Storie dei nostri veci |
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GUIDO DA RE |
Aprile 2006
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Guido Da Re era nato a Godega il primo giugno del 1955 da Tarcisio
“Marchét”, meglio conosciuto come “Cio Cursòr”, il vigile del paese, e da Assunta Pagotto. Due le sorelle,
Lina e Nicoletta.
Sono passati trent’anni da allora ma me lo ricordo bene, Guido. Da
alcuni mesi frequentavo la comunità di Godega nella quale mi stavo inserendo in vista del mio matrimonio con una del
paese e dove sarei poi andato ad abitare. Così, dopo la messa delle dieci, mi fermavo a discorrere del più e del meno
con gli altri parrocchiani per farmi conoscere. E proprio una domenica di aprile del 1976 ebbi modo di parlare con
Guido: era la prima volta e non immaginavo che sarebbe stata l’ultima. Era appena arrivato da Pontebba in moto con un
suo commilitone e indossava la divisa da artigliere alpino. Sul sagrato della chiesa si stava intrattenendo con gli
amici e fioccavano risate e pacche sulle spalle. Mi avvicinai al gruppetto, gli tesi la mano presentandomi e
spiegandogli che anch’io ero un alpino della Julia e che mi ero congedato da poco.
Parlammo un po’ della naja in generale, mi disse che era del “Gruppo
Belluno” e che a breve sarebbe stato trasferito a Gemona, all’autocentro della caserma “Goi”, per conseguire
il patentino della campagnola. Solo poche parole prima di essere portato via dagli amici.
Ecco, di Guido mi resta questo frammento cementato nella memoria: un
ragazzone alto e pieno di vita, una leggera stempiatura che gli conferiva un’aria più matura della sua età, due occhi
buoni e una mano alzata in segno di saluto come per dire “scusa, devo andare, continuiamo il discorso un’altra
volta...”.
Questa è l’immagine che rivedo ogni volta che, visitando il cimitero,
passo davanti alla sua tomba su cui spicca una lastra di marmo grezzo con in bassorilevo una lucida “penna mozza”,
posata dagli alpini del Gruppo di Godega-Bibano, o quando cerco la sua stele di bronzo brunito su al nostro “Bosco”
di Cison.
Suono il campanello della famiglia Da Re che abita al pianterreno di una
“casa operaia” sulla Pontebbana, ai confini con Orsago. Aspetto un po’ sulla soglia e sto per andarmene quando il
portoncino d’ingresso si apre a spiraglio e una voce sospettosa mi chiede chi sono e cosa voglio. Quando la signora
Assunta mi riconosce “Ah, il maestro...”, mi fa entrare e si scusa dell’attesa, ma soffre di forti dolori alla
schiena ed è costretta a letto. Le spiego che sono mandato da “Fiamme verdi”, il giornale degli alpini della
nostra sezione per scrivere qualcosa di Guido, nel 30° anniversario del terremoto.
Le parole le escono a fatica, capisco che per lei ogni ricordo è una
stilettata, ancor oggi non sa darsene una ragione.
“Quando gli giunse la cartolina precetto, per finire gli studi e
conseguire il diploma di geometra presentò, d’accordo con suo padre, domanda di rinvio allo scaglione successivo.
Che tragica fatalità.- racconta con il cuore gonfio di dolore -Non c’era alcun motivo di chiedere il rinvio, ma
Guido aveva paura di essere rimandato, invece... quei sette mesi di ritardo gli sono costati la vita. Io non volevo, ho
cercato di dissuaderlo, pareva quasi che me lo sentissi.”
Assunta, con movimenti lenti e faticosi dovuti all’artrosi, si
avvicina ad un cassetto, ne leva una cartellina da cui sfila un piccolo documento. È il tesserino di riconoscimento di
Guido, qualifica “conduttore”, rilasciato a Pontebba il 17 marzo 1976 dal Comando della 23ª, se lo passa con
cautela sulla manica della maglia un paio di volte, quasi a toglierne l’opaco velo del tempo, ne fissa con tenerezza la
foto e me lo porge.
