ore al giorno di
fatiche più disparate in qualsiasi condizione climatica. I prigionieri nella
migliore delle ipotesi, venivano mandati ai lavori agricoli ma se serviva,
venivano impiegati per lo scarico e il carico a mano di vagoni ferroviari o
anche nello smantellamento e riciclo di materiali edili. Per chi non era rapido
nell’eseguire un ordine, (più che altro per inedia) o per chi obbiettava un
trattamento più umano, c’era la fucilazione immediata e sommaria, eseguita
sulla piazza davanti a tutti, in modo che servisse da esempio. Ai commilitoni
dei fucilati, non rimaneva poi che scavare la fossa, per dare a quest’ultimi
una decente sepoltura. Giovanni si sforzava di fare buon viso a
cattiva sorte rispondendo sempre di sì ad ogni richiesta. La storia d’amore
con Giovanna proseguiva con fugaci incontri, vista la situazione esistente. Ma
forse tutto ciò, plasmò con forza e vigore il loro rapporto.
Infatti, con l’aiuto di qualcuno vicino al comando tedesco, riuscirono
coronare il sogno del matrimonio.
Il 14 maggio 1944 Giovanni e Giovanna si sposarono e la cerimonia terminò poco
prima che nella località del Montenegro, si scatenasse l’offensiva
avversaria, con colpi di mortaio e mitraglia. Il trambusto causato dalla
battaglia, impedì ai novelli sposi di poter passare assieme la prima notte
nozze e Giovanni ritornò al suo misero alloggio. Intanto numerose tradotte
ferroviarie con stipati i prigionieri di ambo i sessi, partivano dal Montenegro
per luoghi di destinazione ignoti.
I tedeschi mentendo, dicevano di voler rimpatriare le coppie sposate, invece ad
un certo punto il convoglio si fermava, le donne venivano inviate quasi sempre
in Italia, mentre i vagoni con a bordo i maschi, finivano sistematicamente in
Germania, probabilmente nei campi di concentramento. Toccò anche ai coniugi
Morandin quest’avventura, nel luglio 1944.
Filtrata la voce di quale triste epilogo li aspettasse, giunse inaspettatamente
una potenziale soluzione a tutto ciò.
I macchinisti infatti, in uno slancio d’umanità, avvisarono di nascosto i
prigionieri, che durante il tragitto che si stava per compiere, in un
determinato punto, ci sarebbe stato un rallentamento, segnalato precedentemente
con tre fischi del treno. A proprio rischio e pericolo, questa era dunque un
opportunità di fuga. Giovanni colse quest’ occasione,gettandosi nella
scarpata. Rimasto illeso dalla caduta, egli restò costernato dalla visione dei
resti umani di chi aveva tentato come lui di scappare e non aveva avuto la
stessa fortuna. Queste crude e terribili immagini gli rimarranno per sempre
indelebili nella propria mente. Durante la fuga, cambiando la sua lacerata
divisa con un'altra trovata in uno stato migliore, perse la piastrina di
riconoscimento. Dopo qualche giorno venne ripreso e rischiò la fucilazione.
Intanto Giovanna era arrivata a casa Morandin a Corbanese.
Di lì a pochi giorni, sarebbe giunta la notizia, che il ritrovamento della
piastrina di Giovanni significava la sua probabile morte, proprio ora che aveva
scoperto di essere incinta. Egli era ancora vivo, seppur non proprio in gran
forma, per tutte queste vicissitudini. Era tornato alle sue solite mansioni,
controllato ancor più di prima. Il 31 ottobre 1944, mentre assieme ai suoi
compagni stava sistemando il manto di una strada, su di un valico di montagna
montenegrino a circa 1500 metri d’altitudine, colpi di mortaio ferirono
Giovanni ad una gamba, il quale accorgendosi che un suo commilitone aveva un
piede completamente dilaniato, abbracciandolo si arrotolò sotto l’arco d’un
ponticello di un corso d’acqua. Lì si ripararono dagli altri colpi sparati.
In quel frangente meritò la seconda croce di guerra, ma soprattutto ricevette
la gratitudine e l’ amicizia eterna dell’altro sventurato, tale Roberto
Nicolai da Pistoia. Assieme passarono sei mesi in ospedale in Montenegro, poi
via mare arrivarono a Bari per proseguire per Pistoia, ove Giovanni fu ospitato
dall’amico per oltre un mese. Rifocillato a dovere, guarito alla gamba, (anche
se rimarrà più corta dell’altra e poi per questo riceverà una piccola
pensione) risalì con passaggi di fortuna sino a Conegliano, ove arrivò il 5
maggio 1945. A Conegliano, per giunta, venne trattato in malo modo da alcuni
pseudo partigiani che poi ascoltando tutte le sue disavventure, si scusarono
vergognandosi. Arrivò finalmente a Corbanese. I famigliari e i conoscenti
rimasero prima impalliditi e increduli, poi tutto sì trasformò in un grande
abbraccio, fra pianti dirotti di commozione ed urla di gioia. Emozionante e
dolcissimo fu l’incontro con Giovanna che non credeva ai sui occhi e che in
braccio portava Livio di pochi mesi. Dopo Livio, giunse Elena ad allietare
l’unione, poi i nipoti e i pronipoti. Da una ventina d’anni, i coniugi
Morandin risiedono a Sarano di S. Lucia di Piave e da una decina, Giovanni è
iscritto al gruppo A.N.A. santalucese.
Il 14 maggio 2004, Giovanni e Giovanna hanno festeggiato il 60° anniversario:
le Nozze di Diamante. E ancor più di mille diamanti, vale questa meravigliosa
storia, che a tutti dona l’esempio più sincero d’amore e di speranza, sorti
dalla malvagità e dalla crudeltà della guerra.
Gli Alpini rinnovano le felicitazioni più affettuose e sincere alla coppia di
sposi.
Renzo Sossai
da sx Giovanna e Giovanni Morandin con le due pronipoti Elisa e Veronica.