Storie dei nostri veci

MONDO PIAIA


Agosto 2018

L'intervento di Isabella Gianelloni in occasione della dedica di una sala del Museo degli Alpini a Raimondo Piaia.

"Mondo" è andato avanti alla soglia dei suoi 90 anni, dopo aver attraversato buona parte del secolo scorso, un periodo di grandi entusiasmi, grandi conquiste, grandissime e immani tragedie, sopra a tutte le due guerre mondiali.

Della prima stiamo commemorando il centenario della fine, la seconda ha segnato fratture non ancora ricomposte, ferite non ancora guarite, decine di milioni di morti, più fra i civili che fra i militari, proporzione che mai, prima, si era verificata, con l'esplosione, alla fine, di due ordigni nucleari. In quegli anni l'umanità pareva avere davvero perduto per sempre ogni spiraglio di ragione.

Noi oggi ne conosciamo lo svolgimento, le battaglie, gli antefatti, i protagonisti; sappiamo, come europei, che dopo l'epoca delle dittature e degli stermini il nostro vecchio continente ha saputo dotarsi di costituzioni democratiche, grazie al sacrificio di tanti che hanno versato il proprio sangue o hanno sofferto quasi sei anni di guerra.

Chi visse "in diretta" quei momenti quasi mai ebbe tempo e modo di riflettere, paragonare, analizzare: chi, allo scoppio della guerra, aveva vent'anni, aveva conosciuto quasi sempre un solo pensiero, aveva frequentato scuole nelle quali non esisteva libertà di pensiero, aveva imparato a memoria slogan e parole d'ordine.

Come ha scritto Rossana Rossanda, di sicuro non accusabile di simpatie per il fascismo: "Gli antifascisti si raccoglievano e riannodavano fili già noti, ma chi non sapeva non li poté sentire... Fino ad allora il fascismo fu un panorama trovato, non scelto".

Mondo l'8 settembre del 1943 aveva da poco compiuto 18 anni e conosceva il suo piccolo mondo, aveva imparato le lezioni che gli erano state impartite, aveva subìto il fascino di quei cappelli con la penna nera che vedeva muoversi nelle esercitazioni quando passava davanti alla caserma, aveva saldi e solidi principi morali, aveva nel proprio cuore tante parole al femminile, quasi che fosse segnato il suo destino di uomo rispettoso delle donne e di ciò che esse rappresentavano ai suoi occhi, da allora e per tutta la vita. E' femminile la parola Patria, come la famiglia, come la sua amatissima nonna Linda, fonte per lui di ogni saggezza, la sua mamma, poi l'adorata e insostituibile compagna di vita, Adonella, la penna del cappello alpino e la Madonnina che portava con sé. Poche cose, in fondo, ma fondamentali.

lo ho conosciuto Mondo quando era nel pieno della sua attività politica, assessore alla Pubblica Istruzione della nostra città, mentre io ero un'adolescente che sperava in un futuro di giustizia e pace: la prima impressione, pur stando da due parti diverse, fu quella di un uomo profondamente democratico, capace di discutere cercando di comprendere il punto di vista altrui, convinto del valore della discussione e del confronto; infine, un uomo simpatico e che ama va i giovani. Credo di poter affermare, dopo tanti anni, di non essermi sbagliata: quando ho avuto l'onore di diventargli amica, di curare l'edizione del suo diario di guerra, ho potuto comprendere ancora meglio ciò che stava dietro l'immagine e le azioni di Mondo.

Ne ho conosciuto il dramma profondo, la difficoltà di superare un'amara sconfitta, la presa di coscienza dei perché della storia. Quando uno storico si trova davanti a un documento autentico inizia un percorso esaltante: autentico era il diario, autentico il testimone, capace di mettersi in discussione; entrata nel suo regno, lo scantinato di casa sua, fui travolta dall'entusiasmo. Libri, carte, fotografie, bottiglie di grappa con le effigi dei gruppi alpini, piatti commemorativi, immagini di motagna: da tutto quell'insieme di oggetti Mondo estrasse il pezzo di carta che gli aveva permesso di avere salva la vita, un salvacondotto. Me lo mostrò, ci capimmo subito e mi tuffai nel lavoro. Si trattava del documento rilasciato a lui e ad alcuni dei suoi compagni dal CLN di Chivasso nei giorni tremendi seguenti la fine della guerra, nel 1945. Quel foglio stava a testimoniare che loro avev no combattuto come soldati e non si erano macchiati di crimini come le rappresaglie contro i civili, per questo ebbero salva la vita.