“Era un bravissimo ragazzo, generoso ed ubbidiente,- :
dice -si dedicava allo studio e non usciva mai di sera, nutriva una grande passione per la meccanica... Io e
mio marito, parlando di Guido, si diceva che lui era il migliore della famiglia e sarebbe stato il nostro orgoglio, il
nostro futuro. Si preoccupava di noi e soprattutto della sorella minore...- le parole le si smorzano in gola, mentre
si asciuga gli occhi. -Non era giusto che il Signore ce lo prendesse così, no. Non è facile accettare la sua
volontà.”
Sono passati trent’anni da allora, ma per
Assunta è come se fosse successo appena ieri e viene presa da un vortice impetuoso di ricordi struggenti, come se un
cancello si fosse improvvisamente aperto nella sua mente, liberando immagini di un’esistenza solo sognata. Semplici
reminiscenze, vividi flashback e aneddoti di Guido bambino, Guido ragazzo, Guido studente, Guido alpino... a rischiarare
e illuminare, come polvere di stelle o luminescenza di comete, la fredda notte del dolore e del rimpianto.
“Quando quel maledetto giorno del sei
maggio la casa tremò e si seppe che l’epicentro del sisma era in Friuli, il nostro primo pensiero corse a Guido. “Cio”
provò a telefonare in caserma, ma la linea era interrotta e la mattina presto, di buon’ora, partì per Gemona. Mi
raccontava che, mentre s’addentrava nelle zone colpite dal terremoto, vedendo quella distruzione, fu preso dall’angoscia
e da un nero presentimento che gli serrava il cuore. A fatica superò i posti di blocco e giunse a Gemona. Di fronte alle
macerie della caserma “Goi”, cominciò a chiedere di Guido, ad ognuno che incontrava domandava se avessero visto
l’artigliere Da Re Guido di Godega. Niente. Si presentò alla tenda comando dove, di fronte alle sue insistenze ammisero
che non sapevano ancora nulla di lui. Anche i suoi compagni di camerata, visibilmente sgomenti e shoccati, davano solo
risposte frammentarie e confuse, poveretti. E poi lo trovarono... era sull’ultima rampa di scale, a pochi passi dalla
porta, dalla salvezza... Accanto a lui c’era il corpo del suo migliore amico che, non vedendolo, era tornato indietro
per cercarlo. È morto nel tentativo di salvare Guido... – e si porta il fazzoletto agli occhi. -”Cio”- continua dopo
una breve pausa – da quel giorno non si è più ripreso, tanto da morirvi alcuni anni dopo di crepacuore. Io l’ho visto
spegnersi lentamente: con Guido era morto anche lui. Una famiglia, la nostra, distrutta in un baleno...”
Dalla cartellina prende ancora la
corrispondenza ricevuta dai commilitoni di Guido che, loro sì, avevano avuto la fortuna di uscire in tempo dalla
trappola di cemento, prima che la caserma si accartocciasse su se stessa, seppellendo lui e tanti altri loro amici. Ci
sono anche le lettere strazianti degli altri genitori colpiti dalla stessa tragedia con cui si cercava di darsi coraggio
vicendevolmente, di darsi forza e animo per accettare il destino, per affrontare il futuro.
“Oggi Guido avrebbe cinquant’anni,
sarebbe stato il bastone della mia vecchiaia...”
Mi alzo. Basta, mi dico, basta così, mentre
ricaccio a fatica il groppo in gola e la commozione mi prende a tradimento. Continuare sarebbe come violare l’intimità e
scalfire ancora l’anima di questa vecchia e sconsolata madre con la ferita ancora aperta e sanguinante di dolore, un
trauma lacerante che non potrà mai guarire. Mi accompagna alla porta e si scusa ancora se non mi è stata di tanto aiuto.“Grazie
per aver ricordato Guido. Era un ragazzo d’oro. Mi saluti tutti gli alpini, se egli fosse qui ora sarebbe uno di voi.”
Ne siamo certi.
Artigliere alpino Guido. Da Re, presente!
Trent’anni. Una vita, e sembra ieri! Ciao Guido, uno di noi da sempre, per sempre!
Giorgio Visentin