Mondo mi raccontò come rimase sconvolto, una volta tornato a casa, quando si recò in Piazza Cima per avere la carta d'identità e trovò, per così dire, prontamente saliti sul carro del vincitore alcuni di quelli che pochi mesi prima lo avevano convinto ad arruolarsi nella Repubblica Sociale. Iniziarono da lì il suo percorso, la crisi, la vera sensazione di sconfitta (sconfitto dentro, così si sentiva lui), la riflessione sulla guerra e sull'onestà, che non è solo il non rubare (troppo facile), ma agire comprendendo che ogni azione ha un proprio peso, che quella della coerenza è una strada tortuosa e che la sincerità, anzitutto con se stessi, è l'unica strada seria da percorrere.

"La conversione è un fatto anche sociale oltre che un fatto morale, intellettuale, personale di coscienza, profondamente reale, vero, quando viene da un travaglio spirituale che affonda le radici nella sofferenza della carne... Testimonianza di una generazione la cui giovinezza divenne maturità innanzi tempo, tempo di guerra". Queste sono parole di Mondo, parole profonde e sofferte che volle nell'introduzione all'edizione del suo diario.

Ad aiutarlo, in quei primi mesi e anni, fu certamente la fede, profonda e sentita, insieme all'incontro con un prete appassionato e intelligente che lo spronò a riprendere gli studi là da dove si erano interrotti, permettendogli di diventare un amato professore di matematica.

Seguirono l'impegno politico nella Democrazia Cristiana, la formazione della famiglia, un figlio cui affidare, dopo anni di travaglio, le proprie memorie. Per Mondo l'amore per la patria significava finalmente non la ripetizione di slogan, ma impegno concreto per occuparsi del proprio territorio e soprattutto di quei concittadini più bisognosi di protezione: l'impegno nelle ACLI volle dire aver scelto di stare dalla parte dei più deboli.

In tutto questo impegno, nell'amore per la propria famiglia, non venne mai meno il desiderio di comunità, di condivisione delle esperienze, di rivendicare la propria onesta appartenenza al corpo degli alpini. Per definizione gli alpini la guerra la subiscono e la combattono per dovere, oggi vanno dove sono chiamati per difendere le popolazioni o dove il nostro Paese è impegnato nei troppi territori dove è la violenza a scandire il tempo. Alpini però si rimane sempre, anche quando si è dismessa la divisa e si ritorna alla vita civile, quando esserlo vuoi dire donare il proprio tempo per progetti di solidarietà, mutuo soccorso, avanzamento culturale.

Credo che per Mondo, che fra i più cari ricordi aveva i cimeli alpini, che finché ha potuto ha sempre letto e scritto, che quando la vista gli è venuta meno si faceva leggere libri e quotidiani da Adonella, sapere di avere dedicata la sala di un Museo sarebbe la soddisfazione più grande. Nella foto che scelse come copertina del libro è ritratto con una bella pipa e il cappello con la penna nera arcuata all'ingiù. Si tratta del cappello con cui Mondo dissetò una mula troppo stanca per continuare la marcia (sette cappelli d'acqua, bevve la mula). Quel cappello, per lui e per tutti gli alpini, non è solo un simbolo, ma un oggetto quasi sacro, quello che tutti noi riconosciamo, quello che noi tutti amiamo. Il cappello con la sua penna nera, con i ricordi e le emozioni che suscita: tutto questo è contenuto nel luogo in cui siamo. Possiamo proprio dire che qui "Mondo" Piaia sarà per sempre a casa.

Isabella Gianelloni


Il libro di Mondo Piaia